Ordinanza n. 231 del 2007

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ORDINANZA N. 231

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                      Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                                   Giudice     

- Francesco                 AMIRANTE                                 “

- Ugo                          DE SIERVO                                 “

- Paolo                        MADDALENA                            “

- Alfio                         FINOCCHIARO                          “

- Alfonso                    QUARANTA                               “

- Franco                      GALLO                                        “

- Luigi                         MAZZELLA                                “

- Gaetano                    SILVESTRI                                  “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita                SAULLE                                      “

- Giuseppe                  TESAURO                                   “

- Paolo Maria              NAPOLITANO                            “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito con modificazioni in legge 23 aprile 2002, n. 73, (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, recante disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), in relazione all’art. 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza del 22 giugno 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Teramo, nel procedimento tributario vertente tra Mincarelli Claudia e l’Agenzia delle entrate - Ufficio di Teramo, iscritta al n. 511 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 4 giugno 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto che, con ordinanza del 22 giugno 2006, la Commissione tributaria provinciale di Teramo, nel corso di un giudizio instaurato a séguito di ricorso avverso una sanzione comminata dalla competente Agenzia delle entrate, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73, e, in via subordinata, dell’art. 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che il giudice a quo premette che la ricorrente si duole della circostanza che la sanzione comminata dalla Agenzia delle entrate è stata «calcolata dal primo gennaio del 2004 al giorno dell’ispezione, benché il dipendente, non ancora iscritto nel libro matricola, avesse iniziato il lavoro il giorno 10/05/2004, 4 giorni prima della verifica»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della sollevata questione il rimettente  afferma che, sebbene la Corte costituzionale con la sentenza n. 144 del 2005, abbia ammesso il presunto contravventore a provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione, ciò tuttavia non avrebbe eliminato le disparità di trattamento relative non solo al «dies a quo, ma anche al dies ad quem fissato dal legislatore per il calcolo della sanzione»;

che, sostiene il rimettente, il termine finale per il calcolo della sanzione (data di constatazione della violazione) non avrebbe nulla a che fare con la gravità dell’illecito, ma dipenderebbe soltanto da scelte organizzative discrezionali dell’ufficio ispettivo, con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non sia in grado di provare che il rapporto irregolare ha avuto una durata minore rispetto a quella accertata, sarebbe soggetto «all’iniquo meccanismo» previsto dalla disposizione censurata;

che il rimettente chiede che, nel caso in cui «venga rigettata la prima eccezione», sia «accertata la legittimità della norma in esame e dell’art. 7 del decreto legislativo n. 546/1992» dal momento che il regime probatorio avente ad oggetto la durata del rapporto di lavoro irregolare sarebbe quello del rito tributario che non consente il ricorso alla prova testimoniale;

che, conseguentemente, la Commissione tributaria pone «il quesito se tale limitazione sia compatibile con l’art. 24 della Costituzione», dal momento che l’accertamento dell’illecito amministrativo renderebbe necessaria la ricostruzione del rapporto di lavoro irregolare e dunque implicherebbe «la necessità del quadro probatorio più ampio possibile»;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha innanzitutto rilevato, che successivamente all’ordinanza di rimessione, l’art. 36 – bis, comma 7 lettera a), del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), inserito dalla relativa legge di conversione  4 agosto 2006, n. 248, che ha sostituito l’art. 3, comma 3, del decreto legge n. 12 del 2002;

che, in particolare, l’Avvocatura dello Stato sostiene che la modificazione operata dal legislatore relativamente al criterio di calcolo della sanzione derivante dall’illecito e l’attribuzione del potere di comminare la sanzione alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio inciderebbero sulle questioni prospettate e che pertanto sarebbe opportuna la restituzione degli atti al giudice a quo per ius superveniens, affinché il rimettente valuti la perdurante rilevanza della questione sottoposta al suo esame;

che peraltro l’Avvocatura ritiene le questioni inammissibile in quanto la Corte costituzionale con la sentenza n. 144 del 2005, avrebbe già valutato la problematica ravvisandone per implicito l’infondatezza;

che inammissibile sarebbe anche la questione relativa al regime probatorio di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, sia perché non risulterebbe se nel corso del giudizio sia stata richiesta la prova testimoniale, sia perché il rimettente non avrebbe svolto la necessaria attività per risolvere in via interpretativa la questione, tenuto conto anche dell’esistenza di un consolidato orientamento della Corte di cassazione secondo il quale le dichiarazioni rese dal dipendente all’ispettore ben possono trovare ingresso nel processo.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Teramo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 3, del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73 e, in via subordinata, dell’art. 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuto il decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, il quale ha modificato l’art. 3 del d.l. n. 12 del 2002, sostituendo i commi 3 e 5 del medesimo (art. 36 bis, comma 7, lettere a) e b);

che il nuovo testo della disposizione censurata commina, per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria, la sanzione amministrativa da euro 1.500 a euro 12.000 per ciascun lavoratore, maggiorata di euro 150 per ciascuna giornata di lavoro effettivo, stabilendo altresì che «l’importo delle sanzioni civili connesse all’omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore di cui al periodo precedente non può essere inferiore a euro 3.000, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa accertata»;

che, inoltre, il comma 5 dello stesso art. 3, così come sostituito dal d.l. 223 del 2006, attribuisce la competenza ad irrogare la suddetta sanzione alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente;

che, in conseguenza delle modifiche sopravvenute, il meccanismo di determinazione della sanzione prevista dall’art. 3 è sostanzialmente diverso rispetto a quello precedente ed è caratterizzato dall’assenza di qualunque meccanismo presuntivo, dal momento che la sanzione base è stabilita tra un minimo e un massimo fissato dal legislatore, mentre la durata del rapporto di lavoro incide sulla maggiorazione della sanzione stessa, dovendo questa essere aumentata di 150 euro per ciascuna giornata di lavoro effettivo;

che, inoltre, diverso è l’organo competente a comminare la sanzione, dovendo provvedervi non più l’Agenzia delle entrate, bensì la Direzione provinciale del lavoro;

che, pertanto, la sostanziale modifica, sotto più profili, dell’art. 3 del d.l. n. 12 del 2002 impone la restituzione degli atti al giudice rimettente, affinché questa valuti la perdurante rilevanza delle questioni sollevate, e ciò a prescindere da ogni rilievo circa le lacune dell’ordinanza di rimessione, avuto riguardo alla insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, alla mancanza di ogni motivazione sulla rilevanza della questione, alla indeterminatezza del tipo di intervento che il rimettente richiede a questa Corte per eliminare la disparità denunciata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Commissione tributaria provinciale di Teramo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2007.