Ordinanza n. 213 del 2007

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ORDINANZA N. 213

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                        Presidente

- Giovanni Maria          FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                  "

- Ugo                          DE SIERVO                                  "

- Paolo                        MADDALENA                               "

- Alfio                         FINOCCHIARO                            "

- Alfonso                     QUARANTA                                 "

- Franco                      GALLO                                         "

- Luigi                         MAZZELLA                                  "

- Gaetano                    SILVESTRI                                   "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                 SAULLE                                       "

- Giuseppe                   TESAURO                                     "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 593, comma 2, del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promosso con ordinanza del 13 giugno 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Messina nel procedimento penale a carico di C. S.A., iscritta al n. 446 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, edizione straordinaria, del 2 novembre 2006.

Udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che la Corte d’assise d’appello di Messina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593, comma 2, del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui «preclude al pubblico ministero la possibilità di appellare contro le sentenze di proscioglimento»;

che il rimettente – chiamato a celebrare il giudizio d’appello a seguito dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione – afferma che la questione proposta è senza dubbio rilevante poiché, essendo entrata in vigore nelle more del procedimento la legge n. 46 del 2006 e non essendo state dedotte nuove prove, l’appello del pubblico ministero dovrebbe essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 10 della medesima legge;

che il giudice a quo precisa che l’eccezione di incostituzionalità formulata dal pubblico ministero in riferimento tanto alla disciplina transitoria recata dalla legge n. 46 del 2006 (in particolare, all’art. 10), quanto alla disciplina a regime, sotto il particolare profilo dei limiti all’appellabilità delle sentenze di proscioglimento introdotti nei confronti dell’organo della pubblica accusa, è da ritenere non manifestamente infondata solo riguardo a quest’ultima;

che il rimettente lamenta la lesione degli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 Cost.;

che, in particolare, la disciplina censurata, privando il pubblico ministero e l’imputato della possibilità di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, solo apparentemente soddisferebbe l’esigenza di parità garantita dall’art. 111 Cost., atteso che, per un verso, i limiti all’appello delle sentenze di proscioglimento assumono «preponderanza e rilievo centrale» solo per il pubblico ministero (poiché già in precedenza all’imputato era inibito l’appello di sentenze di proscioglimento con formula piena) e che, per l’altro, solo l’organo della pubblica accusa ha interesse ad impugnare tali sentenze;

che del tutto ininfluente sarebbe inoltre la previsione della possibilità di appello nel caso previsto dall’art. 603, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di «ipotesi praticamente inattuabile» perché legata alla sopravvenienza di prove decisive nel ristretto lasso temporale tra la pronuncia della sentenza di primo grado e la scadenza del termine per appellare;

che sarebbe altresì causa di un «rilevante squilibrio tra le parti» impedire al pubblico ministero l’appello in caso di esito assolutorio del giudizio di primo grado e consentire invece all’imputato di proporre appello in caso di sentenza di condanna;

che tale disparità non troverebbe giustificazione alcuna nella tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti (in particolare, né in esigenze di accelerazione dell’iter processuale né nella particolare posizione istituzionale del pubblico ministero);

che la scelta legislativa sarebbe, inoltre, censurabile sul piano della ragionevolezza in quanto ha conservato in capo al pubblico ministero il potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna;

che, infine, il rimettente ritiene violato anche il principio di obbligatorietà dell’azione penale: consapevole dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale che, dopo la sentenza n. 177 del 1971, ha sempre negato che il potere di impugnazione del pubblico ministero costituisca estrinsecazione dell’azione penale, il giudice a quo invoca un mutamento di indirizzo da parte della Corte che tenga conto delle prerogative e delle attribuzioni istituzionali del pubblico ministero, come definite negli artt. 73 e 74 delle norme sull’ordinamento giudiziario e richiamate dagli artt. 102, 107, 108 e 112 Cost.

Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell’art. 10, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;

che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti al giudice rimettente per un nuovo esame della rilevanza della questione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Corte d’assise d’appello di Messina.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2007.