Ordinanza n. 146 del 2007

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ORDINANZA N. 146

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                                   Presidente

-    Giovanni Maria      FLICK                                                  Giudice

-    Francesco               AMIRANTE                                              ”

-    Ugo                        DE SIERVO                                              ”

-    Romano                 VACCARELLA                                        ”

-    Paolo                      MADDALENA                                         ”

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 171, commi 1, 2, e 3, e 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 9 marzo 2006 dal Giudice di pace di Scicli (n. 2 ordinanze), del 5 aprile e del 17 maggio 2006 dal Giudice di pace di Caltanissetta, del 5 maggio 2006 dal Giudice di pace di Noto (n. 2 ordinanze), dell’8 maggio 2006 dal Giudice di pace di Recanati, del 20 aprile 2006 dal Giudice di pace di Modica (n. 2 ordinanze), del 30 maggio 2006 dal Giudice di pace di Locri e del 18 e 24 novembre 2005 dal Giudice di pace di Torre Annunziata, rispettivamente iscritte ai nn. 318, 319, 330, 509, 541, 542, 546, 554, 555, 556, 560 e 571 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38, 47, 49 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2007 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che i Giudici di pace di Caltanissetta (r.o. nn. 330 e 509 del 2006), Recanati (r.o. n. 546 del 2006), Modica (r.o. nn. 554 e 555 del 2006) e Locri (r.o. n. 556 del 2006) hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 27, 31 e 42 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che i Giudici di pace di Noto (r.o. nn. 541 e 542 del 2006) e Torre Annunziata (r.o. nn. 560 e 571 del 2006) hanno censurato – ipotizzandone il contrasto con gli artt. 2, 3, 42, 24 e 111 Cost. (parametri, gli ultimi due, evocati solo dal secondo di tali giudici rimettenti) – gli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;

che, infine, anche il Giudice di pace di Scicli (r.o. nn. 318 e 319 del 2006) ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 42 della Carta fondamentale – degli artt. 171, comma 3, e 213, comma 2-sexies, dello stesso d.lgs. n. 285 del 1992;

che il Giudice di pace di Caltanissetta, con la prima delle ordinanze pronunciate (r.o. n. 330 del 2005), censura l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, Cost.;

che il rimettente premette di essere investito dell’opposizione proposta dalla proprietaria di un ciclomotore (non responsabile personalmente dell’accertata infrazione di cui all’art. 170, comma 2, del codice della strada) avverso i verbali con i quali, contestata la suddetta violazione, è stato disposto il sequestro del mezzo in vista della successiva confisca;

che, secondo il giudice a quo, la misura della confisca non sarebbe «giustificata», ponendosi in contrasto «con i parametri, di rango costituzionale, di ragionevolezza, della responsabilità personale, e di riconoscimento e difesa della proprietà privata»;

che, a suo dire, nell’ipotesi in esame «si è certamente in presenza di una confisca avente natura di sanzione amministrativa accessoria», la quale, però, «non possiede, in forza del suo contenuto, i tratti della secondarietà, della marginalità e della complementarietà, ergendosi ad elemento primario di regolamentazione e per ciò stesso confliggendo con le direttrici dell’intero sistema sanzionatorio degli illeciti amministrativi»;

che, inoltre, non essendo previsto dal codice della strada (neppure a sèguito dell’emanazione della legge 21 febbraio 2006, n. 102, recante «Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali», sebbene essa abbia inasprito il trattamento sanzionatorio dei reati commessi in violazione delle regole sulla circolazione stradale) alcun provvedimento di confisca obbligatoria «nei casi di danno alle persone» provocati da veicoli a quattro ruote, neppure «se dal fatto colposo o doloso dell’agente sia derivata la morte di una o più persone», del tutto abnorme e iniqua si presenterebbe la scelta legislativa di ricollegare, invece, la sanzione della confisca a «meri comportamenti irregolari di chi trovasi alla guida di un veicolo a due ruote»;

che, richiamata la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui deve ritenersi «ingiusta ed irrazionale la previsione della confisca obbligatoria del bene, allorché sia evidente la violazione del canone di ragionevolezza», il rimettente assume che tale evenienza ricorrerebbe nel caso di specie, atteso che «la confisca del ciclomotore è applicata in via immediata ed automatica», non consentendosi al proprietario del bene di provare la propria «assoluta estraneità all’illecito amministrativo da altri commesso», con conseguente violazione, così, anche del principio della personalità della responsabilità amministrativa enunciato dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);

che, infine, l’impossibilità di attribuire rilievo – ai fini della mancata applicazione della confisca – proprio alla circostanza costituita dalla appartenenza del veicolo ad un terzo estraneo all’illecito amministrativo «si traduce in un’ingiustificata violazione del diritto sul bene confiscato», in contrasto con quanto previsto dall’art. 42, secondo comma, della Costituzione, atteso che, attraverso la misura della confisca, la norma censurata «non si limita a sottrarre all’incolpevole proprietario la disponibilità per un tempo limitato di un bene patrimoniale, e quindi a comprimere le sole facoltà di godimento della res», bensì lo priva del bene «in via definitiva», con «una statuizione di tipo demolitorio»;

che, con la seconda ordinanza (r.o. n. 509 del 2006), il medesimo rimettente nisseno – chiamato a giudicare del ricorso proposto dal proprietario di un ciclomotore, in relazione all’accertata infrazione dell’art. 170, comma 2, del codice della strada, commessa non personalmente dal ricorrente, ma dal di lui figlio – reputa, del pari, il predetto art. 213, comma 2-sexies, del d.lgs. n. 285 del 1992 in contrasto «con i parametri, di rango costituzionale, della eguaglianza, della ragionevolezza e proporzionalità della pena, della responsabilità personale e del riconoscimento e difesa della proprietà privata», donde l’ipotizzata violazione degli artt. 3 e 42 Cost.;

che, in particolare, il giudice a quo – oltre a ribadire che la confisca, sebbene configurata come «sanzione amministrativa accessoria», risulterebbe priva dei «tratti della secondarietà, della marginalità e della complementarietà», caratteristici di tale tipo di sanzione – evidenzia che le esigenze protette dalla previsione di detta misura, cioè «la salvaguardia dell’incolumità degli stessi contravvenzionati e l’interesse della sicurezza stradale in genere», si porrebbero in contrasto con «i principi di adeguatezza e ragionevolezza» di cui all’art. 3 Cost.;

che, infine, «un ulteriore vulnus all’impianto costituzionale» sarebbe costituito dalla circostanza che la confisca viene disposta a carico del proprietario «pur essendo l’antigiuridicità della condotta ascrivibile ad altri», realizzandosi, così, una violazione del principio della responsabilità amministrativa sancito dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981;

che anche il Giudice di pace di Recanati ipotizza l’illegittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (peraltro indicato, per un evidente lapsus calami, quale «comma sexies»), del codice della strada, assumendo la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.;

che il giudice a quo premettere di essere investito – al pari degli altri giudici rimettenti sopra menzionati – dell’esame del ricorso proposto dal proprietario di un veicolo a due ruote colpito da provvedimento di confisca, per essere stata accertata a carico del conducente (il figlio del ricorrente) la violazione dell’art. 170, comma 2, del codice della strada;

che la norma suddetta è censurata sia «sotto il profilo della ragionevolezza che della proporzionalità», in quanto essa, a fronte di violazioni non meno gravi, suscettibili di essere commesse tramite veicoli a quattro ruote, «commina la sanzione della confisca obbligatoria solo ove la violazione commessa riguardi un ciclomotore o motociclo», realizzando così una disparità di trattamento tra il cittadino motociclista e il cittadino automobilista;

che il rimettente deduce, inoltre, il difetto di proporzionalità del trattamento sanzionatorio, attesa «l’incongruità tra la sanzione pecuniaria principale fissata in misura modesta» e «una sanzione accessoria notevolmente penalizzante per la libertà del cittadino»;

che, con due ordinanze di contenuto pressoché identico (r.o. nn. 554 e 555 del 2006), il Giudice di pace di Modica – premettendo di dover giudicare due ricorsi proposti avverso altrettanti verbali con i quali, contestata (nel primo caso direttamente al ricorrente, nel secondo caso al di lui figlio) l’infrazione consistente nella guida di un veicolo a due ruote senza l’uso del casco protettivo, era stata disposta la confisca dei mezzi in questione, ciascuno di proprietà dei ricorrenti – censura il predetto art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, ipotizzando la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.;

che, secondo il rimettente, «se il legislatore può discrezionalmente stabilire le condotte punibili e determinare, per esse, la sanzione ritenuta più opportuna, tuttavia tale potere non può confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza», segnatamente «nei suoi aspetti della adeguatezza e della proporzionalità della sanzione»;

che detta evenienza si sarebbe, invece, verificata nell’ipotesi in esame, stante la «evidente sproporzione tra la prevista sanzione della confisca obbligatoria del motoveicolo o del ciclomotore a fronte di condotte senz’altro di esigua rilevanza quali l’uso di un casco non allacciato o la seduta non corretta del guidatore»;

che rileverebbe, inoltre, la violazione anche del principio costituzionale della parità di trattamento, in quanto la previsione della sanzione accessoria della confisca, «per i soli ciclomotori e motoveicoli», avrebbe introdotto «un ben più grave trattamento sanzionatorio per il solo fatto che la medesima violazione del precetto sia perpetrata con una determinata species di veicoli»;

che, infine, altro profilo di incostituzionalità deriverebbe dal fatto che detta sanzione «colpisce direttamente il proprietario» del mezzo, «indipendentemente dalla circostanza che sia lui o meno a commettere la violazione», in contrasto con il principio della personalità della responsabilità amministrativa di cui all’art. 3 della legge n. 689 del 1981, il quale ammette deroghe – ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, nonché (quanto allo specifico settore delle infrazioni stradali) dell’art. 196 del codice della strada – soltanto per le sanzioni pecuniarie, e non per quelle, come nella specie, «in cui assume rilievo preponderante il carattere schiettamente personale»;

che i medesimi parametri – artt. 3 e 27 Cost. – sono evocati anche dal Giudice di pace di Locri, nel sollevare incidente di costituzionalità avente ad oggetto sempre l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

che, investito del ricorso proposto dal conducente di un motociclo a carico del quale era stata accertata l’infrazione consistente nel mancato uso del casco protettivo, il giudice a quo rileva che, per effetto della censurata disposizione, risulta comminata al ricorrente anche la sanzione accessoria della confisca del veicolo, ciò che costituisce violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione;

che, difatti, nella specie risulterebbe disatteso quanto affermato dalla Corte costituzionale (sono citate le sentenze numeri 349 e 435 del 1997), la quale ha sancito la necessità di «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento»;

che la norma censurata determinerebbe, altresì, disparità di trattamento tra il soggetto resosi responsabile dell’infrazione consistente nell’alterazione delle condizioni meccaniche del motociclo e quello che, come nella specie, abbia omesso di indossare il casco protettivo, atteso che solo nella prima ipotesi ricorre «un grave pericolo per gli utenti della strada», e dunque una circostanza idonea a giustificare l’irrogazione della sanzione;

che il Giudice di pace di Noto – con due ordinanze di contenuto pressoché identico – censura, invece, oltre al predetto art. 213, comma 2-sexies, anche gli artt. 171, commi 1 e 2, del codice della strada, ipotizzando la violazione degli artt. 2, 3 e 42 Cost.;

che il rimettente – sul presupposto di dover giudicare, in ambo i casi sottoposti al suo esame, dell’impugnativa di un verbale di confisca di motoveicolo, emesso all’esito dell’accertamento dell’infrazione consistente nella guida del veicolo senza indossare il casco protettivo – deduce, innanzitutto, il contrasto tra le norme denunciate e l’art. 3 della Carta fondamentale, in ragione della evidente «sproporzione» tra la violazione amministrativa «e le conseguenze economiche della sanzione» comminata, atteso che può esservi «una notevole diversità di valore economico» tra i diversi ciclomotori o motocicli oggetto di confisca;

che inoltre, quanto alla violazione dell’art. 2 Cost., assume il giudice a quo – sul presupposto che tra i diritti inviolabili dell’uomo rientri anche quello all’eguaglianza – che le censurate disposizioni introducano «una evidente disparità di trattamento tra conducenti di ciclomotori o motoveicoli e conducenti di tutti gli altri veicoli», a carico dei quali non è prevista la sanzione della confisca nel caso di guida senza uso della cintura di sicurezza, ovvero sotto l’effetto di sostanze alcoliche o psicotrope;

che, infine, la violazione dell’art. 42 Cost. è motivata in base al rilievo che nel censurato sistema configurato dal legislatore non viene «in considerazione l’appartenenza del ciclomotore o motoveicolo» ad un «terzo non trasgressore», al quale si sottrae la proprietà del bene, «gravandolo inoltre delle spese di custodia senza limiti di tempo»;

che i medesimi artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada, sono censurati anche dal Giudice di pace di Torre Annunziata, il quale – con due distinte ordinanze – ne assume l’illegittimità costituzionale ai sensi degli artt. 2, 3, 42, 24 e 111 Cost.;

che con il primo provvedimento di rimessione (r.o. n. 560 del 2006), il giudice a quo – chiamato a giudicare dell’opposizione proposta dal conducente di un motociclo, sanzionato per aver condotto il veicolo senza indossare il casco protettivo – assume che le censurate disposizioni, nel prevedere l’applicazione della sanzione accessoria della confisca, sarebbero in contrasto, innanzitutto, con l’art. 42 Cost., nonché con gli art. 2 e 3 della Carta fondamentale, «per l’evidente sproporzione tra violazione e sanzione e relative conseguenze economiche», nonché per la «disparità di trattamento» tra i conducenti di ciclomotori o motoveicoli e quelli di tutti gli altri veicoli;

che il contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost. deriverebbe, invece, dalla circostanza che nella specie risulta sottratta a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione di una gravità economica tale da superare, in alcune ipotesi, «persino l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»;

che i medesimi rilievi vengono approfonditi dal Giudice di pace di Torre Annunziata nella seconda delle sue due ordinanze di rimessione (r.o. n. 571 del 2005);

che è dedotta, in primo luogo, la violazione dell’art. 42 della Carta fondamentale, sotto un duplice profilo;

che, da un lato, «con la sanzione del sequestro, prodromica alla confisca obbligatoria, si sottrae la proprietà del bene al legittimo proprietario e/o possessore, gravandolo inoltre delle spese di custodia senza limite di tempo»;

che, dall’altro, l’applicazione della confisca anche nel caso «dell’appartenenza del ciclomotore o del motoveicolo a terzo non trasgressore» costituirebbe «una sottrazione immotivata, illegittima, ed, in ultima analisi, illecita del bene», in quanto effettuata nei confronti di un soggetto non responsabile di alcuna delle infrazioni sanzionate dagli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada;

che si ipotizza, in secondo luogo, la violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione;

che il rimettente sottolinea «la evidente sproporzione tra violazione e sanzione» comminata, giacché, variando «la differenza di valore del singolo ciclomotore o motoveicolo confiscato», si verrebbe, per tale motivo, a punire «in modo diverso il trasgressore rispetto alla medesima violazione», con conseguente lesione dei diritti inviolabili dell’uomo, «tra i quali va compreso il diritto all’eguaglianza»;

che i medesimi parametri sono evocati, poi, sotto altro profilo, sottolineando come le norme censurate realizzino «una evidente disparità di trattamento tra il conducente di ciclomotori o motoveicoli» e «i conducenti di tutti gli altri veicoli, rispetto alla medesima ratio di salvaguardia dell’integrità fisica» dell’utente della strada;

che, difatti, le misure del sequestro e poi della confisca non sono previste per chi realizza infrazioni idonee – al pari di quelle di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada – a porre in pericolo l’integrità fisica del conducente, quali, in via esemplificativa, il mancato uso della cintura di sicurezza, la guida in stato di ebbrezza o di alterazione da sostanze psicotrope, l’impiego, da parte del conducente di un autoveicolo, di apparecchi telefonici cellulari, o, infine, l’attraversamento della sede stradale sebbene il semaforo emetta la luce rossa;

che, in terzo luogo, viene dedotta anche la violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione;

che si rileva, quanto al primo di tali parametri, che la disciplina recata dalle disposizioni denunciate «sottrae a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione, ancorché amministrativa», di una tale «gravità economica» da superare, in alcune ipotesi, persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»;

che, infine, l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nello stabilire la possibilità della confisca di un bene «adoperato per commettere una delle violazioni» di cui ai precedenti artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171, sembrerebbe presupporre la «volontarietà» dell’illecito, in contrasto «con il principio secondo il quale in materia di sanzione amministrativa è ininfluente l’elemento psicologico»;

che anche il Giudice di pace di Scicli, con due ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 42 della Carta fondamentale – degli artt. 171, comma 3, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

che il rimettente – investito in entrambi i casi dell’opposizione proposta, da genitore esercente la potestà su un minore, avverso il verbale di sequestro e successiva confisca di un ciclomotore, per essersi il predetto minore reso responsabile dell’infrazione consistente nella guida del mezzo senza l’uso del casco protettivo – ha sollevato incidente di costituzionalità avverso le disposizioni summenzionate;

che il rimettente ipotizza, innanzitutto, la «violazione dell’articolo 3 della Costituzione, per il motivo della irragionevolezza e sproporzionalità» della misura della confisca, perché «vi è identità di disciplina (ingiustificata), sia quando il veicolo venga usato per commettere un reato, sia nel caso che lo stesso venga adoperato per commettere una di quelle violazioni amministrative» individuate dalla medesima norma censurata (artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada);

che, inoltre, deduce il contrasto con l’art. 42 della Costituzione, atteso che la confisca di un ciclomotore o motoveicolo, specie se disposta a carico di un terzo, «incolpevole del comportamento del conducente, finisce con assumere aspetti di mero trasferimento coattivo di un bene dal privato allo Stato per finalità squisitamente repressive, sì da identificarsi addirittura con l’istituto dell’espropriazione», imponendo, però, il sacrificio del diritto di proprietà del privato per realizzare «un interesse generale non costituzionalmente protetto, quale la prevenzione degli incidenti stradali»;

che, infine, il rimettente assume che le norme censurate sarebbero affette anche dai vizi della «illogicità e della ingiustizia manifesta», per un duplice concorrente motivo;

che esse, difatti, assoggettano l’autore dell’infrazione prevista dall’art. 171 del codice della strada «a quattro conseguenze negative» (il pagamento della sanzione pecuniaria, la decurtazione del punteggio dalla patente di guida, la confisca obbligatoria del mezzo, l’impossibilità di accedere al pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria), ed inoltre riservano allo stesso un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello contemplato per «altre violazioni amministrative» (ed in particolare per quella di cui all’art. 148, comma 10, del codice della strada), sebbene esse pongano «più gravemente in pericolo l’incolumità fisica non solo del conducente»;

che è intervenuto in tutti i giudizi (salvo che in quello che trae origine dall’ordinanza del Giudice di pace di Caltanissetta, iscritta al r.o. n. 509 del 2006) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, svolgendo considerazioni sostanzialmente identiche in ciascun atto di intervento;

che in particolare la difesa erariale – eccepita, in via preliminare, l’inammissibilità delle questioni relative ai commi 1, 2 e 3 dell’artt. 171 del codice della strada, atteso che tali disposizioni si limitano a descrivere le infrazioni in relazione alle quali il (solo) comma 2-sexies dell’art. 213 del medesimo codice della strada prevede, quale sanzione accessoria a quella pecuniaria, la confisca del veicolo a due ruote – ha dedotto l’infondatezza delle questioni sollevate;

che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all’obbligo di indossare il casco protettivo, abbiano realizzato «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli»;

che – sottolinea ancora la difesa erariale – pure «il proprietario che autorizzi o tolleri l’uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l’obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, dal denunciato art. 213, comma 2-sexies, alla medesima sanzione, avendo lo stesso non solo «accettato di concorrere all’incremento complessivo del rischio da circolazione», ma anche «rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente»;

che nessuna violazione del principio di eguaglianza può, poi, essere ravvisata nel caso di specie;

che priva di fondamento è la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

che nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

che tali rilievi, inoltre, valgono a fugare l’ulteriore dubbio relativo alla violazione dell’art. 3 Cost., dimostrando come nell’applicazione della sanzione de qua «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso di essa non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto»;

che, infine, la difesa dello Stato esclude l’esistenza di un contrasto tra le norme censurate e gli artt. 24 e 111 Cost., conseguente al «carattere rigido» di tale sanzione, essendo quella della confisca obbligatoria una «sanzione ampiamente nota all’ordinamento penale e sanzionatorio amministrativo», giustificata dalla «necessità di eliminare le cause materiali di potenziali, ulteriori, lesioni dell’interesse protetto».

Considerato che i Giudici di pace di Caltanissetta (r.o. nn. 330 e 509 del 2006), Recanati (r.o. n. 546 del 2006), Modica (ro. nn. 554 e 555 del 2006) e Locri (r.o. n. 556 del 2006) sollevano questioni di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 27, 31 e 42 della Costituzione – dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che i Giudici di pace di Noto (r.o. nn. 541 e 542 del 2006) e Torre Annunziata (r.o. nn. 560 e 571 del 2006) dubitano della legittimità costituzionale – ipotizzando il contrasto con gli artt. 2, 3, 42, 24 e 111 Cost. (parametri, gli ultimi due, evocati solo dal secondo di tali giudici rimettenti) – degli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;

che, infine, anche il Giudice di pace di Scicli (r.o. nn. 318 e 319 del 2006) solleva questioni di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 42 della Carta fondamentale – degli artt. 171, comma 3, e 213, comma 2-sexies, dello stesso d.lgs. n. 285 del 1992;

che, data la connessione esistente tra i vari giudizi, se ne impone la riunione ai fini di una unica pronuncia;

che, nelle more del presente giudizio, i commi 168 e 169 dell’art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inseriti dalla relativa legge di conversione 24 novembre 2006, n. 286, hanno, rispettivamente, modificato, l’uno, il testo dell’art. 171, comma 3, del codice della strada, l’altro, il testo del successivo art. 213, comma 2-sexies (norma, quest’ultima, denunciata da tutti giudici rimettenti);

che, difatti, in virtù del citato ius superveniens, mentre alla «sanzione pecuniaria amministrativa prevista dal comma 2» del medesimo art. 171 del codice della strada, in luogo della confisca originariamente prevista, «consegue il fermo del veicolo per sessanta giorni ai sensi del capo I, sezione II del titolo VI» dello stesso codice (ovvero per la durata di novanta giorni allorché, «nel corso di un biennio», sia «stata commessa, almeno per due volte, una delle violazioni previste dal comma 1» del predetto art. 171), ai sensi del novellato art. 213, comma 2-sexies, dello stesso codice della strada risulta «sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne»;

che, pertanto, alla luce di tale duplice sopravvenienza normativa si impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, per una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni dagli stessi sollevate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti ai Giudici di pace di Caltanissetta, Recanati, Modica, Locri, Noto, Torre Annunziata e Scicli.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2007.