Ordinanza n. 60 del 2007

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ORDINANZA N. 60

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), promosso dal Tribunale di Forlì, nel procedimento civile vertente tra C. A. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza dell’11 gennaio 2005, iscritta al n. 184 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi l’avvocato Alessandro Riccio per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto il ricalcolo di una pensione di reversibilità erogata al superstite, rimasto unico titolare dopo il compimento della maggiore età dell’altro contitolare, il Tribunale di Forlì ha sollevato, con ordinanza dell’11 gennaio 2005, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, dell’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale);

che l’Istituto nazionale della previdenza sociale erogatore del trattamento, convenuto in giudizio, aveva sostenuto – sulla base di un orientamento giurisprudenziale espresso dalle sezioni unite della Corte di cassazione – la non integrabilità della pensione spettante all’unico titolare rimasto, nel caso in cui la doppia titolarità fosse cessata dopo l’entrata in vigore (30 settembre 1983) del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, il cui art. 6 sarebbe preclusivo della doppia integrazione al minimo;

che, anche secondo il remittente, la norma censurata, recante i criteri per la liquidazione della quota residua della pensione di reversibilità in caso di cessazione della contitolarità, deve essere letta esclusivamente nel senso di non consentire a favore dell’unico titolare, rimasto tale dopo il 30 settembre 1983, l’integrazione al minimo della propria pensione e la conseguente “cristallizzazione”, pur essendo la pensione sorta prima della suddetta data, cioè prima del divieto di doppia integrazione;

che, a parere del giudice a quo, sarebbe evidente la disparità di trattamento tra un coniuge rimasto vedovo prima del 30 settembre 1983 con figli minori a carico, divenuti maggiorenni dopo tale data, rispetto all’analoga condizione del coniuge vedovo senza figli;

che quest’ultimo, infatti, essendo sorto il suo diritto alla pensione prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 463 del 1983, ha ricevuto l’integrazione al minimo della pensione di reversibilità e, dopo il suddetto momento, ha riconvertito il diritto con la c.d. “cristallizzazione” del beneficio e tutte le successive conseguenze, mentre il coniuge vedovo con figli minori, una volta cessata la contitolarità dopo il 30 settembre 1983, si troverebbe nella deteriore situazione di vedere la propria pensione di reversibilità non integrata né cristallizzata, a causa di una limitazione intervenuta dopo la nascita del suo diritto alla pensione di reversibilità, e per il solo fatto di aver avuto dei figli minori al momento del decesso del proprio coniuge;

che tale interpretazione si pone, secondo il Tribunale, in contrasto sia con l’art. 3 Cost., non essendo ragionevole la disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe, sia con l’art. 31 Cost., ove è sancito il compito della Repubblica di agevolare con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia;

che nel giudizio dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di non fondatezza della questione ed osservando come il meccanismo stesso della riliquidazione implichi necessariamente una diversa decorrenza per la verifica dei presupposti del trattamento, la quale può determinare, a seconda dei momenti, risultati più o meno vantaggiosi per gli aventi diritto;

che si è costituito l’INPS, chiedendo la declaratoria di non fondatezza della questione, sulla base della giurisprudenza di questa Corte nella quale è stata positivamente scrutinata la normativa del 1983 relativa all’integrazione al minimo, rilevando la non comparabilità delle situazioni del coniuge superstite senza figli e di quello con figli ed escludendo, infine, qualsiasi penalizzazione delle famiglie.

Considerato che il Tribunale di Forlì dubita, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti pensione della previdenza sociale), «come interpretato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza n. 17888 del 13 dicembre 2002, in termini di applicazione del limite previsto dall’art. 6 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 nelle ipotesi di ricalcolo successivo al 30 settembre 1983»;

che il remittente osserva che le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ritenuto che il venir meno, in data successiva al 30 settembre del 1983, della contitolarità della pensione di reversibilità costituisca ragione della non attribuzione della integrazione al minimo “cristallizzata” di cui gode, invece, colui che di tale prestazione previdenziale sia stato titolare unico antecedentemente alla medesima data;

che, secondo il giudice a quo, nell’interpretazione datane dalla Corte di cassazione, il sistema normativo contrasta sia con l’art. 3 Cost. – in quanto determina un’ingiustificata diversità di trattamento tra soggetti titolari unici della pensione di reversibilità, soltanto perché alcuni lo sono stati anche in data antecedente il 30 settembre 1983 e altri lo sono divenuti successivamente – sia con l’art. 31 Cost., il quale vuole che sia favorita la formazione della famiglia;

che il remittente afferma che una diversa interpretazione di detto sistema normativo sarebbe inutile, in quanto destinata, nel prosieguo del giudizio, ad essere superata dal riferito orientamento delle sezioni unite della Corte di cassazione;

che il Tribunale ritiene, pertanto, «che la valutazione della Corte costituzionale circa una particolare interpretazione della norma in questione possa sciogliere ogni dubbio per consentire una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame»;

che la questione è manifestamente inammissibile per molteplici e concorrenti ragioni;

che il remittente, infatti, non soltanto non descrive compiutamente la fattispecie, omettendo di precisare quale sia la situazione del ricorrente nel giudizio a quo, ma neppure identifica con esattezza le disposizioni oggetto della questione, limitandosi a chiedere la dichiarazione di illegittimità dell’art. 22 della legge n. 903 del 1965 «come interpretato dalle sezioni unite della Corte di cassazione in termini di applicazione del limite previsto dall’art. 6 del d.l. n. 463 del 1983 nelle ipotesi di ricalcolo successivo al 30 settembre 1983»;

che il remittente, inoltre, formula richieste contradditorie, in quanto, da un lato, auspica una pronuncia manipolativa della disposizione censurata con riferimento ad un orientamento giurisprudenziale e, dall’altro, sollecita l’intervento di questa Corte perché fornisca una interpretazione conforme a Costituzione destinata, secondo il suo assunto, a prevalere su quella del giudice ordinario.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 31 della Costituzione, dal Tribunale di Forlì con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2007.