Ordinanza n. 457 del 2006

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ORDINANZA N. 457

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Giovanni Maria                   FLICK                                               Presidente

-  Francesco                            AMIRANTE                                       Giudice

-  Ugo                                     DE SIERVO                                             “

-  Romano                              VACCARELLA                                       “

-  Paolo                                   MADDALENA                                        “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                               QUARANTA                                            “

-  Franco                                 GALLO                                                     “

-  Luigi                                   MAZZELLA                                             “

-  Gaetano                              SILVESTRI                                              “

-  Sabino                                 CASSESE                                                 “

-  Maria Rita                           SAULLE                                                   “

-  Giuseppe                             TESAURO                                                “

-  Paolo Maria                         NAPOLITANO                                        “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1917, commi primo e secondo, 2751-bis, n. 1), 2767 e 2778, n. 11), del codice civile, 42, 46, comma primo, e 111 del regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza del 16 novembre 2004 della Corte d’appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Mirabella Filippo e il fallimento della s.p.a. Industrie Fontauto iscritta al n. 37 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2005.

         Visto l’atto di costituzione di Mirabella Filippo;

         udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2006 il giudice relatore Romano Vaccarella.

         Ritenuto che la Corte d’appello di Torino, investita di gravame avverso una sentenza del Tribunale ordinario di Cuneo, resa su domanda tardiva di ammissione al passivo del fallimento della Industrie Fontauto s.p.a., ha sollevato, con ordinanza del 16 novembre 2004, questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 32, 36, comma primo, e 41, comma secondo, della Costituzione, degli artt. 1917, commi primo e secondo, del codice civile, 42, 46, comma primo, e 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), e, in subordine, degli artt. 2751-bis, n. 1), 2767 e 2778, n. 11), cod. civ., e 111 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare);

         che, in fatto, il giudice rimettente espone che l’appellante, lavoratore dipendente della società fallita, in primo grado aveva chiesto, in via tardiva, ai sensi dell’art. 101 della legge fallimentare, l’ammissione al passivo del fallimento, «in prededuzione ovvero, in subordine, con il privilegio ex artt. 2751-bis, n. 1, e 2776 cod. civ.», per un credito da risarcimento dei danni conseguenti ad un infortunio sul lavoro, di cui la datrice di lavoro era stata riconosciuta esclusiva responsabile, ed aveva, altresì, chiesto che, essendo la società fallita assicurata per la responsabilità civile da infortuni sul lavoro occorsi ai dipendenti, fosse ordinato alla compagnia assicuratrice di pagare direttamente a lui l’indennità dovuta; che il Tribunale, con l’impugnata sentenza, aveva ammesso l’istante al passivo, in via privilegiata, respingendo le altre domande, tra cui quella per il pagamento diretto dell’indennità, nel frattempo versata alla curatela fallimentare; che l’appellante aveva, quindi, impugnato detta sentenza limitatamente al capo con cui era stato negato il suo diritto «di azionare direttamente la pretesa nei confronti della compagnia assicuratrice», sicché la lite devoluta al giudice del gravame verteva «sulla contestata prededucibilità del credito azionato ovvero sulla avocabilità alla massa attiva del fallimento dell’indennizzo in esame, già riscosso dalla procedura fallimentare»;

         che, secondo il giudice rimettente, la pretesa del lavoratore infortunato – di ottenere, a soddisfazione del suo credito risarcitorio nei confronti del datore di lavoro, il pagamento diretto dell’indennità dovuta a costui dalla compagnia assicuratrice – è ostacolata, in caso di fallimento del datore di lavoro assicurato, sia dall’art. 1917 cod. civ. (il quale prevede che, nell’assicurazione della responsabilità civile, l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato, e pertanto è a questo che deve essere pagata l’indennità) sia dagli artt. 42 e 46, primo comma, della legge fallimentare (i quali ricomprendono nella massa attiva fallimentare tutti i crediti del fallito, anche sopravvenuti, escludendo solo quelli “personali” tassativamente elencati, e includendo così anche il credito per l’indennità di cui si discute) sia, infine, dagli artt. 111 della legge fallimentare e 2751-bis, primo comma, cod. civ. (i quali, in combinato disposto, pospongono il credito del lavoratore per risarcimento dei danni da infortunio sul lavoro ad altri crediti «di natura meno protetta», ossia le «spese» della procedura fallimentare e i «debiti contratti per l’amministrazione del fallimento»);

         che tale posizione deteriore del lavoratore danneggiato discende dal «diritto vivente», costituito dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel senso dell’autonomia dell’obbligazione dell’assicuratore della responsabilità civile verso l’assicurato rispetto a quella dell’assicurato verso il danneggiato;

         che, viceversa, in una pluralità di casi, è attribuita al danneggiato o al creditore azione diretta nei confronti del terzo debitore: così nell’ipotesi di cui all’art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), il quale consente al danneggiato di agire direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice del danneggiante; nell’ipotesi, ancora, di cui all’art. 1676 cod. civ., il quale prevede che gli ausiliari dell’appaltatore «possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore»; nell’ipotesi, infine, di appalto di opere o servizi, nella quale si consente ai lavoratori dipendenti dall’appaltatore di esercitare i diritti loro spettanti direttamente nei confronti dell’imprenditore appaltante (artt. 23, comma terzo, e 29, secondo comma, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 recante «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30»;

         che, nonostante nell’assicurazione della responsabilità civile da infortunio sul lavoro l’indennità dovuta dall’assicuratore sia destinata a tenere indenne il datore di lavoro assicurato, e pertanto il credito verso l’assicuratore sia «del tutto estraneo all’utile ed al patrimonio dell’impresa», in caso di fallimento del datore di lavoro l’indennità entra nella massa attiva fallimentare, come ogni altro cespite, quasi fosse elemento attivo del patrimonio del fallito nel quale possono soddisfarsi, almeno in parte, altri soggetti, non danneggiati dall’infortunio;

         che, quanto alla rilevanza delle questioni, il giudice rimettente asserisce che essa è evidente, dovendo egli decidere «della prededucibilità o meno del credito risarcitorio del lavoratore infortunato» nel fallimento del datore di lavoro, e quindi se l’indennità dovuta dall’assicuratore spetti al lavoratore ovvero «spetti al fallito, con conseguente sua apprensione da parte del curatore», nel qual caso il lavoratore «avrebbe solo diritto ad insinuarsi» al passivo del fallimento;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza della prima questione – con la quale si lamenta che il lavoratore  infortunato non disponga di azione diretta contro l’assicuratore, e non sia prevista «quindi la prededuzione del (suo) credito» –, il giudice rimettente afferma che nella fattispecie «vengono in comparazione due diversi interessi di rango diseguale», e cioè quello racchiuso nella par condicio creditorum, che non è di rango costituzionale (essendo la tutela del credito subordinata ai diritti inviolabili dell’uomo ed al principio di solidarietà), e quello rappresentato «dalla tutela della integrità psicofisica del cittadino e dalla tutela del lavoratore», protetto dagli artt. 32 e 36, comma primo, Cost.;

         che il favore accordato ad un interesse non costituzionalmente garantito «a detrimento della tutela dell’integrità psicofisica dell’uomo e della tutela del lavoro confligge con il principio di ragionevolezza e di uguaglianza», sotteso ai richiamati precetti degli artt. 32 e 36, comma primo, Cost., ed è, inoltre, irragionevole «l’indebito arricchimento» del patrimonio fallimentare e, quindi, dei creditori muniti di pari privilegio generale per crediti di lavoro retributivi, contributivi o risarcitori di danni non conseguenti ad infortuni sul lavoro;

         che, aggiunge il giudice rimettente, mentre i crediti di natura personale del datore di lavoro fallito, tra cui quelli da infortunio a lui occorso, non sono compresi nel fallimento, ai sensi dell’art. 46, n. 1, della legge fallimentare, vi è, invece, compreso il credito che egli vanta verso l’assicuratore della responsabilità civile, benché destinato a coprire il debito risarcitorio verso il lavoratore dipendente infortunato, che è anch’esso di natura personale, sicché «appare irragionevole la mancata inclusione, all’interno di una specifica norma attributiva di un trattamento, l’esclusione di fattispecie omogenea a quella cui la causa di esclusione dalla esecuzione concorsuale è riferita»;

         che, infine, la normativa censurata appare irragionevolmente lesiva del diritto di difesa del lavoratore infortunato ed in contrasto con il principio costituzionale della integrale e non limitabile tutela risarcitoria del diritto alla salute, affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze numeri 485 e 391 del 1991;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione sollevata in via subordinata, il giudice rimettente osserva che gli artt. 2751-bis, n. 1), 2767 e 2778, n. 11), cod. civ. confliggono con i medesimi artt. 2, 3, 24, 32, 36, comma primo, e 41, comma secondo, Cost., «laddove non pongono in primo grado il privilegio del credito da risarcimento del danno del lavoratore, quando abbia subito un infortunio sul lavoro imputabile al datore di lavoro – nei limiti in cui il lavoratore non goda di copertura assicurativa obbligatoria – e non lo sottraggono alla falcidia delle prededuzioni fallimentari ed al concorso con altri crediti retributivi, contributivi e risarcitori non da infortunio muniti di pari privilegio generale»;

         che si è costituito nel giudizio il lavoratore appellante, il quale ha, con argomentazioni conformi a quelle esposte dall’ordinanza di rimessione, concluso per l’accoglimento delle questioni, osservando che, poiché il risarcimento del danno biologico attiene alla tutela del bene salute, il diritto alla salute, e, per esso, quello al ristoro economico della perduta integrità psicofisica, non può venire sacrificato o depauperato per soddisfare diritti di terzi, non attinenti alla sfera della persona, in ipotesi tutelati da norme di rango inferiore.

         Considerato che la Corte d’appello di Torino dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 32, 36, comma primo, e 41, comma secondo, Cost., della legittimità costituzionale degli artt. 1917, commi primo e secondo, del codice civile, 42, 46, comma primo, e 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui «non consentono al dipendente danneggiato da un infortunio sul lavoro per violazione del dovere di sicurezza azione diretta contro la compagnia assicuratrice del datore di lavoro, e quindi la prededuzione del credito in ipotesi di fallimento, posponendolo alla previa falcidia dei crediti della procedura», e, in subordine, degli artt. 2751-bis, n. 1), 2767 e 2778, n. 11), cod. civ., e 111 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare), nella parte in cui «non pongono in primo grado il privilegio del credito da risarcimento del danno del lavoratore, quando abbia subito un infortunio sul lavoro e lo ammettono al privilegio generale sui mobili in concorso con crediti di lavoro retributivi, contributivi e risarcitori non da infortunio»;

         che entrambe le questioni sono manifestamente inammissibili;

         che, quanto alla prima – a prescindere dalla incompatibilità, non percepita dal rimettente, esistente tra prededuzione (la quale presuppone l’acquisizione del credito al fallimento) e azione diretta del danneggiato verso l’assicuratore (la quale presuppone che il credito non sia compreso nella massa attiva) – è evidente l’irrilevanza della questione nel giudizio a quo;

         che infatti, avendo tale giudizio quale unico, possibile oggetto l’ammissione al passivo del credito azionato ex art. 93 o 101 della legge fallimentare ed il suo rango, non è in alcun modo rilevante una questione di azionabilità diretta, da parte del danneggiato, del suo credito risarcitorio nei confronti dell’assicuratore né, ancor meno ed a prescindere da ogni rilievo circa la sua fondatezza, una questione di assimilabilità del credito da infortunio del fallito verso l’assicuratore (sottratto, perché “personale”, alla massa attiva) al suo debito verso il danneggiato (che dovrebbe essere sottratto, viceversa, alla massa passiva);

         che anche la seconda questione – a prescindere dalla inammissibilità del petitum, con il quale si invoca una pronuncia che, modificando l’ordine legale dei privilegi, invaderebbe l’area riservata alle scelte economico-politiche del legislatore (sentenze n. 113 del 2004 e n. 326 del 1983) – è estranea all’oggetto del giudizio a quo, promosso dall’appellante esclusivamente per la riforma del capo della sentenza che aveva rigettato la pretesa di azionare il credito direttamente nei confronti dell’assicuratore.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

         dichiara la manifesta inammissbilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1917 del codice civile, 42, 46 e 111 del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 32, 36, comma primo, e 41, comma secondo, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza in epigrafe;

         dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2751-bis, n. 1), 2767 e 2778, n. 11), codice civile, sollevata, in riferimento alle stesse norme della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino con la medesima ordinanza.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2006.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2006.