Ordinanza n. 456 del 2006

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ORDINANZA N. 456

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                 BILE                                                  Presidente

-  Giovanni Maria                   FLICK                                                 Giudice

-  Francesco                            AMIRANTE                                             “

-  Ugo                                     DE SIERVO                                             “

-  Romano                              VACCARELLA                                       “

-  Paolo                                   MADDALENA                                        “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                               QUARANTA                                            “

-  Franco                                 GALLO                                                     “

-  Gaetano                              SILVESTRI                                              “

-  Sabino                                 CASSESE                                                 “

-  Maria Rita                           SAULLE                                                   “

-  Giuseppe                             TESAURO                                                “

-  Paolo Maria                         NAPOLITANO                                        “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nonché del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, promossi con quattro ordinanze del 20 febbraio 2006 dal Tribunale ordinario di Parma, iscritte ai numeri 95, 164, 165 e 166 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 14 e 23, prima serie speciale, dell’anno 2006.

 

         Visti gli atti di costituzione di Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e Parmalat s.p.a, Sanpaolo IMI s.p.a., Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio società cooperativa, Banca Popolare di Cremona s.p.a., Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a., Banca Carige s.p.a. - Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Banca Popolare di Verona e Novara soc. coop. a r.l., Credit Suisse International (già Credit Suisse First Boston International), nonché gli atti di intervento di Parmalat s.p.a. e del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

         udito nella camera di consiglio del 22 novembre 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

 

         Ritenuto che, nel corso di quattro giudizi civili, il Tribunale ordinario di Parma, con distinte ordinanze di pressoché identico contenuto, emesse dal medesimo giudicante il 20 febbraio 2006, – premesso che Parmalat s.p.a., con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre 2003, è stata assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria e che lo stesso Tribunale, con sentenza del 27 dicembre 2003, ha dichiarato lo stato di insolvenza della predetta società, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. e ad altre società facenti parte di un unico gruppo – ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:

a) in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dall’art. 4-ter del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in cui consente l’esercizio delle azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di un programma di ristrutturazione;

b) in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 6, comma 1-ter, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge n. 119 del 2004, come modificato dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui dispone che i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo secondo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), si computano a decorrere dalla data di emanazione del decreto di ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e rende applicabile tale disposizione anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento;

c) in riferimento all’art. 42 Cost., del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui prevede «una sostanziale espropriazione del credito» di cui all’art. 71 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare);

         che nella prima ordinanza di rimessione (n. 95 r.o. 2006) si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Sanpaolo IMI s.p.a. e altre banche, che, riunite in “pool”, avevano, nel dicembre 1999, concesso alla medesima Parmalat s.p.a. un finanziamento del complessivo ammontare di lire 300 miliardi, per ottenere la revoca, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, dei pagamenti eseguiti dalla debitrice, a favore delle convenute, nel cosiddetto “periodo sospetto”, e, conseguentemente, la condanna delle stesse banche alla restituzione delle corrispondenti somme da esse percepite;

         che nella seconda ordinanza di rimessione (n. 164 r.o. 2006) si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Credit Suisse First Boston International, con la quale la stessa Parmalat s.p.a. aveva intrattenuto un rapporto di finanziamento, per sentir revocare, ai sensi dell’art. 67 della legge fallimentare, «i pagamenti ed accrediti in genere effettuati nel corso del periodo sospetto per l’importo complessivamente indicato in citazione, chiedendo, quindi, la condanna della banca al pagamento della corrispondente somma ovvero di quella diversa risultante nel corso del processo»;

         che nella terza ordinanza di rimessione (n. 165 r.o. 2006) si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Unipol Banca s.p.a., con la quale la stessa Parmalat s.p.a. aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente bancario, per sentir revocare, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, «le rimesse in conto corrente, pagamenti ed accrediti in genere ed in particolare l’accredito di euro 1.456.685,43 effettuato sul conto in epoca in cui il rapporto faceva ancora capo al Banco di Sicilia, al quale la convenuta era subentrata in virtù di cessione di ramo d’azienda, tutti portati in diminuzione dell’esposizione debitoria nel corso del periodo sospetto per l’importo complessivamente indicato in citazione, chiedendo, quindi, la condanna della banca al pagamento della corrispondente somma ovvero di quella diversa risultante nel corso del processo»;

         che nella quarta ordinanza di rimessione (n. 166 r.o. 2006) si riferisce che Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, ha convenuto in giudizio Cassa di Risparmio di Pisa s.p.a., con la quale la stessa Parmalat s.p.a. aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente bancario, per sentir revocare, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, della legge fallimentare, «le rimesse in conto corrente, pagamenti ed accrediti in genere portati in diminuzione dell’esposizione debitoria nel corso del periodo sospetto per l’importo complessivamente indicato in citazione, chiedendo, quindi, la condanna della banca al pagamento della corrispondente somma ovvero di quella diversa risultante nel corso del processo»;

         che le banche convenute, costituitesi ritualmente nei rispettivi giudizi, hanno resistito alla domanda, eccependo tutte in via pregiudiziale l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 Cost.;

         che, quanto alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale, il giudice rimettente afferma che essa è insita «nella possibilità stessa di proporre l’azione revocatoria» fallimentare, «pur in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione», grazie alla previsione dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003, e che «la rilevanza riverbera, poi, anche sotto il profilo del computo dei termini del così detto periodo sospetto, in quanto è evidente, che, qualora si superasse la questione precedente, nel corso del processo sarebbe indispensabile esaminare i crediti revocandi a partire da un determinato momento storico in poi, integrante, appunto, il già detto periodo sospetto, all’interno del quale deve ricadere l’atto solutorio oggetto dell’azione revocatoria»;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza della prima questione, il giudice a quo, riproducendo la motivazione di altre ordinanze di rimessione pronunciate dallo stesso Tribunale in data 18 novembre 2005, nonché in date 16 e 23 febbraio 2006, osserva che l’amministrazione straordinaria cosiddetta “accelerata” (introdotta dal decreto-legge n. 347 del 2003) e la procedura di amministrazione straordinaria “ordinaria” (disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999) si differenziano per quanto attiene alle «fasi di ingresso» ed ai requisiti dimensionali concernenti il numero dei dipendenti e l’entità dei debiti, senza che le innovazioni introdotte dal decreto-legge n. 347 del 2003 alterino i caratteri comuni a quelli della procedura disciplinata dal d.lgs. n. 270 del 1999;

         che in entrambe le procedure è prevista l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, ma che essa, nella procedura cosiddetta “ordinaria”, è consentita «soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali» (art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 270 del 1999), e ciò coerentemente con la ratio dell’azione, che, secondo la concezione “indennitaria”, mira a ricostituire il patrimonio dell’imprenditore, ovvero, secondo la configurazione “antindennitaria”, tende a distribuire le perdite nell’ambito di una cerchia di creditori più ampia rispetto a quella che comprende soltanto i soggetti che sono tali al tempo dell’apertura della procedura;

         che, nonostante questa duplice finalità, recuperatoria e redistributiva, non sia conciliabile con una procedura strumentale alla conservazione dell’impresa, la norma denunciata ha irragionevolmente esteso a questa ipotesi l’ambito di applicabilità dell’azione revocatoria fallimentare, interrompendo «immotivatamente quel legame di continuità […] tra finalità concretamente perseguita dalla procedura e strumenti alla stessa connessi»;

         che l’ammissibilità dell’azione nella fase di risanamento dell’impresa ha «ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art. 49» del d.lgs. n. 270 del 1999, in violazione del canone di ragionevolezza, poiché le azioni disciplinate dai succitati artt. 6 e 49 riguardano procedure analoghe, che coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo;

         che non vale sostenere la compatibilità dell’azione revocatoria con l’ipotesi di cessione dell’attività d’impresa, realizzata mediante un concordato, ad un soggetto terzo (l’assuntore o una diversa società), in quanto la norma censurata prevede in linea generale la proponibilità dell’azione revocatoria anche qualora sia stato autorizzato il programma di ristrutturazione, indipendentemente dalla circostanza che questo sia realizzato secondo le modalità ordinarie (art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2003), ovvero mediante un concordato, che può costituire uno degli strumenti del programma di ristrutturazione (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge citato);

         che, in riferimento all’art. 41 Cost., il giudice a quo osserva che il risanamento dell’impresa attuato mediante l’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare costituisce un ingiustificato privilegio per l’impresa ammessa alla procedura e realizza un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto il ricavato dell’azione revocatoria non è destinato al soddisfacimento dei creditori, ma costituisce una forma di finanziamento forzoso a favore dell’impresa insolvente ed a carico dei terzi;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione relativa all’art. 6, comma 1-ter, del decreto-legge n. 347 del 2003, il quale fa decorrere il cosiddetto periodo sospetto «dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2 dell’articolo 2», ossia dal decreto ministeriale di ammissione alla procedura, e «si applica anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento», il Tribunale – rilevato che l’art. 49, comma 2, del d.lgs. n. 270 del 1999 fa decorrere i medesimi termini dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, e dunque da un momento successivo a quello indicato dalla norma denunciata – osserva che tale anticipazione sarebbe «del tutto ingiustificata e irragionevole», sì da violare l’art. 3 Cost.;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, sollevata in riferimento all’art. 42 Cost., relativa al combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del decreto-legge n. 347 del 2003, il giudice rimettente – premesso che, in caso di vittorioso esperimento dell’azione revocatoria fallimentare, il creditore soccombente, che abbia restituito la somma percepita, diviene «titolare di un corrispondente diritto di credito, d’ammontare pari a quello della soccombenza», e che il citato art. 4-bis, comma 10, stabilisce che, in caso di approvazione del concordato, «la sentenza è provvisoriamente esecutiva e produce effetti nei confronti di tutti i creditori per titolo, fatto, ragione o causa anteriore all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria» – osserva che la lettera di tale disposizione non consente al creditore convenuto, che risulti soccombente a seguito dell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, di far valere, ex art. 71 della legge fallimentare, nei confronti dell’assuntore il suo credito in quanto originato da «un fatto sicuramente posteriore all’apertura della procedura»;

         che nel primo giudizio dinanzi alla Corte (n. 95 r.o. 2006) si sono costituiti Sanpaolo IMI s.p.a., Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio società cooperativa, Banca Popolare di Cremona s.p.a., Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a., Banca Carige s.p.a. – Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Banca Popolare di Verona e Novara soc. coop. a r. l., parti convenute nel processo principale, le quali tutte hanno concluso per l’accoglimento delle questioni di costituzionalità;

         che nel secondo giudizio dinanzi alla Corte (n. 164 r.o. 2006) si è costituita Credit Suisse International (già Credit Suisse First Boston International), parte convenuta nel processo principale, chiedendo che le questioni siano accolte e lamentando, inoltre, «un vizio di eccesso di potere legislativo sotto il profilo dello sviamento (o del vizio del fine o della causa), nel senso che la normativa considerata, al di là del suo apparente contenuto dispositivo, è stata adottata soltanto ex post facto, al fine di sovvenire alle esigenze via via manifestate dall’amministrazione straordinaria di Parmalat, ed è, pertanto, da ritenersi incostituzionale per il fatto di aver perseguito un fine diverso da quello desumibile dal suo contenuto dispositivo»;

         che nel secondo, terzo e quarto giudizio dinanzi alla Corte si è, altresì, costituita Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, l’infondatezza delle questioni;

         che in tutti e quattro i giudizi dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, richiamando le considerazioni già svolte nei precedenti giudizi e in particolare in quelli definiti con la sentenza n. 172 del 2006 di questa Corte, e deducendo l’irrilevanza della seconda e della terza questione;

         che nei quattro giudizi dinanzi alla Corte è intervenuta, altresì, Parmalat s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, la quale ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza delle questioni;

         che nel giudizio n. 95 r.o. 2006 Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio società cooperativa, Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a., Banca Popolare di Verona e Novara soc. coop. a r. l. e Sanpaolo IMI s.p.a. hanno presentato memorie illustrative delle rispettive conclusioni;

         che Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio società cooperativa, riguardo alla prima questione, osserva che nella procedura di amministrazione straordinaria ex “legge Marzano” una fase liquidatoria ha inizio solo quando, a seguito del diniego dell’autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione proposto dal commissario straordinario, venga approvato un programma di cessione dei complessi aziendali ovvero sia disposta la conversione della procedura in fallimento (art. 4, commi 4 e 4-bis, del decreto-legge n. 347 del 2003), mentre, qualora si dia corso ad un programma di ristrutturazione, di cui sia parte integrante un concordato, si rimane nella fase conservativa della procedura, e che un tale concordato «differisce pertanto dal concordato fallimentare ex art. 124 l.f. che si inserisce, per sua natura, in una procedura liquidatoria (avviata con la sentenza dichiarativa di fallimento)»;

         che, poiché la procedura di amministrazione straordinaria ex “legge Marzano” è una «sottospecie» della procedura ex “legge Prodi-bis”, non sussistono motivi che possano giustificare, obiettivamente, quanto a decorrenza dei termini del «periodo sospetto», una diversità di regime fra le due procedure, sicché «tale diversità risulta irragionevole e pertanto in contrasto con il principio sancito dall’art. 3 della Costituzione»;

         che Banco di Brescia San Paolo CAB s.p.a. critica le motivazioni della sentenza di questa Corte n. 172 del 2006, osservando che «la prosecuzione dell’attività di impresa, attuata con il concordato con assuntore, non è affatto temporanea e finalizzata alla dismissione dei beni aziendali, ma è finalizzata alla ristrutturazione del medesimo complesso imprenditoriale nel suo insieme (integralmente ceduto ad un terzo)», sicché manca «quella finalità liquidatoria che costituisce il presupposto indispensabile per l’esercizio dell’azione revocatoria»;

         che il richiamo all’art. 124 della legge fallimentare non sarebbe pertinente, dal momento che tale norma «ha quale presupposto l’esistenza di una fase liquidatoria mancante nel caso di specie», in quanto il concordato previsto dall’art. 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003, «è pur sempre una attuazione del piano di ristrutturazione economica e non trasforma» la procedura in questione in una procedura liquidatoria;

         che Banca Popolare di Verona e Novara soc. coop. a r. l., ribadito che il concordato previsto dall’art. 4-bis del decreto-legge n. 347 del 2003 «appartiene sempre e comunque al programma di ristrutturazione, e giammai ad una “fase liquidatoria” della procedura», osserva che soltanto quando sia adottato un programma di cessione dei complessi aziendali «si evita l’irragionevole disparità di trattamento con il regime di cui alla legge Prodi-bis, oltreché la violazione del principio di libertà economica»;

         che, riguardo alla seconda questione, osserva che «non è dato comprendere che cosa abbia a che vedere l’inizio “accelerato” della procedura di amministrazione straordinaria per l’insolvenza di una grande impresa con il computo del periodo sospetto per l’impugnazione di atti lesivi della par condicio precedentemente compiuti»;

         che, riguardo alla terza questione, osserva che, poiché secondo la giurisprudenza di legittimità l’azione revocatoria fallimentare ha natura «costitutiva», «onde il credito del terzo revocato nasce con la sentenza di revoca, e quindi in corso di procedura», la norma dell’art. 4-bis, comma 10, del decreto-legge n. 347 del 2003 «sacrifica irrimediabilmente il credito del terzo revocato», in violazione dell’art. 42 Cost.;

         che Sanpaolo IMI s.p.a. osserva – riguardo alla prima questione – che, proprio in base alla sentenza n. 172 del 2006 di questa Corte, «si deve ritenere che la soluzione concordataria con la quale si determini l’evoluzione di un programma di ristrutturazione in un programma di cessione sia quella che assicura la soddisfazione dei creditori non attraverso la mera ristrutturazione delle originarie risorse (attive e passive) dell’impresa decotta, ma mediante l’intervento di un soggetto terzo, e dunque estraneo all’originaria impresa» e che «questi, a fronte del trasferimento degli attivi paghi con risorse proprie, e dunque, nuovamente estranee alle risorse originarie dell’impresa, un corrispettivo da distribuire ai creditori nel rispetto delle regole del concorso»; laddove nel «caso Parmalat» il recupero dell’equilibrio economico «è assicurato mediante l’utilizzo esclusivo delle risorse proprie delle imprese decotte e senza intervento di alcun soggetto terzo né di alcuna risorsa esterna»;

         che, al momento dell’approvazione della proposta di concordato, i creditori non hanno ricevuto «alcun corrispettivo per il trasferimento delle revocatorie» all’assuntore, «poiché le partecipazioni azionarie che sono state loro assegnate in pagamento sono state calcolate sulla base di un rapporto di cambio determinato in ragione del rapporto (cosiddetta recovery ratio o percentuale concordataria) tra la massa passiva di ciascuna delle società debitrici interessate dalla proposta e la relativa massa attiva», individuata sulla base di criteri «che hanno esclusivamente valorizzato gli asset patrimoniali, senza tenere alcun conto delle eventuali sopravvenienze recuperabili dall’esito delle revocatorie»; di modo che i benefici delle revocatorie non hanno in alcun modo concorso «a comporre il patrimonio in relazione al quale viene determinato il quantum da corrispondere ai creditori chirografari e, conseguentemente, a ridurre la falcidia del loro credito» (come, invece, ritenuto dalla citata sentenza n. 172 del 2006);

         che, con memorie depositate in tutti i giudizi, Parmalat s.p.a. in amministrazione straordinaria e Parmalat s.p.a., riguardo alla prima questione, osservano che l’art. 6 del decreto-legge n. 347 del 2003, «considerato nel suo insieme […] non fa che ribadire un principio generale accolto nel nostro ordinamento, principio che consente l’esercizio delle azioni revocatorie in presenza di un risanamento oggettivo e cioè del trasferimento ad un nuovo imprenditore del complesso produttivo operante, e non consente l’esercizio di tali azioni in presenza di un risanamento soggettivo, e cioè della permanenza dell’impresa in capo all’imprenditore originario»; lo stesso art. 6 «non confligge, peraltro, con l’art. 41 della Costituzione perché, quando il terzo assuntore del concordato abbia sostenuto un costo per la cessione delle azioni revocatorie, non è configurabile un raffronto con altri operatori economici, presenti sul mercato, che tale costo non abbiano sostenuto»;

         che, riguardo alla seconda questione, le suddette parti osservano che l’art. 6, comma 1-ter, del decreto-legge n. 347 del 2003 «non confligge con l’art. 3 della Costituzione perché è perfettamente in linea con un principio generale del nostro ordinamento concorsuale che fa decorrere il c.d. periodo sospetto dal “primo” provvedimento di apertura della procedura»;

         che, riguardo alla terza questione, osservano che il combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003 non confligge con l’art. 42 Cost., perché nella procedura ex “legge Marzano” è assicurato «ai soggetti che siano divenuti creditori, per effetto delle restituzioni operate in sede revocatoria, lo stesso trattamento riservato agli altri creditori concorrenti».

         Considerato che il Tribunale ordinario di Parma, con quattro ordinanze del 20 febbraio 2006, dubita della legittimità costituzionale:

a) dell’art. 6, comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificato dall’art. 4-ter del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nella parte in cui consente l’esercizio delle azioni revocatorie previste dagli artt. 49 e 91 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274), in costanza di un programma di ristrutturazione; questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione;

b) dell’art. 6, comma 1-ter, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge n. 119 del 2004, come modificato dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui dispone che i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo secondo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), si computano a decorrere dalla data di emanazione del decreto di ammissione dell’impresa alla procedura di amministrazione straordinaria e rende applicabile tale disposizione anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento; questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.;

c) del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, nella parte in cui prevede «una sostanziale espropriazione del credito» di cui all’art. 71 del regio decreto n. 267 del 1942 (legge fallimentare); questione sollevata in riferimento all’art. 42 Cost.;

         che, ponendosi con tutte le ordinanze di rimessione le medesime questioni, i relativi giudizi devono essere riuniti;

         che, relativamente alle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., concernenti l’esperibilità delle azioni revocatorie nel corso di una procedura il cui programma preveda ab initio un concordato con assuntore, non sono addotte argomentazioni, nemmeno negli scritti difensivi delle parti private, che possano indurre questa Corte a pervenire a conclusioni diverse da quelle di cui alla sentenza n. 172 del 2006 ed alla successiva ordinanza n. 409 del 2006;

         che tali questioni, dunque, sono manifestamente infondate, dovendosi ribadire che la procedura di amministrazione straordinaria ex “legge Marzano”, ove nel programma di ristrutturazione sia inserito un concordato con assunzione, quale «parte integrante» di esso (art. 4-bis, comma 5, del decreto-legge n. 347 del 2003), al fine di provvedere alla «soddisfazione dei creditori» (art. 4-bis, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003), si caratterizza come procedura liquidatoria, e non già di risanamento, sin dalla fase iniziale, posto che il complesso delle attività dell’imprenditore insolvente viene ad essere trasferito all’assuntore – necessariamente dotato di soggettività giuridica distinta dal debitore –, dietro il corrispettivo di attribuzioni patrimoniali destinate ai creditori, sicché è escluso in radice che la procedura sia indirizzata a consentire allo stesso debitore di recuperare «la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» alla scadenza del programma (artt. 70, comma 1, lettera b, e 74, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 270 del 1999);

         che, in tale quadro, il promovimento delle «azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91» del d.lgs. n. 270 del 1999 (art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 del 2003), in funzione della cessione delle medesime all’assuntore «come patto di concordato» (art. 4-bis, comma 1, lettera c-bis, del decreto-legge n. 347 del 2003), non può che tradursi «in un vantaggio per i creditori», e non certo per l’imprenditore insolvente, espropriato di tutti i suoi beni;

 

         che, pertanto, conclusivamente, deve dirsi che di un risultato di risanamento, senza liquidazione dei beni, può parlarsi solo quando sia il medesimo originario imprenditore a riprendere l’attività economica;

         che analoga pronuncia di manifesta infondatezza deve emettersi riguardo alle altre questioni sollevate in ordine al dies a quo del cosiddetto “periodo sospetto” ed in ordine alla «sostanziale espropriazione» che, del suo credito, subirebbe il soggetto nei cui confronti sia stata vittoriosamente esperita l’azione revocatoria;

         che, quanto alla prima delle due questioni ricordate, la scelta del legislatore di far decorrere il termine per le azioni revocatorie, a ritroso, dal decreto ministeriale di ammissione alla procedura in luogo che dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza non può dirsi lesiva del principio di parità di trattamento di situazioni analoghe, dal momento che la procedura di cui al d.lgs. n. 270 del 1999 inizia con la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, la quale sentenza, invece, nella procedura ex decreto-legge n. 347 del 2003, segue il decreto ministeriale di ammissione;

         che la scelta di far coincidere il dies a quo per le azioni revocatorie con l’emanazione del provvedimento di apertura della procedura non può certamente dirsi irragionevole, specialmente se si considera che nel decreto-legge n. 347 del 2003 è tale atto – analogamente a quanto è previsto per la sentenza dichiarativa di fallimento (art. 42 della legge fallimentare) – a determinare «lo spossessamento del debitore e l’affidamento al commissario straordinario della gestione dell’impresa e dell’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente» (art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 347 del 2003) e che nella liquidazione coatta amministrativa il termine per l’esercizio delle azioni revocatorie decorre dal provvedimento di apertura della procedura (art. 203 della legge fallimentare) e, pertanto, dal decreto ministeriale che ordina la liquidazione, se questo precede la sentenza di accertamento dello stato di insolvenza;

         che la questione – posta sulla base di una letterale interpretazione delle norme censurate ed invocando un parametro costituzionale (art. 42 Cost.) di dubbia pertinenza (sentenze n. 401 del 1987 e n. 99 del 1976) – relativa alla pretesa «espropriazione», che subirebbe il terzo soccombente in revocatoria, è priva di fondamento, essendo principio giurisprudenziale incontroverso quello secondo il quale la revoca del pagamento elimina l’effetto estintivo dell’adempimento e, pertanto, non crea ex novo un credito, ma fa risorgere, insoddisfatto, il credito originario, con il suo carattere concorsuale, e, conseguentemente, rende applicabile il disposto dell’art. 71 della legge fallimentare.

         Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

         riuniti i giudizi,

         dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 1-ter, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e aggiunto dall’art. 4-quater del decreto-legge 3 maggio 2004, n. 119 (Disposizioni correttive ed integrative della normativa sulle grandi imprese in stato di insolvenza), convertito, con modificazioni, nella legge 5 luglio 2004, n. 166, nonché del combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 347 del 2003, come, rispettivamente, modificato dall’art. 4-ter e sostituito dall’art. 3 del decreto-legge n. 119 del 2004, modificati dalla legge di conversione n. 166 del 2004, questioni sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Parma con le ordinanze in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2006.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Romano VACCARELLA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2006.