Ordinanza n. 453 del 2006

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ORDINANZA N. 453

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                                   Presidente

-    Giovanni Maria      FLICK                                                  Giudice

-    Francesco               AMIRANTE                                              ”

-    Ugo                        DE SIERVO                                              ”

-    Romano                 VACCARELLA                                        ”

-    Paolo                      MADDALENA                                         ”

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies (introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promossi con ordinanze del 21 ottobre, del 2 novembre, del 24 ottobre, del 4 novembre 2005 dal Giudice di pace di Torre Annunziata e del 23 dicembre 2005 dal Giudice di pace di Napoli, rispettivamente iscritte ai nn. 48, 49, 125, 141 e 142 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 18 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti, gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito  nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che il Giudice di pace di Torre Annunziata, con quattro ordinanze (r.o. nn. 48, 49, 125 e 141 del 2006), ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 24, 42 e 111 della Costituzione – degli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies (introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Modificazioni al codice della strada», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che, nella prima delle citate ordinanze di rimessione (r.o. n. 48 del 2006), il rimettente premette, in punto di fatto, di dovere giudicare di un ricorso ex art. 204-bis del codice della strada, concernente un verbale di contestazione di infrazione stradale relativo alla violazione dell’art. 171, commi 1 e 2, del medesimo codice, precisando che il ricorrente si duole del fatto che il proprio ciclomotore – condotto da altri, «contro la sua volontà» – risulta essere stato assoggettato a sequestro da parte degli agenti accertatori, ai sensi dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, sebbene si fosse contestato solo al terzo trasportato l’infrazione consistente nel mancato uso del casco protettivo;

che, ciò premesso, reputa il giudice rimettente di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dei predetti artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada, giacché la previsione secondo cui è «sempre disposta la confisca in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli articoli 169, commi 2 e 7, 170 e 171» del codice stradale sarebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, 42, 24 e 111 della Costituzione;

che è dedotta, in primo luogo, la violazione dell’art. 42 della Carta fondamentale, sotto un duplice profilo;

che si assume, da un lato, che «con la sanzione del sequestro, prodromica alla confisca obbligatoria, si sottrae la proprietà del bene al legittimo proprietario e/o possessore, gravandolo inoltre delle spese di custodia senza limite di tempo» e si censura, dall’altro, la previsione del sequestro anche nel caso «dell’appartenenza del ciclomotore o del motoveicolo a terzo non trasgressore», giacché detta previsione «costituisce una sottrazione immotivata, illegittima, ed, in ultima analisi, illecita del bene», in quanto effettuata nei confronti di un soggetto non responsabile di alcuna delle infrazioni sanzionate dagli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada;

che, a tale ultimo proposito, il rimettente rileva come la denunciata censura di incostituzionalità non possa essere disattesa in ragione di quanto previsto dal comma 6 del predetto art. 213 del codice della strada, essendo lo stesso «in contrasto insuperabile con il contenuto del comma 2-sexies del medesimo art. 213»;

che si ipotizza, poi, la violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione;

che, al riguardo, il rimettente sottolinea «la evidente sproporzione tra violazione e sanzione» comminata, giacché, variando «la differenza di valore del singolo ciclomotore o motoveicolo confiscato», si verrebbe, per tale motivo, a punire «in modo diverso il trasgressore rispetto alla medesima violazione», con conseguente lesione dei diritti inviolabili dell’uomo, «tra i quali va compreso il diritto all’eguaglianza»;

che i medesimi parametri sono evocati, poi, sotto altro profilo, evidenziandosi come le norme impugnate realizzino «una evidente disparità di trattamento tra il conducente di ciclomotori o motoveicoli» e «i conducenti di tutti gli altri veicoli, rispetto alla medesima ratio di salvaguardia dell’integrità fisica» dell’utente della strada: difatti, le misure del sequestro e poi della confisca non sono previste per chi realizza infrazioni che, al pari di quelle di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada, risultano altrettanto idonee a porre in pericolo l’integrità fisica del conducente, quali, in via esemplificativa, il mancato uso della cintura di sicurezza, la guida in stato di ebbrezza o di alterazione da sostanze psicotrope, l’impiego, da parte del conducente di un autoveicolo, di apparecchi telefonici cellulari o, infine, l’attraversamento della sede stradale sebbene il semaforo emetta luce rossa;

che, da ultimo, viene dedotta anche la violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione;

che, da un lato, si rileva che la disciplina recata dalle disposizioni impugnate «sottrae a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione, ancorché amministrativa», di una tale «gravità economica» da superare, in alcune ipotesi, persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»;

che, inoltre, l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nello stabilire la possibilità della confisca di un bene «adoperato per commettere una delle violazioni» di cui ai precedenti artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171, presuppone la «volontarietà» dell’illecito, in contrasto «con il principio secondo il quale in materia di sanzione amministrativa è ininfluente l’elemento psicologico»;

che, su tali basi, il rimettente – non senza richiamare la sentenza della Corte n. 27 del 2005, nonché i principi di cui agli artt. 3 e 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – ha concluso per l’accoglimento della questione sollevata;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

che la difesa erariale deduce, in via preliminare, «l’irrilevanza della questione sollevata in relazione all’art. 171, commi 1 e 2» del codice della strada;

 

che, difatti, tali disposizioni «prevedono l’obbligo di indossare il casco e comminano la sanzione pecuniaria principale in caso di inosservanza», rimanendo, pertanto, estranea al loro contenuto precettivo ogni determinazione in riferimento al ciclomotore, con la conseguenza, quindi, che nel caso di specie – sottolinea la difesa erariale – la «sola disposizione astrattamente rilevante potrebbe essere l’art. 213, comma 2-sexies, che prevede la confisca obbligatoria» proprio nel caso in cui ricorra taluna delle infrazioni di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del medesimo codice della strada;

 

che, tuttavia, anche la questione avente ad oggetto l’art. 213, comma 2-sexies, si presenta «irrilevante», sebbene «sotto un diverso profilo»;

che, invero, il proprietario del ciclomotore confiscato, che ha promosso il giudizio a quo, risulta del tutto estraneo all’infrazione in relazione alla quale la confisca è stata disposta, giacché egli non era alla guida del mezzo (che, oltretutto, «circolava contro la sua volontà»), non essendo, inoltre, elevata a suo carico la contestazione relativa al mancato uso del casco protettivo, infrazione accertata nei confronti di un terzo trasportato;

 

che da ciò consegue, secondo la difesa dello Stato, l’irrilevanza anche della questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, e ciò in quanto «il giudice non spiega per quale motivo ritenga di dover confermare la confisca», sebbene sembri ritenere provato il fatto della circolazione del veicolo contro la volontà del proprietario, circostanza idonea – ai sensi dell’art. 191, comma 1, del codice della strada – ad escludere l’applicazione, nei confronti del proprietario del veicolo, non solo della sanzione pecuniaria comminata per l’infrazione accertata, ma anche di quella accessoria prevista dal predetto art. 213, comma 2-sexies;

 

che a identica conclusione, d’altra parte, questa Corte dovrebbe pervenire – osserva ancora l’Avvocatura generale dello Stato – qualora reputi, in alternativa, che il giudice a quo non abbia chiarito se debba ritenersi provato «il fatto che il veicolo circolava contro la volontà del proprietario», giacché, in questo caso, difetterebbe un’adeguata motivazione sull’incidenza, rispetto al giudizio principale, del prospettato dubbio di costituzionalità;

 

che, infine, sempre con riferimento al dedotto difetto di rilevanza della questione, la difesa erariale evidenzia come nell’ordinanza di rimessione si affermi, «senza alcuna motivazione», che la previsione di cui all’art. 213, comma 6, del codice della strada (secondo cui la sanzione della confisca «non si applica se il veicolo appartiene a persone estranee alla violazione amministrativa e l’uso può essere consentito mediante autorizzazione amministrativa») «sarebbe derogata dal comma 2-sexies del medesimo articolo»;

 

che, in subordine, l’Avvocatura generale dello Stato deduce l’infondatezza della questione sollevata sulla base dei seguenti rilievi;

 

che la confisca è rivolta a sottrarre la disponibilità di ciclomotori e motoveicoli a coloro i quali, mostrandosi indifferenti all’obbligo di indossare il casco protettivo, realizzano, con il proprio contegno, «una causa di incremento del pericolo di lesioni craniche da circolazione di motocicli», sicché – sottolinea la difesa erariale – anche «il proprietario che autorizzi o tolleri l’uso del motociclo da parte di soggetti che non rispettano l’obbligo in questione» è ragionevolmente sottoposto, dal censurato art. 213, comma 2-sexies, a tale sanzione;

che, pertanto, l’applicazione della sanzione de qua trova – in questo ultimo caso – la sua ragion d’essere nella circostanza che il proprietario del veicolo «ha accettato di concorrere all’incremento complessivo del rischio da circolazione e, contemporaneamente, ha rinunciato ad esercitare un controllo personale e diretto sul comportamento del conducente», di talché, quella ipotizzabile nei suoi confronti, non è un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui, bensì di «autorietà mediata»;

 

che nessuna violazione del principio di eguaglianza, poi, può essere ravvisata nel caso di specie;

 

che, difatti, è priva di fondamento la censura che tende a stigmatizzare il fatto che la confisca obbligatoria «non sia prevista per violazioni stradali che il giudice rimettente considera più gravi sotto il profilo degli interessi protetti», atteso che la legittimità costituzionale di una sanzione va riconosciuta «qualora sussista una ragionevole coerenza tra la sua misura ed entità e gli interessi protetti dal precetto di cui la sanzione è presidio»;

che, nella specie, prosegue la difesa erariale, «la prevenzione del rischio individuale e sociale da trauma cranico, specifico e peculiare della circolazione motociclistica, rende ragione sufficiente di una misura intesa a togliere la disponibilità del mezzo specifico della creazione di tale rischio»;

che tali rilievi, inoltre, valgono a fugare l’ulteriore dubbio relativo alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, dimostrando come, nell’applicazione della sanzione de qua, «non abbia alcun rilievo il valore dei motocicli confiscati», giacché attraverso detta sanzione non si «tende a colpire il patrimonio del responsabile, bensì a rimuovere una causa di incremento del rischio di cui si è detto»;

 

che, infine, si esclude l’esistenza di un contrasto tra le norme impugnate e gli artt. 24 e 111 della Costituzione conseguente al «carattere rigido» di tale sanzione, essendo quella della confisca obbligatoria una «sanzione ampiamente nota all’ordinamento penale e sanzionatorio amministrativo», giustificata dalla «necessità di eliminare le cause materiali di potenziali, ulteriori, lesioni dell’interesse protetto»;

 

che con le altre citate ordinanze (r.o. nn. 49, 125 e 141 del 2006) il medesimo Giudice di pace di Torre Annunziata ha sollevato pressoché identiche questioni di legittimità costituzionale;

che, in particolare, nel primo di tali provvedimenti di rimessione (r.o. n. 49 del 2006), il giudice a quo deduce, in punto di fatto, di dover decidere dell’opposizione proposta avverso un verbale con cui si contesta, al ricorrente, la violazione dell’art. 171, commi 1 e 2, del codice della strada;

che il rimettente, pertanto, «dichiara rilevante nel giudizio in corso» la questione relativa a tale disposizione, nonché all’art. 213, comma 2-sexies, del medesimo codice della strada, questione che solleva – sulla base di argomenti simili a quelli svolti nella ordinanza r.o n. 48 del 2005 – in riferimento ai soli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione;

che, infatti, quanto ai primi due parametri, ribadisce la sproporzione «tra violazione e conseguenze economiche della sanzione», sottolineando come l’irragionevolezza di tale circostanza sia «amplificata» dalla «notevole diversità di valore economico riguardo ai singoli ciclomotori o motoveicoli confiscati», ciò che porta a punire «in modo ingiustificatamente diverso i trasgressori», pur in presenza della medesima infrazione, in evidente spregio del diritto «inviolabile» all’eguaglianza;

che il contrasto con l’art. 42 della Costituzione viene, invece, ravvisato nel fatto che le norme impugnate non distinguono «l’ipotesi dell’appartenenza del ciclomotore o del motoveicolo a terzo non trasgressore, dando luogo ad una sottrazione illegittima del bene a soggetto non responsabile», gravandolo, inoltre, «delle spese di custodia senza limite di tempo»;

che, infine, nelle ultime due citate ordinanze di rimessione (r.o. n. 125 e n. 141 del 2006), il Giudice di pace di Torre Annunziata censura, nuovamente, gli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies, del codice della strada, ipotizzando il contrasto con tutti i parametri – artt. 2, 3, 24, 42 e 111 della Costituzione – già evocati nell’ordinanza r.o. n. 48 del 2006;

che il predetto Giudice evidenzia di dover decidere, in entrambi i casi, ricorsi proposti da soggetti proprietari di motoveicoli, alla conduzione di ciascuno dei quali i ricorrenti venivano sorpresi privi del casco protettivo (donde l’elevazione a loro carico di verbale di contestazione di infrazioni amministrative);

che alle censure, già in precedenza illustrate, di violazione degli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione, il rimettente affianca quella – peraltro anch’essa oggetto della ricordata ordinanza r.o. n. 48 del 2006 – basata sull’ipotizzato contrasto con gli artt. 24 e 111 della Carta fondamentale, giacché la disciplina impugnata «sottrae a qualsivoglia giudice terzo la comminatoria di una sanzione», di una tale «gravità economica» da superare, in alcune ipotesi, persino «l’entità di sanzioni pecuniarie previste dalle leggi penali»;

che, in particolare, l’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nello stabilire la possibilità della confisca di un bene «adoperato per commettere una delle violazioni» di cui ai precedenti artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171, presuppone la «volontarietà» dell’illecito, in contrasto «con il principio secondo il quale in materia di sanzione amministrativa è ininfluente l’elemento psicologico»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri – con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato – è intervenuto anche nei giudizi che originano da tali ordinanze di rimessione, ribadendo le medesime tesi e conclusioni svolte e rassegnate già in relazione al primo dei provvedimenti emessi dal Giudice di pace rimettente (all’infuori dell’eccezione relativa all’irrilevanza delle questioni sollevate, basata sulla circostanza che la circolazione dei motocicli sarebbe avvenuta contro la volontà dei proprietari, atteso che, nella specie, proprio costoro risultano sanzionati per essere stati colti alla conduzione dei veicoli in difetto del casco protettivo);

che anche il Giudice di pace di Napoli (r.o. n. 142 del 2006), ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – del solo art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada;

che il rimettente premette di essere chiamato a decidere dell’opposizione proposta dal proprietario di un motoveicolo, sorpreso alla conduzione dello stesso senza indossare il casco protettivo, a carico del quale, dunque, veniva contestata la violazione dell’art. 171, comma 1, del codice della strada, con conseguente sequestro e confisca del veicolo ai sensi del censurato art. 213, comma 2-sexies, del medesimo codice;

che, ciò premesso in fatto, il giudice a quo assume che la sanzione accessoria della confisca sia «in palese contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, per aperta violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione», nonché «per la disparità di trattamento tra le violazioni» del codice della strada (differenziate ingiustificatamente a seconda che siano commesse mediante motoveicoli o autoveicoli), ed anche in contrasto con «il principio di personalità» della sanzione;

che, in particolare, egli ravvisa un primo profilo di irragionevolezza nel fatto che «il contenuto afflittivo della disposizione impugnata risieda più nella sanzione accessoria disposta che in quella principale», denunciando segnatamente «l’incongruità» della corrispondenza, ad una «sanzione principale fissata in misura modesta», di «una sanzione accessoria notevolmente penalizzante per la libertà del cittadino»;

che richiamato, dunque, quell’indirizzo della giurisprudenza costituzionale (del quale, secondo il rimettente, sarebbero espressione le sentenze n. 144 del 2001, n. 58 del 1999, n. 297 del 1998, n. 313 del 1995) secondo cui «uno scrutinio che direttamente investa il merito delle scelte sanzionatorie del legislatore è possibile solo ove l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità», il giudice a quo reputa che tale evenienza ricorra nel caso di specie, dal momento che, osserva, neppure «l’esistenza di casi limite» può «giustificare misure sanzionatorie sproporzionate» (sentenza n. 110 del 1996);

che nella specie, quindi, il legislatore – non diversamente da quanto avvenuto con l’introduzione dell’art. 126-bis del codice della strada, sulla decurtazione dei punti dalla patente (norma dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 27 del 2005) – non avrebbe fatto un uso corretto del proprio potere discrezionale, anche perché ha disatteso l’«auspicio più volte espresso dalla Corte costituzionale della estrema necessità di “rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l’applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento” (sentenze n. 435 e n. 349 del 1997)»;

che ad un trattamento ingiustificatamente differenziato risultano assoggettati – secondo il rimettente – «chi conduce una moto o ciclomotore e chi guida un autoveicolo», e ciò con riferimento sia a «violazioni e trasgressioni relative agli stessi articoli del codice della strada», sia all’ipotesi di «uso del veicolo per commettere un reato» (atteso che, ai sensi della norma denunciata, la confisca è prevista unicamente per i veicoli a due ruote);

che quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art. 27 della Costituzione, richiamato il principio di cui all’art. 3 della legge n. 689 del 1981 (secondo cui «nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione o omissione»), il rimettente evidenzia come la sanzione della confisca del motoveicolo «colpisce inevitabilmente ed esclusivamente il proprietario di detto veicolo», anche quando questi sia estraneo alla commessa infrazione, «con evidente violazione del principio della personalità» della sanzione amministrativa;

 

che anche nel giudizio originato dall’iniziativa del rimettente napoletano è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata, sulla scorta dei medesimi argomenti già sopra illustrati.

Considerato che il Giudice di pace di Torre Annunziata e quello di Napoli hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale – il primo, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, il secondo, in riferimento ai soli articoli 3 e 27 della Carta fondamentale – degli artt. 171, commi 1 e 2, e 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Modificazioni al codice della strada», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada);

che, data la connessione esistente tra i vari giudizi, se ne impone la riunione ai fini di una unica pronuncia;

 

che, nelle more del presente giudizio, i commi 168 e 169 dell’art. 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), inseriti dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286, hanno, rispettivamente, modificato, l’uno, il testo dell’art. 171, comma 3, del codice della strada, l’altro, il testo del successivo art. 213, comma 2-sexies (norma, quest’ultima, denunciata da ambedue i giudici rimettenti);

 

che, difatti, in virtù del citato ius superveniens, mentre alla «sanzione pecuniaria amministrativa prevista dal comma 2» del medesimo art. 171 del codice della strada, in luogo della confisca originariamente prevista, «consegue il fermo del veicolo per sessanta giorni ai sensi del capo I, sezione II del titolo VI» dello stesso codice (ovvero per la durata di novanta giorni allorché, «nel corso di un biennio», sia «stata commessa, almeno per due volte, una delle violazioni previste dal comma 1» del predetto art. 171), ai sensi del novellato art. 213, comma 2-sexies, dello stesso codice della strada risulta «sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne»;

 

che, pertanto, alla luce di tale duplice sopravvenienza normativa si impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, per una rinnovata valutazione della rilevanza delle questioni dagli stessi sollevate.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti ai Giudici di pace di Torre Annunziata e di Napoli.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2006.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Alfonso QUARANTA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2006.