Sentenza n. 415 del 2006

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SENTENZA N. 415

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1 e 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), promosso dal Tribunale di Lamezia Terme nel procedimento civile instaurato da P. L. ed altri nei confronti della San Paolo IMI Asset Management – Società di gestione del risparmio s.p.a. con ordinanza del 30 giugno 2004, iscritta al n. 924 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di costituzione di P. L. ed altri (fuori termine) e della San Paolo IMI Asset Management – Società di gestione del risparmio s.p.a., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Udito nell’udienza pubblica del 21 novembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi gli avvocati Roberto Carleo per la San Paolo IMI Asset Management – Società di gestione del risparmio s.p.a. e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.–– Il giudice relatore di una controversia instaurata dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme in composizione collegiale ai sensi dell’art. 1, lettera d), del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), ha sollevato, con ordinanza del 30 giugno 2004 e in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, questione di legittimità dell’art. 10, commi 1 e 2, del citato d.lgs. n. 5 del 2003, «nella parte in cui prima vieta e, poi, sancisce la decadenza dal potere di proporre nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare o modificare domande o eccezioni già proposte nonché di formulare ulteriori istanze istruttorie e depositare nuovi documenti successivamente alla notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, anche quando tale ultima istanza sia stata notificata da parte convenuta dopo la sua costituzione, nella pendenza del termine per il deposito, a cura di parte attrice, della memoria di replica di cui agli artt. 4, secondo comma, e 6, primo e secondo comma,» dello stesso d.lgs. n. 5 del 2003.

Precisa il remittente che, con atto di citazione iscritto a ruolo il 20 febbraio 2004, la San Paolo IMI Asset Managment - Società di gestione del risparmio s.p.a era stata convenuta in giudizio da alcuni clienti – acquirenti di quote del fondo di investimento San Paolo Azioni Italia – i quali avevano chiesto all’adito Tribunale «di accertare e dichiarare l’invalidità e, comunque, la nullità e, comunque, l’annullabilità e, in ogni caso, l’inefficacia» del relativo contratto ovvero, in via subordinata, di dichiarare «risolto il suddetto contratto per esclusivo fatto e colpa imputabili alla società convenuta» e, in ogni caso, di condannare la convenuta alla restituzione di quanto indebitamente percepito nonché al risarcimento di tutti i danni. Con comparsa di risposta notificata il 28 aprile 2003 (recte: 28 aprile 2004) e depositata il successivo 30 aprile ai sensi degli artt. 4, commi 1 e 5, del d.lgs. n. 5 del 2003, la società convenuta si costituiva in giudizio, concludendo per il rigetto integrale di tutte le domande avanzate dagli attori, in quanto infondate in fatto e in diritto. Successivamente la convenuta medesima – con atto notificato lo stesso 30 aprile 2004 e depositato il successivo 7 maggio – presentava istanza per la fissazione dell’udienza di trattazione, ai sensi degli artt. 8, comma 2, lettera c), e 9, comma 3, del d.lgs. n. 5 del 2003. Gli attori, con nota notificata e depositata il 10 maggio 2004 ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 5 del 2003, insistevano per le conclusioni già rassegnate e formulavano nuove richieste istruttorie. La parte convenuta, con istanza notificata il 13 maggio 2004 e depositata il successivo 17 maggio ai sensi dell’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 5 del 2003, eccepiva l’intervenuta decadenza della parte attrice dal potere di formulare ulteriori istanze istruttorie. Gli attori, con una memoria di replica depositata il 28 maggio 2004, sostenevano l’irritualità dell’istanza di decadenza avanzata dalla convenuta sul rilievo che essa, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. civ., avrebbe dovuto essere proposta nella prima istanza o difesa successiva ritualmente disciplinata rispetto al procedimento instaurato e, cioè, con le memorie conclusionali di cui all’art. 12, comma 3, lettera e), del d.lgs. n. 5 del 2003. Gli attori aggiungevano che – in base all’interpretazione sistematica delle norme processuali disciplinanti il particolare procedimento in argomento, effettuata anche sulla base dei principi generali desumibili dal codice di rito (richiamati dall’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 5 del 2003) – doveva ritenersi che, nella pendenza del termine per la notificazione e il deposito della memoria di replica da parte dell’attore (ai sensi dell’art. 6 del citato d.lgs.), vi fossero comunque le condizioni per presentare la richiesta dei nuovi mezzi istruttori in contestazione, nonostante la proposizione dell’istanza di fissazione dell’udienza da parte del convenuto. Altrimenti si sarebbe dovuto dubitare della conformità agli artt. 3, 24, 76, 77 e 111 Cost. dell’art. 10, comma 2, del citato d.lgs. n. 5 del 2003, nella parte relativa alla categorica previsione della decadenza dalla formulazione di ulteriori richieste istruttorie e dal deposito di nuovi documenti da parte dell’attore a seguito della notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza a cura della controparte, anche in pendenza del termine per la notifica e il deposito della memoria di replica da parte dell’attore ai sensi degli artt. 4, comma 2, e 6, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 5 del 2003.

Il giudice relatore del collegio giudicante, dopo aver sottolineato che in applicazione dell’art. 10, comma 2, in oggetto, si sarebbe dovuta dichiarare la decadenza degli attori dalla presentazione delle richieste istruttorie in argomento, ha sollevato la presente questione di legittimità costituzionale (nella formulazione dianzi indicata e, cioè, estesa anche al comma 1 del medesimo art. 10), ritenendosi titolare della relativa legittimazione essendo a lui «demandata […] – e non al collegio decidente – l’ammissione delle richieste istruttorie ex art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 5 del 2003».

Quanto alla rilevanza il remittente precisa che, nella specie, gli attori hanno posto l’accento sul fatto che le richieste istruttorie di cui si tratta «trovavano la propria ragione giustificativa nella posizione difensiva assunta da parte convenuta nella comparsa di costituzione».

Per quel che riguarda il merito della questione, il giudice a quo sostiene che la disposizione censurata si pone, in primo luogo, in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto, del tutto irragionevolmente e contraddittoriamente, consente al convenuto – attraverso l’utilizzazione dello strumento processuale della presentazione dell’istanza di fissazione di udienza senza alcuna limitazione – di ostacolare l’effettivo esercizio del diritto di difesa da parte dell’attore, con conseguente disparità di trattamento fra le parti e concessione di un favor non giustificato a vantaggio di uno dei contendenti. La disposizione stessa violerebbe, in modo evidente, anche il diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., perché attribuisce ad una delle parti «la possibilità […] di incidere sulle facoltà di allegazione ordinariamente riconosciute alla controparte», permettendole, così, di stabilire unilateralmente il thema decidendum e il thema probandum, «con arbitraria neutralizzazione del diritto di replica della controparte». Il suddetto meccanismo si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost., perché, compromettendo gravemente la parità delle armi tra le parti, attribuisce al convenuto la facoltà di anticipare il momento di maturazione delle singole preclusioni a carico dell’attore, così negando a quest’ultimo il diritto di replica rispetto alle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta e impedendo la piena attuazione del contraddittorio. Infine, la disposizione censurata sarebbe in contrasto con l’art. 76 Cost. in quanto, eccedendo dalla delega di cui all’art. 12, comma 2, della legge 3 ottobre 2001, n. 366, «si discosta nettamente, nella definizione delle scadenze processuali, dalla disciplina del processo ordinario di cognizione».

2.–– Si è costituita in giudizio la società San Paolo IMI Asset Management che ha chiesto, anche in una memoria depositata in prossimità dell’udienza, che la questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.

Alla prima conclusione si perverrebbe sia per il difetto di legittimazione del giudice relatore remittente a sollevare la questione (avendo la normativa denunciata una diretta influenza sulla decisione della controversia, demandata al collegio), sia per l’irrilevanza della questione nel giudizio a quo, derivante dal fatto che, al di là dell’ampia formulazione adottata dal remittente, l’unica attività effettuata dagli attori è stata quella di presentare ulteriori istanze istruttorie, richiesta che non può farsi derivare dalla posizione difensiva assunta dalla società convenuta.

Peraltro, la normativa censurata non sarebbe affatto in contrasto con i parametri evocati, in primo luogo perché essa è il diretto portato della scelta del legislatore di attribuire a ciascuna delle parti, in corrispondenza con l’onere di completezza degli atti introduttivi del giudizio, il potere di rinunciare all’ampliamento del thema decidendum e di provocare, attraverso la richiesta di fissazione dell’udienza, l’immediata remissione della causa in decisione. D’altra parte, non si riscontrerebbe neppure alcuna violazione dell’art. 76 Cost., in quanto non solo le parti si trovano in una posizione di assoluta parità in riferimento alla determinazione delle scadenze di rito, ma comunque l’art. 12 della legge di delega non contiene alcun espresso riferimento al processo civile ordinario di cognizione, limitandosi a dare le direttive dell’attuazione del principio di concentrazione e della riduzione dei termini processuali.

3.–– E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o la manifesta infondatezza della questione, cui si perverrebbe, rispettivamente, per difetto di rilevanza e perché il remittente muove da un erroneo presupposto interpretativo, in quanto non avendo, nella specie, la convenuta atteso la replica degli attori o la scadenza del relativo termine, la sua istanza di fissazione dell’udienza sarebbe intempestiva e, come tale, inidonea a determinare la decadenza di cui all’art. 10, comma 1, censurato.

Considerato in diritto

1.–– Il giudice relatore in una causa svolgentesi con il rito societario davanti al Tribunale di Lamezia Terme in composizione collegiale ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1 e 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), «nella parte in cui prima vieta e, poi, sancisce la decadenza dal potere di proporre nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, di precisare o modificare domande o eccezioni già proposte, nonché di formulare ulteriori istanze istruttorie e depositare nuovi documenti successivamente alla notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, anche quando tale ultima istanza sia stata notificata da parte convenuta dopo la sua costituzione, nella pendenza del termine per il deposito, a cura di parte attrice, della memoria di replica di cui agli artt. 4, secondo comma e 6, primo e secondo comma, del d.lgs 17 gennaio 2003, n. 5».

Il remittente espone che la convenuta, dopo aver chiesto nella comparsa di costituzione il rigetto delle domande perché infondate in fatto e in diritto, senza assegnare agli attori alcun termine per la replica, aveva notificato e depositato istanza di fissazione dell’udienza; che gli attori, a loro volta, nel termine legale di trenta giorni avevano notificato la memoria di replica con la quale, tra l’altro, formulavano in via gradata nuove istanze istruttorie; che con ulteriore atto difensivo la convenuta aveva chiesto fosse dichiarata la decadenza degli attori dal potere di formulare nuove istanze istruttorie.

In punto di rilevanza, in siffatta situazione egli assume che non avrebbe potuto ammettere le istanze istruttorie proposte dagli attori nella memoria di replica, attesa la decadenza prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 5 del 2003.

Secondo il remittente, le disposizioni censurate contrasterebbero con i menzionati parametri in quanto, escludendo l’ulteriore esercizio del potere degli attori di dedurre nuove prove, inciderebbero sul diritto di difesa di costoro, creando una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti in violazione del principio della parità delle armi, elemento essenziale del principio costituzionale del giusto processo, ed in difformità della delega che tale disparità non prevedeva.

2.–– La questione non è ammissibile per carenze di motivazione in ordine ad una pluralità di profili.

L’ordinanza di rimessione, infatti, riferisce che la convenuta, con la comparsa di costituzione, aveva chiesto il rigetto delle domande perché infondate in fatto e in diritto, ma non espone neppure sinteticamente gli argomenti addotti a sostegno di siffatte generiche conclusioni e non riferisce quindi se il contenuto delle difese (della convenuta) fosse tale da determinare un ampliamento dell’oggetto dell’indagine processuale rispetto a quello delineato nell’atto di citazione.

Il remittente si limita ad affermare che «la questione di legittimità costituzionale è rilevante in quanto gli attori si dolgono del fatto che le richieste istruttorie formulate (interrogatorio formale e prova testimoniale nonché istanza di ammissione di consulenza tecnica d’ufficio in materia contabile), entro il termine per il deposito della memoria di replica e dopo la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza, trovavano la propria ragione giustificativa nella posizione difensiva assunta da parte convenuta nella comparsa di costituzione». In tal modo il remittente sostituisce alla esposizione dei fatti di causa ed alla propria necessaria valutazione dei medesimi, quella ininfluente della parte.

Le suindicate omissioni di corretta motivazione inficiano, anche riguardo ad altri aspetti, il ragionamento del giudice a quo sia in punto di rilevanza, che di non manifesta infondatezza.

Infatti, nell’ordinanza di rimessione, anziché ricollegare, com’è nel sistema del decreto legislativo n. 5 del 2003, il potere di notificare e depositare l’istanza di fissazione dell’udienza al contenuto delle difese dalla parte istante e quindi alla determinazione della materia controversa, si afferma che il decreto attribuisce «al convenuto la facoltà di utilizzare lo strumento processuale dell’istanza di fissazione dell’udienza senza alcuna limitazione» e gli «consente anche di ostacolare l’effettivo esercizio del diritto di difesa a danno dell’attore, per tale via riconoscendogli il potere di provocare meccanismi anticipati ed impeditivi del diritto di replica, con conseguente disparità di trattamento fra le parti e concessione di un favor non giustificato a vantaggio di uno dei contendenti, e ciò in palese violazione dell’art. 3 Cost.».

Con siffatto argomentare, però, il remittente trascura di motivare riguardo alle condizioni che legittimano l’istanza di fissazione dell’udienza, ai modi per farne valere l’illegittimità e all’individuazione degli organi a ciò deputati. E ciò comporta la carenza di motivazione anche sulla propria legittimazione a sollevare l’attuale questione, riguardo alla quale l’ordinanza di rimessione si limita all’affermazione «che nessun dubbio può correre sulla legittimazione del Giudice relatore nel procedimento instaurato a sollevare la questione di legittimità costituzionale, essendo demandata a tale Giudice e non al Collegio decidente l’ammissione delle richieste istruttorie ex art. 12, terzo comma, del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5».

Sul punto si osserva che questa Corte ha più volte affermato che anche un singolo componente (relatore, presidente) di un organo giurisdizionale collegiale è legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale, ma limitatamente alle ipotesi di questioni vertenti su norme che egli deve applicare (v. sentenze n. 109 del 1962, n. 62 del 1966, n. 90 del 1968, n. 125 del 1980, n. 1104 del 1988, n. 71 del 1994, n. 204 del 1997, n. 111 del 1998, ordinanze n. 157 del 1989, n. 59 del 1990, 436 del 1994, n. 295 del 1996, n. 552 del 2000, n. 23 del 2001, n. 391 del 2002). Nel caso in esame, il giudice a quo, relatore nella causa collegiale pendente davanti al Tribunale, ha addotto il proprio potere di ammettere le prove – peraltro trascurando la giurisprudenza di questa Corte – considerandolo in via astratta e non con riferimento alle disposizioni che, per quanto in particolare connota la fattispecie, regolano l’istanza di fissazione dell’udienza e la sua idoneità a provocare le decadenze di cui all’art. 10 del d.lgs n. 5 del 2003.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1 e 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione, dal giudice relatore del Tribunale di Lamezia Terme con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2006.