Sentenza n. 371 del 2006

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SENTENZA N. 371

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Romano                    VACCARELLA                            "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 31 gennaio 2001 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Riccardo De Corato nei confronti di Walter Ganapini, promosso con ricorso del Tribunale di Milano, prima sezione civile, notificato il 25 novembre 2004, depositato in cancelleria il 14 dicembre 2004 ed iscritto al n. 31 del registro conflitti 2004.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;

udito l’avvocato Nicolò Zanon per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza depositata il 6 ottobre 2003, il Tribunale di Milano, I sezione civile – nel corso del giudizio civile promosso da Walter Ganapini per il risarcimento dei danni conseguenti a dichiarazioni del senatore Riccardo De Corato – ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione, adottata dall’Assemblea il 31 gennaio 2001 (documento IV-quater, n. 58), con la quale, in conformità alla proposta formulata dalla Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari, si era ritenuto che i fatti per i quali è in corso tale giudizio – già oggetto di procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del senatore De Corato, definito con sentenza di non doversi procedere del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza in data 21 febbraio 2001 – concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni: con conseguente insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente espone che la pretesa risarcitoria si fonda sulle dichiarazioni del senatore, contenute in un’intervista al quotidiano «La Repubblica», pubblicata il 22 dicembre 1997. Il parlamentare avrebbe dichiarato – avuto riguardo ai rifiuti umidi provenienti dalla città di Milano – che «il conferimento dell’umido in discariche di mezza Italia è stata una prerogativa della giunta Formentini-Ganapini», come risulta dagli «atti della Commissione d’inchiesta del comune»; aggiungendo che «l’attuale management dell’AMSA» (Azienda municipalizzata per i servizi ambientali) «è lo stesso voluto dall’allora assessore all’ambiente Ganapini nel 1995» e che «a conferma di tutto ciò, vi è l’avviso di garanzia che la procura di Lanciano, in provincia di Chieti, aveva emesso nei confronti di Ganapini, che, violando le leggi della regione Abruzzo, aveva conferito nelle discariche di quel comune tonnellate di rifiuti di Milano».

Il Tribunale riferisce, altresì, che in relazione a tali dichiarazioni era stato in precedenza promosso, a seguito di querela del Ganapini, un procedimento penale nei confronti del senatore De Corato per diffamazione a mezzo stampa (art. 595, terzo comma, del codice penale): procedimento a fronte del quale il Senato aveva adottato la delibera di insindacabilità dianzi indicata, cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza aveva aderito, pronunciando sentenza di non doversi procedere per non essere l’imputato punibile ai sensi dell’art. 68 Cost.

Rilevato che l’effetto impeditivo della prosecuzione delle attività processuali, conseguente alla delibera di insindacabilità, si estende anche al giudizio civile, il giudice ricorrente solleva conflitto di attribuzione giacché, a suo avviso, il Senato non avrebbe correttamente esercitato il proprio potere valutativo, interferendo così illegittimamente nelle attribuzioni degli organi giurisdizionali.

Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, difatti, il «nesso funzionale» – presupposto dall’art. 68, primo comma, Cost. ai fini dell’operatività della garanzia dell’insindacabilità in rapporto alle dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia – andrebbe inteso non come semplice collegamento di argomento o contesto, ma come identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione di attività parlamentare: pertanto occorrerebbe «la identità sostanziale di contenuto fra l’opinione espressa in sede parlamentare e quella manifestata nella sede esterna». Tale condizione non ricorrerebbe nel caso di specie, non essendo ravvisabile alcuna sostanziale identità di contenuto tra le dichiarazioni oggetto di giudizio e l’interrogazione parlamentare presentata dal senatore De Corato al Ministro dell’ambiente il 2 ottobre 1996, su cui si era essenzialmente basata la valutazione di insindacabilità del Senato.

L’interrogazione – ponendo l’accento sull’asserita incapacità del sindaco Formentini e dell’assessore all’ambiente Ganapini a gestire l’emergenza rifiuti verificatasi nella città di Milano – si era limitata a chiedere al Ministro competente se fosse a conoscenza del fatto che il consiglio comunale aveva aperto un’inchiesta su detta gestione, con la nomina di apposita commissione, i cui atti e la cui relazione finale erano stati trasmessi alla Procura della Repubblica di Milano e alla Procura regionale della Corte dei conti. L’intervista giornalistica, invece, conteneva dichiarazioni di altro tenore, prive di corrispondenza con l’atto tipico, in particolare quanto all’avviso di garanzia che la Procura della Repubblica di Lanciano avrebbe emesso nei confronti del Ganapini, per il conferimento nelle discariche di quel comune di ingenti quantitativi di rifiuti provenienti da Milano, in violazione della normativa regionale.

Alla proposizione del conflitto non sarebbe d’altra parte di ostacolo la circostanza che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, allineandosi alle conclusioni del Senato, abbia dichiarato di non doversi procedere, in sede penale, nei confronti del parlamentare per i medesimi fatti per i quali è in corso il giudizio civile: giacché, a mente dell’art. 652 del codice di procedura penale, nel giudizio civile di danno ha efficacia di giudicato solo la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento, e non anche la sentenza di non doversi procedere ex art. 425 cod. proc. pen., resa in esito all’udienza preliminare.

Il Tribunale ricorrente chiede, pertanto, che la Corte dichiari la non spettanza al Senato del potere di qualificare come insindacabili le dichiarazioni rese dal sen. Riccardo De Corato, oggetto del giudizio civile in questione, trattandosi di potere esercitato al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 68, primo comma, Cost.; con conseguente annullamento della deliberazione adottata dal Senato in data 31 gennaio 2001.

2. – Con ordinanza n. 338 del 2004, depositata il 10 novembre 2004, la Corte ha dichiarato ammissibile il conflitto.

L’ordinanza di ammissibilità, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, è stata notificata in data 25 novembre 2004. Il conseguente deposito è stato effettuato il 14 dicembre 2004.

3. – Nel giudizio si è costituito il Senato della Repubblica, depositando documenti e svolgendo deduzioni, a conclusione delle quali ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile e in subordine rigetti il ricorso, dichiarando che spettava al Senato affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal senatore De Corato nei confronti del Ganapini, oggetto del giudizio civile pendente davanti al ricorrente.

La difesa del Senato eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, rilevando come tale giudizio derivi da fatto materiale che aveva già formato oggetto di procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa, conclusosi con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza di non luogo a procedere per l’insindacabilità delle dichiarazioni in assunto diffamatorie: procedimento nel quale l’attore si era costituito parte civile.

Ove la delibera di insindacabilità fosse annullata, verrebbe meno la causa di improcedibilità e, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. pen., l’anzidetta sentenza di non luogo a procedere, ancorché non più soggetta ad impugnazione, non impedirebbe l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la stessa persona. Ciò comporterebbe, tuttavia, la «reviviscenza» della facultas eligendi dell’attore fra una nuova costituzione nell’iniziando processo penale, con trasferimento in quella sede dell’azione civile risarcitoria, e la coltivazione di quest’ultima nella sede sua propria: esito, questo, di dubbia ragionevolezza, posto che l’anzidetta facultas eligendi dovrebbe ritenersi definitivamente “consumata” con la precedente opzione del Ganapini per la costituzione di parte civile nel processo penale. Ove invece si ritenesse operante il principio di immanenza della costituzione di parte civile (art. 76 cod. proc. pen.), la rimozione della causa di improcedibilità determinerebbe l’automatica riacquisizione in capo all’attore dell’anzidetta veste processuale; con la conseguenza che il giudizio civile, da cui il ricorso per conflitto di attribuzione promana, rimarrebbe sospeso, tornando ad essere il giudice penale l’organo competente a pronunciarsi (art. 75, comma 3, cod. proc. pen.).

In sostanza, dunque, l’accoglimento del ricorso determinerebbe, in alternativa, o una violazione del principio di inammissibilità del contemporaneo esercizio dell’azione civile in sede penale e civile; oppure una situazione per cui il ricorrente non potrebbe giovarsi della decisione favorevole del conflitto, dovendo il suo processo rimanere sospeso in attesa della decisione di un giudice penale, che, peraltro, aveva già ritenuto di non promuovere alcun conflitto di attribuzione.

In aggiunta a ciò, il ricorso implicherebbe una sorta di «giudizio di secondo grado» sulla fondatezza delle argomentazioni poste a base della delibera di insindacabilità, nel quale, peraltro, la relativa valutazione verrebbe irragionevolmente effettuata non già dal competente giudice penale d’appello, in sede di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, ma da un giudice diverso (quello civile).

Un ulteriore motivo di inammissibilità sarebbe rappresentato dalla insufficiente indicazione, ad opera del ricorrente, delle ragioni per le quali la pronuncia del giudice penale non impedirebbe di adottare una soluzione opposta in sede civile; con conseguente mancato assolvimento dell’onere di «preciso riferimento agli elementi indispensabili per l’identificazione delle ragioni del conflitto», più volte affermato da questa Corte.

Nel merito, la difesa del Senato osserva che il 2 ottobre 1996 il senatore De Corato aveva presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’ambiente (interrogazione n. 4–02108) concernente la grave emergenza rifiuti verificatasi nel Comune di Milano, nella quale si ricordava come il presidente della Commissione d’inchiesta attivata dal Comune avesse inviato copia della propria relazione conclusiva sia alla Procura della Repubblica di Milano che alla Procura regionale della Corte dei conti: con ciò implicitamente manifestando la convinzione che i comportamenti di alcuni dei soggetti interessati dall’inchiesta potessero assumere rilevanza penale. L’interrogazione rimarcava, altresì, come in detta relazione – approvata da tutti i componenti della Commissione, con la sola eccezione del rappresentante della Lega Nord – fossero state evidenziate in modo inequivoco irregolarità ed inefficienze addebitabili tanto al sindaco pro tempore quanto al Ganapini, il quale, in una prima fase, aveva contemporaneamente ricoperto la carica di assessore comunale e di presidente dell’AMSA (Azienda municipalizzata per i servizi ambientali). L’atto parlamentare tipico si concludeva, quindi, con la richiesta di sapere se i predetti dati fossero noti al Ministro dell’ambiente e per quale ragione, a dispetto di essi, il Governo avesse ritenuto di rinnovare la nomina del sindaco di Milano a commissario straordinario per l’emergenza rifiuti.

L’emergenza rifiuti nella città di Milano sarebbe stata, peraltro, solo uno degli aspetti dei quali i parlamentari interessati alle vicende ambientali avevano consapevolezza in quel periodo. Nel corso della XIII legislatura era stata infatti creata, con legge 10 aprile 1997, n. 97, una Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta «sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse», la quale aveva dedicato una particolare attenzione alla situazione della Regione Abruzzo. Al riguardo, la difesa del Senato fa specifico riferimento: al resoconto dell’audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso la Pretura di Pescara, effettuata il 18 novembre 1997, che dava notizia dell’esistenza di una inchiesta denominata «Gambero», da cui sarebbe emerso un «patto di azione contra legem fra alcune imprese di smaltimento e un certo numero di imprenditori delle Regioni centrali e settentrionali produttori di rifiuti»; al resoconto del 19 febbraio 1998, da cui risultava che una delegazione della Commissione si sarebbe successivamente recata nelle province di Teramo, Pescara e Chieti per effettuare sopralluoghi e svolgere audizioni; a quello del 27 gennaio 1999, relativo all’audizione del sostituto procuratore della Repubblica di Vasto (Chieti); alla relazione finale della Commissione, la quale – nel dar conto della notevole quantità di rifiuti pericolosi che risultavano essere stati sversati in Abruzzo – ipotizzava un inquietante legame tra i rifiuti solidi urbani prodotti a Milano e le discariche abusive abruzzesi, essendo emerso che l’Azienda municipalizzata del capoluogo lombardo non inviava direttamente i rifiuti nella predetta regione (stante il divieto posto da una legge regionale), ma erano piuttosto «le società aggiudicatarie di appalti per la separazione delle diverse frazioni di rifiuto» a spedirle ivi «per le operazioni di trattamento e cernita»: con la particolarità, tuttavia, che una volta entrato «nel presunto stabilimento, il materiale acquistava “cittadinanza” abruzzese e, di conseguenza, per circa il 90 per cento veniva smaltito come rifiuto in quel sito».

A fronte di ciò, le dichiarazioni rilasciate il 22 dicembre 1997 dal parlamentare al quotidiano «La Repubblica» rappresenterebbero, dunque, un classico caso di divulgazione alla stampa del contenuto di atti parlamentari tipici: atti costituiti non soltanto dall’interrogazione presentata il 2 ottobre 1996 sulla specifica questione del trattamento dei rifiuti prodotti nella città di Milano (oltre che da quelle, sul medesimo tema, presentate dallo stesso senatore il 6, 11 e 18 maggio 2000, cui era riferimento nella proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari), ma anche dalle acquisizioni risultanti, già nel novembre 1997, dai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta.

La tesi del Tribunale ricorrente – il quale, nel riconoscere che la delibera di insindacabilità adottata in relazione al procedimento penale esplicava i suoi effetti anche in sede civile (e ciò in conformità all’avviso espresso nella seduta del 27 marzo 2002 dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, che aveva perciò escluso la necessità di rinnovarla), si era però discostato dalla pronuncia del giudice penale, sull’assunto che tra l’interrogazione parlamentare e la dichiarazione pubblicata non sarebbe riscontrabile una «sostanziale identità di contenuto», ma una mera «comunanza di argomento» – non sarebbe infatti condivisibile. In entrambi i casi, si tratterebbe della medesima vicenda (la gestione dell’emergenza rifiuti nella città di Milano), del comportamento tenuto dal medesimo soggetto (il Ganapini) e delle responsabilità anche penali in cui quest’ultimo potrebbe essere incorso a seguito di inchieste della magistratura.

Né varrebbe addurre, in contrario, che nella dichiarazione resa alla stampa si evidenziano particolari di cui non vi è traccia nell’interrogazione – quale, in specie, l’avviso di garanzia proveniente dalla Procura di Lanciano – trattandosi di meri «elementi di contorno» rispetto al contenuto principale rinvenibile anche nell’atto tipico, che rispecchiano eventi apparentemente accaduti in un momento successivo all’interrogazione. Diversamente opinando, del resto, si perverrebbe al paradosso che il parlamentare – il quale intenda divulgare extra moenia le preoccupazioni già espresse in una interrogazione circa la correttezza del comportamento di un determinato soggetto – si troverebbe costretto a tacere gli accadimenti temporalmente successivi che vadano a rafforzare le preoccupazioni stesse: il che equivarrebbe a sostenere che la divulgazione dell’atto parlamentare tipico può avvenire solo attraverso la diffusione dei resoconti stenografici ufficiali, negando, con ciò, che l’attività dei membri delle Camere possa proiettarsi al di fuori delle aule parlamentari nell’interesse della libera dialettica politica.

Ma anche nell’ipotesi in cui una simile ricostruzione non fosse accolta, risulterebbe comunque risolutiva, nel senso della insindacabilità della dichiarazione in questione, la considerazione che il riferimento di essa all’inchiesta abruzzese rappresenta una divulgazione delle risultanze ufficiali degli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse: atti dai quali sarebbe emersa – per quanto dianzi indicato – l’esistenza di indagini della magistratura abruzzese relative ad illeciti commessi nell’attività di smaltimento dei rifiuti provenienti anche da Milano, che è plausibile avessero interessato anche il Ganapini per le funzioni svolte nel periodo interessato.

Tale fattispecie non potrebbe essere confusa con quella degli atti tipici compiuti sul medesimo tema da parlamentari diversi dal dichiarante, con la connessa questione della possibilità o meno, per quest’ultimo, di giovarsi di tali atti ai fini dell’insindacabilità delle proprie dichiarazioni extra moenia. Le risultanze degli atti di commissioni parlamentari d’inchiesta non costituirebbero infatti «opinioni» espresse da altri parlamentari, ma dati e notizie appartenenti alla conoscenza diffusa di tutti i membri del Parlamento e della stessa pubblica opinione: onde la loro divulgazione all’esterno risulterebbe coperta non solo dalla garanzia dell’insindacabilità, di cui all’art. 68, comma primo, Cost., ma anche dal principio di pubblicità degli atti parlamentari, sulla base dell’art. 64 Cost. e – ove ritenuti ancora in vigore – degli artt. 30 e 31 del regio editto sulla stampa 26 marzo 1848, n. 695.

4. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica il Senato della Repubblica ha depositato memoria, insistendo affinché la Corte dichiari inammissibile o, in via subordinata, rigetti il ricorso.

La difesa del Senato rimarca come, nella verifica dell’esistenza del nesso funzionale, occorra tener conto anche degli atti della Commissione di inchiesta istituita dal Comune di Milano il 19 febbraio 1996, esplicitamente richiamati nell’interrogazione parlamentare, i quali dovrebbero essere pertanto considerati parte integrante dell’interrogazione stessa: atti che – al pari di quelli della Commissione parlamentare – avevano peraltro avuto ampia eco nella pubblica opinione.

La Commissione d’inchiesta era stata in effetti costituita allo scopo di verificare la realizzazione del piano predisposto dal Ganapini – all’epoca assessore all’ambiente e presidente-commissario dell’A.M.S.A. – al fine di fronteggiare lo stato di emergenza determinatosi nel capoluogo lombardo nello smaltimento dei rifiuti e, in particolare, «gli aspetti dei rapporti commerciali instaurati dall’A.M.S.A. nei confronti delle società a cui è stato affidato l’incarico del ritiro, smaltimento e trattamento» dei rifiuti solidi urbani. Dopo aver evidenziato come fosse il Ganapini ad autorizzare i dirigenti dell’A.M.S.A. a sottoscrivere i contratti, senza peraltro che vi fosse «alcun criterio selettivo tra più ditte, né alcuna trattativa», la relazione della Commissione concludeva affermando che l’intera attività contrattuale si era svolta «all’insegna della più assoluta leggerezza», con scarsa cura dei costi e con scelte per nulla severe nei confronti di imprese resesi precedentemente inadempienti, tanto da far supporre l’esistenza di una «volontà di coprire le società amiche». Di particolare rilievo risulterebbe poi la circostanza che, secondo la Commissione, «il ricorso a ditte esterne all’A.M.S.A.» si era dimostrato «ingiustificato», perché non ci si era «curati di verificare se le imprese potevano effettuare i conferimenti»; e che anche la maggiore fra tali imprese «avesse firmato il contratto con il Comune il 22 dicembre 1995 quando con delibera regionale […] l’uso delle discariche di cui disponeva in Veneto era stato vietato dalla Regione».

Anche i contratti dell’A.M.S.A. che avevano dato origine all’inchiesta della Procura di Lanciano richiamata nell’intervista erano stati d’altra parte stipulati con le modalità aspramente criticate dalla Commissione. Il 20 febbraio 1996, infatti, il Ganapini, nella qualità di commissario-presidente dell’A.M.S.A., aveva autorizzato il direttore generale dell’azienda a sottoscrivere un contratto con un consorzio di imprese per il trasporto della «frazione secca» dei rifiuti solidi urbani in un impianto situato in S. Maria Imbaro (Chieti). Pochi mesi dopo, e precisamente il 29 ottobre 1996, il legale rappresentante dell’A.M.S.A. – l’ing. R. M. – era stato citato a giudizio dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Lanciano, in quanto imputato, in concorso con i legali rappresentanti di detto consorzio e di altre imprese che avevano preso parte alle attività di smaltimento dei rifiuti, per la violazione della normativa statale e regionale in materia di rifiuti: iniziativa giudiziale della quale era stata data peraltro notizia dagli organi di informazione.

Ad avviso della difesa del Senato, tale complesso di circostanze – unitamente al fatto che il Ganapini avesse il potere di approvare le delibere d’urgenza sulla cui base venivano predisposti i contratti fra l’A.M.S.A. e le imprese per il trasporto ed il conferimento dei rifiuti nelle discariche – «possono aver indotto il sen. De Corato a ragionare, nelle dichiarazioni al quotidiano “La Repubblica”, di un avviso di garanzia a carico del dr. Ganapini».

La medesima difesa ribadisce infine l’esigenza – già evidenziata con l’atto di costituzione – di tener conto anche degli atti della Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta «sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse», rispetto ai quali le dichiarazioni rese dal sen. De Corato nel corso dell’intervista presenterebbero, in parte qua, una sostanziale identità di contenuti.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Milano, I sezione civile – investito di un giudizio civile per risarcimento danni promosso da Walter Ganapini nei confronti del senatore Riccardo De Corato – con ordinanza depositata il 6 ottobre 2003, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione, adottata dall’Assemblea il 31 gennaio 2001 (documento IV-quater, n. 58), con la quale si è ritenuto che i fatti per i quali è in corso tale giudizio – già oggetto di procedimento penale per diffamazione a mezzo stampa nei confronti del parlamentare, definito con sentenza di non doversi procedere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza in data 21 febbraio 2001 – concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni: con conseguente insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il giudizio civile trae origine da dichiarazioni rese dal senatore De Corato nel corso dell’intervista pubblicata sul quotidiano «La Repubblica» del 22 dicembre 1997. In esse il parlamentare avrebbe in particolare affermato, con riferimento ai rifiuti umidi provenienti dalla città di Milano, che «il conferimento dell’umido in discariche di mezza Italia è stata una prerogativa della giunta Formentini-Ganapini», ciò risultando dagli «atti della Commissione d’inchiesta del comune»; che «l’attuale management dell’AMSA» (Azienda municipalizzata per i servizi ambientali) «è lo stesso voluto dall’allora assessore all’ambiente Ganapini nel 1995»; che, «a conferma di tutto ciò, vi è l’avviso di garanzia che la procura di Lanciano, in provincia di Chieti, aveva emesso nei confronti di Ganapini, che, violando le leggi della regione Abruzzo, aveva conferito nelle discariche di quel comune tonnellate di rifiuti di Milano».

Il Tribunale ricorrente ritiene insussistenti i presupposti dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost., negando segnatamente che possa ravvisarsi un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese alla stampa e l’interrogazione parlamentare presentata il 2 ottobre 1996 dal sen. De Corato sul tema della gestione dell’emergenza rifiuti nella città di Milano, stante il difetto di identità sostanziale fra i rispettivi contenuti.

Resiste il Senato della Repubblica, eccependo l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili e contestando, nel merito, l’assunto del giudice ricorrente, tenuto conto anche del fatto che, in ogni caso, le dichiarazioni in questione rappresenterebbero divulgazione di risultanze ufficiali degli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta «sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse», istituita con legge 10 aprile 1997, n. 97.

Con successiva memoria, la difesa del Senato ha altresì evidenziato l’esigenza di ricostruire i contenuti dell’interrogazione parlamentare del 2 ottobre 1996, ai fini della verifica del nesso funzionale rispetto alla successiva intervista, anche alla luce delle risultanze degli atti della Commissione d’inchiesta istituita dal Comune di Milano richiamati nell’interrogazione stessa: ottica nella quale risulterebbe avvalorata la conclusione dell’insindacabilità, ex art. 68, primo comma, Cost., delle dichiarazioni rese extra moenia.

2. – Deve, preliminarmente, essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti oggettivi e soggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 338 del 2004.

2.1. – Al riguardo, la proposizione del conflitto non può ritenersi preclusa dall’avvenuta pronuncia, in sede penale, di sentenza che – recependo la valutazione espressa nella delibera di insindacabilità del Senato – ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti del parlamentare per le medesime dichiarazioni attualmente oggetto del giudizio civile.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la declaratoria di improcedibilità della domanda risarcitoria, resa dal giudice di primo grado uniformandosi alla delibera di insindacabilità adottata dalla Camera di appartenenza del parlamentare convenuto, non impedisce al giudice di appello di sollevare conflitto di attribuzione in relazione alla medesima delibera, dovendosi escludere che il relativo potere, ove non esercitato, si «consumi» con la decisione di prime cure (sentenza n. 235 del 2005). Una simile tesi contrasterebbe, infatti, «con il principio secondo cui il giudice d’appello, in forza dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, ha rilevanti poteri di cognizione e di decisione e, quindi, ha il potere di porsi ogni questione non preclusa che ritenga rilevante ai fini del decidere». Per converso, da tale principio, e dall’assenza, nella legge 11 marzo 1953, n. 87, «di un termine decadenziale per la proposizione dei conflitti interorganici consegue che anche il giudice d’appello è competente ad esprimere in via definitiva la volontà del potere cui appartiene … ed è legittimato a proporre un conflitto non sollevato dal giudice di primo grado».

Ad analoga conclusione deve evidentemente pervenirsi a fortiori nel caso in esame.

La circostanza, infatti, che la sentenza penale recettiva della valutazione di insindacabilità espressa dal Senato sia stata emessa nell’udienza preliminare, e non già a seguito di dibattimento, esclude, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., che essa possa comunque avere efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno. Il Tribunale civile ricorrente è chiamato di conseguenza a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria senza alcuna preclusione derivante dalla decisione del giudice penale: per modo che – stante il carattere «diffuso» del potere giurisdizionale e la conseguente competenza di ciascun organo ad esso appartenente ad esprimerne in via definitiva la volontà – detto Tribunale deve considerarsi senz’altro abilitato a proporre quel conflitto di attribuzione che il giudice penale, sull’assunto della correttezza della delibera di insindacabilità, aveva viceversa ritenuto di non dover sollevare.

2.2. – Né ha pregio l’eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa del Senato sul rilievo delle presunte incongruenze che – avuto riguardo alla vigente disciplina dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale – conseguirebbero all’eventuale accoglimento del ricorso.

L’eccezione poggia sulla premessa – indimostrata – che l’annullamento della delibera di insindacabilità comporterebbe, sul versante penale, l’applicabilità dell’art. 345 cod. proc. pen., in forza del quale la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per difetto di una condizione di procedibilità, anche se non più soggetta ad impugnazione, non impedisce, ove sopravvenga la condizione di procedibilità mancante, l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto e contro la medesima persona.

A prescindere da ogni rilievo circa l’effettiva validità di tale premessa – la quale, riportando la delibera di insindacabilità alla materia delle condizioni di procedibilità, la equipara, in sostanza, al diniego di una autorizzazione a procedere; mentre l’immunità prevista dall’art. 68, primo comma, Cost. ha natura sostanziale, tanto da precludere la possibilità di far valere la responsabilità del parlamentare in ogni sede giurisdizionale, anche diversa da quella penale (sentenza n. 265 del 1997) – è assorbente la considerazione che le conseguenze che potrebbero derivare, “in seconda battuta”, dall’accoglimento del conflitto, sul piano dei rapporti tra azione civile ed azione penale, restano del tutto irrilevanti ai fini dell’ammissibilità del conflitto medesimo.

Rilevato, infatti, che il Tribunale ricorrente ha non solo il potere (per quanto in precedenza osservato), ma anche – e con tutta evidenza – il concreto interesse a sollevare il conflitto, in quanto certamente influente sugli esiti del giudizio che è chiamato a celebrare, il ricorso deve ritenersi eo ipso ammissibile: e ciò indipendentemente dagli ipotetici sviluppi processuali ventilati dalla difesa del Senato con riferimento al supposto «recupero», da parte del danneggiato, della facoltà di scelta fra l’esercizio dell’azione risarcitoria nella sede sua propria o mediante costituzione di parte civile nel processo penale.

2.3. – Quanto, poi, all’ulteriore eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa del Senato in correlazione alla pregressa sentenza di proscioglimento del giudice penale, la sua infondatezza è insita in quanto dianzi osservato riguardo alla carenza di ogni effetto preclusivo di detta pronuncia nel giudizio civile.

Diversamente da quanto ipotizza la difesa, il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Milano non può essere considerato un «giudizio di secondo grado» sulla correttezza della valutazione sottesa alla delibera di insindacabilità – rispetto a quello già formulato dal giudice penale – inammissibilmente demandato ad un organo (il giudice civile di primo grado) diverso da quello che, in base alle ordinarie regole processuali, dovrebbe essere a ciò competente (il giudice penale di appello). Al contrario, si tratta semplicemente di prender atto che il giudice civile, adito con l’azione di risarcimento del danno, è abilitato a formulare ex novo ed in piena autonomia – per la ragione già indicata – il giudizio precedentemente espresso dal giudice penale.

2.4. – Parimenti infondata, infine, è l’altra eccezione di inammissibilità del Senato, basata sull’assunto che il giudice ricorrente non avrebbe sufficientemente esplicitato le ragioni per le quali la pronuncia del giudice penale non gli impedirebbe di adottare una soluzione opposta.

Il Tribunale ricorrente ha infatti puntualmente indicato sia la ragione per la quale la decisione del giudice penale non può considerarsi per lui vincolante; sia i motivi per i quali tale decisione non sarebbe condivisibile, avuto riguardo segnatamente all’assenza del «nesso funzionale».

3. – Nel merito, il ricorso è fondato.

3.1. – Alla luce della ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, la prerogativa dell’art. 68, primo comma, Cost. non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attività politica, ma solo quelle legate da nesso funzionale con le attività svolte nella qualità di membro di una delle due Camere: nesso funzionale che, nel caso di dichiarazioni rese extra moenia, presuppone che queste ultime possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentari. Indipendentemente dall’eventuale contenuto diffamatorio delle dichiarazioni stesse, il compito di questa Corte è quindi limitato alla verifica se esse, ancorché rese fuori della sede istituzionale, siano collegate ad attività proprie del parlamentare: se costituiscano, cioè, espressione della sua funzione o ne rappresentino il momento di divulgazione all’esterno (ex plurimis, sentenze n. 317 del 2006; n. 28, n. 164, n. 176, n. 196 e n. 235 del 2005; n. 52 del 2002; n. 10 e n. 11 del 2000).

Affinché detto scrutinio possa avere esito positivo, occorre il concorso di un duplice requisito: un legame temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, di modo che questa assuma una finalità divulgativa della prima; e una sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e atti esterni, non essendo sufficienti né una mera comunanza di argomenti, né un mero contesto politico cui le prime possano riferirsi (sentenze n. 317 e 258 del 2006; nonché, con riferimento all’omologa prerogativa prevista a favore dei consiglieri regionali dall’art. 122 Cost., sentenza n. 221 del 2006). Comunanza di argomenti e «contesto politico» non valgono, difatti, in sé, a connotare le dichiarazioni esterne come espressive della funzione, ove esse – non costituendo la sostanziale riproduzione delle specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni – siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare, mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto, a garanzia delle prerogative delle Camere, dall’insindacabilità); bensì una ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 Cost. (sentenze n. 317 del 2006; n. 51 del 2002).

3.2. – Nel caso in esame, fra le interrogazioni parlamentari presentate dal senatore De Corato sul tema della gestione dei rifiuti nella città di Milano, sono senz’altro prive di rilievo quelle del 6, 11 e 18 maggio 2000 – di cui è menzione nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari che ha preceduto la delibera di insindacabilità, ma che non risultano neppure prodotte dalla difesa del Senato nel presente giudizio – in quanto posteriori, addirittura di quasi due anni e mezzo, alle dichiarazioni extra moenia delle quali si discute (sentenze n. 260 e n. 317 del 2006).

Riguardo all’unica interrogazione parlamentare astrattamente rilevante, in quanto anteriore alle dichiarazioni stesse – quella del 2 ottobre 1996, sulla quale, in effetti, soprattutto si fondano la relazione della Giunta e la difesa giudiziale del Senato – il profilo della contestualità e del legame temporale – da valutare, per un verso, con riferimento al margine temporale di un anno fra essa e l’intervista; e, per un altro verso, con riferimento al permanere d’attualità del dibattito parlamentare sul tema dei rifiuti – è assorbito, comunque, dalla mancanza dell’altro requisito della sostanziale identità di contenuto.

Nell’interrogazione diretta al Ministro dell’ambiente, il parlamentare denunciava, in termini del tutto generici, l’asserita «incapacità» del sindaco Formentini e del Ganapini – quest’ultimo nella duplice veste di assessore all’ambiente e di presidente dell’Azienda municipalizzata per i servizi ambientali (AMSA) – «a gestire … in maniera funzionale» l’emergenza rifiuti verificatasi nella città di Milano: incapacità che sarebbe emersa «in maniera inequivocabile» dalle indagini svolte dall’apposita Commissione d’inchiesta istituita dal Comune, la cui relazione conclusiva era stata trasmessa, con gli atti relativi, per decisione quasi unanime della Commissione stessa, alla Procura della Repubblica di Milano ed alla Procura regionale della Corte dei conti.

Nelle dichiarazioni affidate alla stampa, per converso, il senatore non si è limitato soltanto ad attribuire alla «giunta Formentini-Ganapini» un più definito – ma pur sempre generico – metodo di condotta («il conferimento dell’umido in discariche di mezza Italia»), allegando a conferma di tale addebito le risultanze dei lavori della Commissione comunale d’inchiesta («tutto ciò è agli atti della Commissione d’inchiesta del comune»); ma ha addebitato, altresì, al Ganapini la commissione di illeciti specifici e puntualmente localizzati al di fuori del territorio milanese – e, cioè, il conferimento di «tonnellate di rifiuti di Milano» nelle discariche del Comune di Lanciano, in violazione delle leggi regionali abruzzesi – evocando, a comprova dell’affermazione, l’«avviso di garanzia» in assunto emesso nei suoi confronti dalla Procura della Repubblica presso la Pretura di quel Comune.

Posto, quindi, che nel caso di pluralità di dichiarazioni rese in un unico contesto è ben possibile individuare espressioni che, in quanto provviste di autonomo significato, sono separatamente valutabili ai fini della verifica della sussistenza del nesso funzionale (sentenza n. 246 del 2004), deve concludersi che, almeno per la parte da ultimo evidenziata, le dichiarazioni rese extra moenia risultano prive di riscontro nell’atto parlamentare tipico: e ciò a prescindere da ogni valutazione – che non spetta alla Corte operare – circa il carattere realmente diffamatorio delle dichiarazioni stesse (sentenza n. 10 del 2000).

Né è possibile d’altra parte ritenere – contrariamente a quanto sostenuto dal Senato – che si sia di fronte a mere «circostanze di contorno» rispetto alle opinioni già espresse in sede di interrogazione, tali da non alterare la sostanziale corrispondenza di significato tra questa e le dichiarazioni affidate alla stampa. Una ipotesi di tal fatta è stata per vero ravvisata da questa Corte in situazioni nelle quali – a fronte della deduzione di un identico fatto – le dichiarazioni esterne si limitavano a dar conto di un qualche elemento, aggiuntivo rispetto a quelli rappresentati nell’atto tipico, che poteva valere a confermarne l’esistenza (quale, ad esempio, l’avvenuta presentazione di una denuncia, da parte di terzi, per i medesimi illeciti già specificamente censurati in una interrogazione parlamentare: sentenza n. 320 del 2000); o a puntualizzarne aspetti accessori (sentenza n. 321 del 2000). Il caso in esame è diverso: nella specie si passa da un generico addebito di incapacità ed inefficienza nello svolgimento di funzioni pubbliche, sia pur con possibili riflessi in termini di rilevanza penale (evocati dal riferimento all’invio degli atti della Commissione comunale d’inchiesta alla Procura della Repubblica di Milano), all’attribuzione di puntuali comportamenti criminosi, collegati alle predette funzioni, oggetto di asserita indagine da parte di altro ufficio giudiziario.

3.3. – Sotto diverso profilo, poi, neppure è possibile accedere alla ulteriore tesi sviluppata dal Senato nella memoria illustrativa, stando alla quale il contenuto dell’interrogazione parlamentare andrebbe ricostruito alla luce di un’analitica lettura degli atti della Commissione comunale d’inchiesta in essa richiamati, che assumerebbero rilievo ai fini della verifica della sussistenza del nesso funzionale.

Il limite della guarentigia di cui all’art. 68, primo comma, Cost., per quanto attiene alle dichiarazioni resa extra moenia, è rappresentato, difatti, dal carattere “riproduttivo” – nella sostanza, ancorché non nel lessico – di tali dichiarazioni rispetto ai contenuti propri dell’atto parlamentare, in connessione al carattere di pubblicità dell’attività parlamentare: si ripete cioè all’esterno, divulgandolo, quanto si è affermato intra moenia. In quest’ottica, se l’affermazione fatta nella sede parlamentare è consistita nella mera deduzione dell’esistenza di una inchiesta amministrativa conclusasi con un certo giudizio – senza che, peraltro, dalle risultanze di tale inchiesta vengano estrapolati episodi specifici, sia pure in termini di sintesi, ponendoli in evidenza nell’atto di sindacato ispettivo – è unicamente tale affermazione che può essere “riprodotta” all’esterno con la garanzia dell’insindacabilità ex art. 68, primo comma, Cost.

Deve escludersi, in altre parole, che il generico richiamo, effettuato nel corso di un’interrogazione parlamentare, ad una certa fonte informativa – tanto più quando questa assuma carattere articolato e complesso, come nel caso del riferimento agli atti d’una commissione amministrativa d’inchiesta − valga a creare eo ipso una sorta di “contenitore” da cui attingere la “copertura”, in termini di insindacabilità, per tutte le dichiarazioni extra moenia che trovino corrispondenza soltanto nel contenuto di tali atti.

Inoltre, nel caso di specie, neppure integrando l’interrogazione parlamentare con gli atti della Commissione comunale d’inchiesta sarebbe possibile ravvisare il requisito della sostanziale identità contenutistica con la successiva intervista. Infatti, la relazione della Commissione, prodotta in giudizio dal Senato, appare intesa essenzialmente a censurare una gestione eccessivamente “disinvolta” sul piano amministrativo-contabile, in rapporto alla scelta delle controparti e all’esecuzione dei rapporti contrattuali; non già a formulare specifici addebiti di violazione della normativa ambientale sui rifiuti (e, in particolare, delle leggi della Regione Abruzzo): e ciò altresì per quanto concerne l’affermazione, posta in particolare evidenza nella memoria del Senato, secondo cui «il ricorso a ditte esterne all’AMSA si è dimostrato ingiustificato perché non ci si è curati di verificare se le imprese potevano effettuare i conferimenti». Anche tale affermazione appare finalizzata a denunciare l’inefficienza della gestione, come si desume dall’asserzione immediatamente successiva («Amsa non ha ritenuto di agire direttamente ancorché l’avesse potuto fare sia procurandosi i macchinari», sia ottenendo «spazi nelle discariche, spazi che in effetti ha poi dovuto procurarsi per fronteggiare le inefficienze dei contraenti»).

In simile situazione, tra le opinioni espresse nell’atto parlamentare tipico e le dichiarazioni rese alla stampa può ravvisarsi, dunque, solo una comunanza di argomento, ma non una sostanziale identità contenutistica: con conseguente non configurabilità – anche sotto tale ulteriore profilo – del nesso funzionale.

Giova soggiungere, per altro verso, che nessun rilievo può avere, ai fini dell’operatività della garanzia di cui all’art. 68, primo comma, Cost., la circostanza – sulla quale pure insiste la difesa del Senato – che gli atti della Commissione comunale d’inchiesta abbiano avuto una più o meno vasta eco negli organi di informazione e, conseguentemente, nella pubblica opinione: e ciò perché detta garanzia non è collegata alla notorietà o rilevanza pubblica dei fatti, la quale può venire semmai in rilievo al diverso fine della eventuale configurabilità del diritto di cronaca, indipendente, peraltro, dalla qualità di parlamentare di chi lo esercita.

3.4. – Quanto, poi, agli ulteriori atti parlamentari evocati dalla difesa del Senato – le risultanze dei lavori della Commissione bicamerale d’inchiesta «sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse», ex legge n. 97 del 1997: lavori ai quali non si deduce peraltro che il senatore De Corato abbia in concreto partecipato – non è necessario vagliare in questa sede la validità della tesi secondo cui alla divulgazione dei resoconti di commissioni parlamentari d’inchiesta – in quanto atti ufficiali, costituenti «patrimonio comune» di tutti i membri del Parlamento e della stessa pubblica opinione – non sarebbe estensibile il consolidato orientamento di questa Corte circa l’irrilevanza, ai fini della verifica del nesso funzionale, degli atti compiuti da parlamentari diversi dall’autore delle dichiarazioni esterne (ex plurimis, sentenze n. 249, n. 260 e n. 317 del 2006; n. 146 del 2005; n. 347 del 2004).

Non possono venire comunque in considerazione i resoconti delle sedute del 18 febbraio 1998 e del 27 gennaio 1999, e tanto meno la relazione finale della Commissione discussa nella seduta del 25 ottobre 2000, trattandosi di atti successivi alle dichiarazioni che hanno originato il conflitto; mentre riguardo all’unico resoconto antecedente – quello dello seduta del 18 novembre 1997 – risulta dirimente il rilievo della palese non sovrapponibilità dei relativi contenuti a quelli dell’intervista.

Per la parte che interessa, infatti, il resoconto in parola dà atto dell’avvenuta audizione, ad opera della Commissione d’inchiesta, del sostituto procuratore della Repubblica presso la Pretura di Pescara, dott. Pasquale Fimiani: audizione nel corso della quale il magistrato aveva fornito notizie relative ad una indagine, denominata «Gambero», «svolta nel recente passato riguardo ad attività illecite legate … allo smaltimento dei rifiuti in alcune aree della regione Abruzzo», riferendo, altresì, dell’esistenza di «un patto di azione contra legem fra alcune imprese di smaltimento ed un certo numero di imprenditori delle regioni centrali e settentrionali produttori di rifiuti». Nessuno specifico riferimento viene fatto, per contro, né al collegamento tra le attività illecite in questione e la gestione dell’emergenza rifiuti nella città di Milano da parte degli organi comunali a ciò preposti, né tanto meno alla persona del Ganapini.

4. – Deve quindi concludersi che il Senato della Repubblica, nel deliberare l’insindacabilità delle dichiarazioni di cui si tratta, ha violato l’art. 68, primo comma, Cost. e ha leso in tal modo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente.

La deliberazione di insindacabilità deve essere, pertanto, annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che le dichiarazioni rese dal senatore Riccardo De Corato, oggetto del giudizio civile pendente davanti al Tribunale di Milano, I sezione civile, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, di conseguenza, la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 31 gennaio 2001 (documento IV–quater, n. 58).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2006.

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2006.