Sentenza n. 343 del 2006

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SENTENZA N. 343

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                 BILE                                                  Presidente

-  Giovanni Maria                   FLICK                                                 Giudice

-  Francesco                            AMIRANTE                                             “

-  Ugo                                     DE SIERVO                                             “

-  Romano                              VACCARELLA                                       “

-  Paolo                                   MADDALENA                                        “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                               QUARANTA                                            “

-  Franco                                 GALLO                                                     “

-  Luigi                                   MAZZELLA                                             “

-  Gaetano                              SILVESTRI                                              “

-  Sabino                                 CASSESE                                                 “

-  Maria Rita                           SAULLE                                                   “

-  Giuseppe                             TESAURO                                                “

-  Paolo Maria                         NAPOLITANO                                        “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, come modificato dall’art. 44, comma 3, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, promosso con ordinanza del 26 ottobre 2004 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra l’INPS e Angelini Antonio ed altro, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2005.

          Visto l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

          udito nell’udienza pubblica del 26 settembre 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

          uditi l’avvocato Gaetano De Ruvo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

         1.– Nel corso di alcuni processi di opposizione agli atti esecutivi, fra loro riuniti, proposti dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per contestare gli interventi spiegati, con titoli esecutivi giudiziali emessi dal Tribunale di Taranto, da Antonio Angelini in altrettanti processi di espropriazione presso terzi intrapresi contro il medesimo Istituto presso il Tribunale di Roma, il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 26 ottobre 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, e successive modificazioni, con particolare riguardo alle modifiche apportate dall’art. 44, comma 3, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, «per violazione del principio di ragionevolezza, e dell’art. 3, comma primo, in riferimento agli artt. 24, comma primo, e 97, comma primo, della Costituzione».

         1.1.– Il giudice a quo riferisce che, ad avviso dell’opponente INPS, gli interventi in questione sarebbero impediti dalla norma impugnata, contenuta nel secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 14 cit., la quale dispone che «il pignoramento di crediti di cui all’art. 543 del codice di procedura civile promosso nei confronti di Enti ed Istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale deve essere instaurato, a pena di improcedibilità, rilevabile d’ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura civile è promossa».

         Riferisce, inoltre, il giudice rimettente che, dal canto suo, l’interveniente-opposto ha contestato l’applicabilità della norma al caso di specie, chiedendo, in subordine, che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 3, lettera b) del decreto-legge n. 269 del 2003, per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.

         Il Tribunale di Roma, sentite le parti, ha sospeso le esecuzioni limitatamente agli interventi proposti da Antonio Angelini ed ha sollevato d’ufficio la questione di legittimità costituzionale della norma in esame nella parte in cui non prevede che anche l’intervento, ai sensi dell’art. 551 cod. proc. civ., del creditore di enti ed istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatoria organizzati su base territoriale sia proposto, a pena d’improcedibilità rilevabile d’ufficio, esclusivamente nei processi di espropriazione di crediti presso terzi pendenti innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del tribunale nel cui circondario ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento posto a fondamento dell’intervento.

         1.2.– Quanto alla rilevanza della questione, osserva il giudice rimettente che essa discende dal fatto che i giudizi a quibus vertono sull’applicabilità della norma denunciata ad una fattispecie nella quale gli interventi sono stati effettuati, in espropriazioni presso terzi pendenti innanzi al Tribunale di Roma, sulla scorta di titoli esecutivi giudiziali formati dal Tribunale di Taranto e che risulta impossibile interpretare tale norma nel senso di ritenerla estensibile anche agli interventi spiegati nell’espropriazione ex art. 543 cod. proc. civ.

         Ad avviso del giudice a quo, la disposizione in esame, infatti, introducendo una deroga alla  regola della competenza stabilita dall’art. 26, comma secondo, cod. proc. civ., è di stretta interpretazione e, pertanto, risulta insuscettiva di applicazioni estensive o analogiche. In particolare, la inapplicabilità agli interventi spiegati ai sensi dell’art. 551 cod. proc. civ. emergerebbe, oltre che dalla mancanza di un espresso riferimento, anche da altri chiari indici lessicali e normativi – quali il richiamo al solo atto introduttivo (pignoramento) dell’espropriazione forzata presso terzi e l’utilizzo dei verbi “promuovere” ed “instaurare” – che sottolineano l’esclusività del collegamento funzionale con il momento di esercizio originario dell’azione esecutiva.

         1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ritiene che la norma censurata arrechi un vulnus al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3, comma primo, Cost. e, comunque, al principio di ragionevolezza, in relazione all’art. 97, comma primo, Cost., in quanto non troverebbe «giustificazione l’omessa previsione della deroga alla regola sulla competenza per territorio – prevista in riferimento a coloro che promuovono il pignoramento di crediti nei confronti degli Enti ed Istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatoria organizzati su base territoriale – in riferimento all’intervento proposto dai creditori di detti enti nel processo esecutivo per espropriazione di crediti», tenuto conto, per un verso, del fatto che a fronte «di situazioni coincidenti in ordine all’individuazione dell’articolazione territoriale dell’ente su cui ricade la spesa (due creditori dello stesso ente di previdenza e assistenza obbligatoria organizzato su base territoriale, muniti di titoli esecutivi emessi dallo stesso ufficio giudiziario), lo scopo di tutelare l’ente, al cui perseguimento è volto il comma 1-bis dell’art. 14 del decreto-legge n. 669 del 1996, viene soddisfatto soltanto in riferimento al creditore che faccia valere la propria pretesa instaurando il processo esecutivo con il pignoramento di crediti, mentre non lo è in riferimento al creditore che intervenga in una procedura per espropriazione di crediti promossa davanti ad un tribunale diverso da quello presso il quale quello stesso creditore avrebbe dovuto promuovere il pignoramento» e, considerato, per altro verso, che, anche nel caso dell’unico creditore che utilizzi uno stesso titolo esecutivo, l’applicazione o meno della disciplina di tutela degli enti ed istituti di previdenza ed assistenza risulta rimessa alla mera scelta processuale (pignoramento o intervento) di questi.

         Il Tribunale rimettente ritiene pertanto che, in tal modo, rimarrebbe frustrato lo scopo perseguito dal legislatore – col radicare la competenza nel luogo di formazione del titolo giudiziale – di consentire all’ente la razionale ed efficiente gestione delle proprie risorse finanziarie, evitando che la spesa sia sostenuta da articolazioni diverse da quella territorialmente competente rispetto ai soggetti interessati, e collegato alla più ampia finalità – assicurata dal comma 1 e dal primo periodo del comma 1-bis, dello stesso articolo 14 cit. con la previsione di un termine dilatorio per la notifica del precetto e per l’esercizio dell’azione esecutiva, e con l’obbligo di notificare a pena di nullità gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, nonché quelli di precetto, di pignoramento e di sequestro presso la struttura territoriale dell’ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati, indicandone compiutamente i dati anagrafici – di consentire agli enti pubblici debitori di completare, nella sede territoriale che ha in carico il rapporto, le procedure di pagamento senza aggravi di spese derivanti dal processo esecutivo.

         Il giudice a quo ravvisa, inoltre, un contrasto della disposizione in esame anche con l’art. 3, comma primo, Cost., in riferimento all’art. 24, commi primo e secondo, Cost., tenuto conto che proprio l’esigenza dell’ente previdenziale articolato su base territoriale, di valutare rapidamente la posizione del soggetto interessato e la fondatezza della pretesa esecutiva, rende più facile l’esercizio del diritto di difesa il quale, invece, risulterebbe ingiustificatamente ostacolato ogni volta che il creditore ritenga di spiegare intervento in una espropriazione presso terzi promossa innanzi ad un giudice diverso da quello territorialmente individuato dall’art. 14, comma 1-bis, in esame.

         2.– È intervenuto nel giudizio, con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la disposizione denunciata, nel realizzare un ragionevole contemperamento tra le disposizioni sulla contabilità pubblica e quelle processuali, va interpretata sul piano sistematico nel senso per cui essa, più che introdurre una specifica competenza territoriale, si limiterebbe a chiarire la portata dell’art. 26, primo comma, cod. proc. civ. «nel senso che individua il luogo dove si trovano le cose mobili ex art. 513 cod. proc. civ., con conseguente necessità dell’incardinazione dell’esecuzione presso il giudice di quel luogo».

         Pertanto, ad avviso del deducente, siccome quello intervenuto è un creditore esecutante al pari del procedente – per cui, se è già pendente un’espropriazione mobiliare, può intervenire presso il giudice del luogo dove si trovano le cose mobili – e siccome le norme sulla contabilità degli enti pubblici e previdenziali precludono che vi sia identità tra le somme depositate presso le diverse sedi territoriali degli istituti debitori, l’interveniente è tenuto ad individuare il giusto luogo della cosa da apprendere per poi rivolgersi al giudice competente ratione loci per il pignoramento dei crediti; cosicché, inserendosi in un processo esecutivo promosso presso un ufficio giudiziario diverso da quello sito nel circondario presso la cui sede principale è iniziata l’esecuzione, egli dovrebbe soggiacere alle stesse preclusioni  stabilite dalla norma in esame per il creditore procedente.

         Alla luce di tali considerazioni, ritiene il Presidente del Consiglio che la norma, perseguendo lo scopo di evitare il blocco dell’attività amministrativa, si collochi nel solco di altre disposizioni che la Corte ha ritenuto realizzino un ragionevole contemperamento dell’interesse particolare del singolo a convertire il proprio diritto di credito con l’interesse generale ad una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche (sentenza n. 142 del 1998).

         Del pari, infondata sarebbe la censura parametrata al principio di eguaglianza, tenuto conto della diversità di natura e di disciplina degli enti a sede unica e di quelli organizzati su base territoriale, nonché quella articolata per violazione del diritto di difesa, essendo del tutto ragionevole che nel luogo in cui si è formato “il titolo esecutivo giudiziale, ivi si discuta della legittimità della pretesa esercitata” e, comunque, mostrando il giudice rimettente di aver già scelto una interpretazione costituzionalmente orientata e di volerne conseguire attraverso l’odierno giudizio una mera conferma.

         Infine, risulterebbe incongruente, ad avviso del Presidente del Consiglio, anche il parametro dell’art. 97 Cost., tenuto conto che la disposizione denunciata, fissando un particolare foro ratione loci giustificato dalle peculiari regole di contabilità e di tesoreria applicabili agli enti connotati da articolazioni territoriali, non pregiudicherebbe ma piuttosto realizzerebbe il buon andamento della pubblica amministrazione senza incidere in alcun modo sulla sua imparzialità.

         3.– Si è altresì costituito l’INPS, opponente nei giudizi a quibus, il quale, considerato che la norma impugnata persegue lo scopo di evitare gli oneri connessi allo spostamento della documentazione tra le diverse sedi territoriali degli enti, così evitando le ricadute negative sui tempi dell’adempimento e consentendo alle strutture decentrate di avere una immediata cognizione delle azioni esecutive intraprese al fine di gestirle direttamente, ha concluso nel senso che, in realtà, è l’interpretazione restrittiva fornita dal Tribunale di Roma a determinare la violazione del principio di razionalità ed il vulnus all’art. 24 Cost., per l’evidente contrasto con la ratio ispiratrice dell’intera disciplina dell’esecuzione forzata nei confronti della pubblica amministrazione, ricavabile fin dai lavori preparatori in termini di contenimento della spesa pubblica.

         Ad avviso del deducente, dunque, la questione di legittimità costituzionale in esame andrebbe dichiarata infondata, tenuto conto che, alla luce della interpretazione estensiva della norma denunciata – non esclusa dalla natura eccezionale di questa e, anzi, imposta dalla necessità di superarne la lettera violativa della Costituzione – essa andrebbe intesa in via sistematica come diretta a disciplinare il procedimento di espropriazione forzata presso terzi nel suo complesso e, quindi, anche gli atti di intervento.

         3.1– Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, l’INPS ha ribadito le conclusioni già prese precisando che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice rimettente, la norma impugnata, non avendo introdotto alcuna deroga alla competenza territoriale in materia di espropriazione presso terzi, ma individuando solamente il luogo in cui si trovano le cose mobili da sottoporre ad esecuzione, imporrebbe di operare una puntuale interpretazione dei criteri e dei motivi fondanti la previsione, nel senso di evitare, in quanto irrazionale, di trattare il creditore interveniente in maniera differenziata da quello procedente.

         In subordine, nel caso in cui si dovesse ritenere la disposizione censurata non applicabile anche al creditore interveniente, l’INPS ha chiesto che sia ritenuta fondata la questione di legittimità costituzionale in esame sia per irragionevolezza che per violazione degli articoli 3, comma primo, e 97, comma primo, Cost., essendo identici, tanto nel caso di avvio della procedura espropriativa che in quello di intervento successivo,  l’esigenza e lo scopo di consentire all’ente esecutato di gestire le risorse finanziarie in maniera adeguata, evitando che la spesa sia sostenuta da articolazioni diverse da quella territorialmente competente per l’esecuzione principale.

Considerato in diritto

         1.– Il Tribunale di Roma dubita della legittimità costituzionale – in riferimento agli articoli 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, e 97, comma primo, della Costituzione – dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, e successive modificazioni, con particolare riguardo alle modifiche apportate dall’art. 44, comma 3, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui non prevede che anche l’intervento, ai sensi dell’art. 551 del codice di procedura civile, del creditore di enti ed istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatoria organizzati su base territoriale sia proposto, a pena d’improcedibilità rilevabile d’ufficio, esclusivamente nei processi esecutivi per espropriazione di crediti ex art. 543 del codice di procedura civile pendenti innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del tribunale nel cui circondario ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento posto a fondamento dell’intervento.

         2.– La questione non è fondata nei sensi di seguito precisati.

         2.1.– Il giudice a quo osserva che lo «scopo perseguito dal legislatore con la norma di cui si tratta … (consentire all’ente di gestire le proprie risorse finanziarie in maniera adeguata, evitando che la spesa sia sostenuta da articolazioni diverse da quella territorialmente competente rispetto ai soggetti interessati)» sarebbe frustrato dalla formulazione della disposizione la cui «terminologia, dai significati tecnici e linguistici specifici ed univoci, impone di ritenere che la norma … si caratterizza per essere stata redatta all’esito di un percorso di formazione della volontà legislativa, nel corso del quale sono state ben distinte le fattispecie e le ipotesi oggetto della previsione da quelle ad essa estranee»: di qui, a giudizio del rimettente, la violazione del precetto di cui all’art. 3 Cost. sia per intrinseca, manifesta irragionevolezza della norma, sia per ingiustificata disparità di trattamento tra creditore procedente e creditore interveniente, sia, ancora, in relazione all’art. 24 Cost., per impedimento a che sia reso «più facilmente e compiutamente esercitabile il diritto di difesa» dell’ente previdenziale.

         2.2.– La giurisprudenza di questa Corte è costante – tanto da rendere superflua ogni citazione di precedenti – nell’affermare che il giudice (specie in assenza, come nel caso in esame, di un consolidato orientamento giurisprudenziale) ha il dovere di adottare, tra più possibili interpretazioni di una disposizione, quella idonea a fugare ogni dubbio di legittimità costituzionale, dovendo sollevare la questione di legittimità costituzionale solo quando la lettera della norma sia tale da precludere ogni possibilità ermeneutica idonea a offrirne una lettura conforme a Costituzione. Di qui il potere-dovere di questa Corte di verificare se il giudice rimettente, nel prospettare la questione di legittimità costituzionale, ha previamente adempiuto a tale dovere e se le ragioni da lui addotte per escludere la possibilità di una interpretazione conforme a Costituzione scaturiscono da un adeguato sforzo interpretativo.

         2.3.– L’ordinanza de qua è caratterizzata da una articolata ed esaustiva motivazione nella parte dedicata all’individuazione della ratio della norma, desunta – non soltanto dal tenore della disposizione censurata ma anche – dal «più complesso e ampio sistema disciplinato dai commi 1 e 1-bis all’art. 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669», tutto volto a favorire la gestione – adeguata proprio perché articolata – delle proprie risorse finanziarie da parte dell’ente previdenziale organizzato su base territoriale e così anche, indirettamente, a favorire la più rapida soddisfazione dei creditori. Ed è sulla base di questa ratio che, coerentemente, il giudice rimettente non ha dato corso alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal creditore interveniente – tesa all’espunzione radicale della norma – ma ha sollevato d’ufficio l’opposta questione diretta ad ampliarne la portata, a suo avviso ingiustificatamente limitata.

         Le argomentazioni, viceversa, sviluppate per giustificare l’asserita impossibilità di una interpretazione conforme alla ratio della norma – la quale ne escluderebbe la lesività dei precetti costituzionali – si fondano esclusivamente su dati letterali, che si assumono univoci e frutto di consapevole opzione di «un legislatore attento nella scelta dei termini e nell’individuazione delle fattispecie astratte disciplinate»: sicché l’ordinanza di rimessione – senza avvedersi della contraddizione insita nell’attribuire al legislatore piena consapevolezza sia dell’ampio fine propostosi sia, contestualmente, della angusta «individuazione delle fattispecie astratte disciplinate» – osserva che il riferimento al «pignoramento dei crediti di cui all’art. 543», quale «atto introduttivo dell’espropriazione forzata presso terzi», sarebbe confortato dall’«impiego del verbo “promuovere”, che indica il momento introduttivo di una procedura» e da quello «del verbo “instaurare”, indicativo della creazione ex novo di rapporti tra soggetti».

         2.4.– È agevole rilevare che la pluralità di argomenti addotti dal rimettente è solo apparente, in quanto tutti presuppongono, e si fondano sul significato attribuito alla prima locuzione: essendo evidente che, se per «pignoramento di crediti di cui all’art. 543 del codice di procedura civile» si intende non l’atto introduttivo della procedura esecutiva, ma l’espropriazione dei crediti, i verbi «promuovere» e «instaurare» – a prescindere dalla loro pretesa valenza “tecnica” – possono ben intendersi come riferiti a qualsiasi azione esecutiva esperita dai creditori, anche a mezzo di intervento.

         Poiché tale interpretazione è idonea a fugare i dubbi di illegittimità costituzionale sollevati dal rimettente, deve concludersi che è doveroso intendere la norma censurata nel senso che il creditore, il quale intenda sottoporre ad espropriazione forzata crediti di enti ed istituti esercenti forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale, deve agire esecutivamente, a pena di improcedibilità, anche in qualità di interveniente, innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale agisce.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

         dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1-bis, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, e successive modificazioni apportate dall’art. 44, comma 3, lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma primo, 24, commi primo e secondo, e 97, comma primo, della Costituzione, dal Tribunale di Roma con l’ordinanza in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2006.