Ordinanza n. 318 del 2006

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ORDINANZA N. 318

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco                                 BILE                                                  Presidente

-  Giovanni Maria                   FLICK                                                   Giudice

-  Ugo                                     DE SIERVO                                             “

-  Romano                              VACCARELLA                                       “

-  Paolo                                   MADDALENA                                        “

-  Alfio                                   FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                               QUARANTA                                            “

-  Franco                                 GALLO                                                     “

-  Luigi                                   MAZZELLA                                             “

-  Gaetano                              SILVESTRI                                              “

-  Sabino                                 CASSESE                                                 “

-  Maria Rita                           SAULLE                                                   “

-  Giuseppe                             TESAURO                                                “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma secondo, n. 3, quarto e quinto periodo, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), come sostituito dall’art. 14 della legge della Regione siciliana del 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), promosso con ordinanza del 29 dicembre 2004 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Giuseppe Rao c/ la Provincia regionale di Messina ed altri, iscritta al n. 275 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2005.

         Visti gli atti di costituzione di Calanna Francesco Concetto, nonché gli atti di intervento di Lucchese Giuseppe e della Regione siciliana;

         udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

         udito l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per la Regione siciliana.

         Ritenuto che nel corso di un giudizio elettorale promosso da Giuseppe Rao davanti al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, per ottenere l’annullamento delle operazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio della Provincia regionale di Messina, svoltesi nei giorni 25 e 26 maggio 2003, l’adito Tribunale, con ordinanza del 29 dicembre 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 51, comma primo, della Costituzione, dell’art. 18, n. 3, comma secondo, periodi quarto e quinto, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), e successive modificazioni, introdotte dall’articolo 14, secondo comma, della legge regionale 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), limitatamente alle parole «a partire dal collegio con popolazione legale meno numerosa» e «quindi si passa all’attribuzione dei seggi residui a quei collegi che seguono il primo secondo l’ordine crescente di popolazione fino all’esaurimento dei seggi attribuiti a ciascuna lista provinciale»;

         che il giudice rimettente riferisce, in fatto, che il ricorrente ha partecipato alla competizione elettorale, per cui è insorta controversia, quale candidato della lista “La Margherita – Democrazia è Libertà” nel collegio n. 2 (Messina Nord); che tale lista – alla quale sono stati attribuiti, in sede provinciale, quattro seggi –  ha conseguito nel predetto collegio il quoziente elettorale di 0,99568129, con il quale ha partecipato alla distribuzione dei seggi residui; che la lista medesima, pur avendo raggiunto nel collegio n. 2 il più alto quoziente tra tutte le liste in tutti i collegi, non ha conquistato alcun seggio nel menzionato collegio, avendo ottenuto i quattro seggi in altri collegi, nei quali ha riportato quozienti di gran lunga inferiori, e ciò per effetto del criterio introdotto dall’art. 14, secondo comma, della legge regionale n. 26 del 1993; che, avendo il ricorrente dedotto, in via principale, l’erroneità del conteggio dei voti e, quindi, del calcolo del quoziente elettorale, è stata disposta una verificazione tesa ad appurare l’esatto numero dei voti riportati dalle liste partecipanti alla competizione elettorale nel collegio n. 2, all’esito della quale è emerso, pur essendosi riscontrati numerosi e gravi errori in sede di scrutinio dei voti, che la correzione dei risultati elettorali non avrebbe portato ad un incremento del quoziente elettorale; che il ricorrente ha eccepito, in via subordinata, la incostituzionalità dell’art. 18, n. 3, comma secondo, della legge regionale n. 14 del 1969, come modificata dall’articolo 14, comma secondo, della legge regionale n. 26 del 1993, e, conseguentemente, l’illegittimità della ripartizione dei seggi, per non essere stato assegnato un seggio alla lista “La Margherita” nel collegio n. 2, che sarebbe a lui spettato, in virtù dei voti di preferenza ottenuti;

         che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che solo attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale della norma censurata il ricorrente potrebbe ottenere l’elezione a consigliere provinciale;

         che, quanto alla non manifesta infondatezza, il medesimo giudice osserva che la norma in questione – la quale, in parte qua, stabilisce: «Gli eventuali seggi residui verranno attribuiti a partire dal collegio con popolazione legale meno numerosa, seguendo la graduatoria decrescente delle parti centesimali fino all’attribuzione di tutti i seggi spettanti al collegio. Quindi si passa alla attribuzione degli altri seggi residui a quei collegi che seguono il primo secondo l’ordine crescente di popolazione, fino all’esaurimento dei seggi attribuiti a ciascuna lista in sede provinciale» – favorisce i candidati delle circoscrizioni minori, mentre il resto della disciplina pare salvaguardare gli interessi di tutti i candidati;

         che l’art. 18 della legge regionale n. 14 del 1969 prevede, infatti, formule matematiche intese a «omogeneizzare in un’unica graduatoria i valori (relativi) espressi da ciascuna lista in ciascun collegio, attesi i diversi parametri da comparare per ogni collegio (numero dei votanti, numero dei voti validi, numero dei candidati)», disponendo (al n. 3, comma secondo, periodi primo e secondo) che per calcolare il quoziente di ciascuna lista deve così procedersi: «[…] si moltiplica per cento il numero dei voti riportati in sede collegiale da ciascuna lista alla quale, in sede provinciale, sono stati assegnati uno o più seggi e il risultato si divide per il totale dei voti conseguiti nell’ambito della circoscrizione collegiale dalle liste ammesse al riparto dei seggi. Quindi si moltiplica tale risultato per il numero dei seggi assegnato al collegio diviso cento»;

         che in tal modo si perviene – afferma ancora il Tribunale – «ad una graduatoria rapportata alla medesima base percentuale (100), con la determinazione di un quoziente che rappresenta, per un verso, il valore proporzionale dell’apporto arrecato dai candidati di una lista in ambito collegiale per il conseguimento dei seggi conquistati dalla medesima lista su base provinciale, per altro verso il valore elettorale di ciascuna lista in ciascun collegio “relativizzato” con l’analogo “valore” collegiale delle altre liste»;

         che il “correttivo”, per il quale i seggi residui vengono attribuiti partendo dai collegi con popolazione legale meno numerosa, toglierebbe ogni significato alla omogeneizzazione dei risultati di ciascuna lista in ciascun collegio, penalizzando il migliore risultato elettorale e premiando, invece, un risultato deteriore, di tal ché viene ad essere irragionevolmente depotenziato il principio di maggiore rappresentatività (relativa), che deve presiedere all’assegnazione dei seggi;

         che il giudice rimettente non ignora che su analoga questione, sollevata dallo stesso Tribunale in altro giudizio, la Corte costituzionale si è già pronunciata con l’ordinanza n. 361 del 2004, dichiarando la manifesta inammissibilità della questione stessa;

         che, tuttavia, il Tribunale ritiene di dover riproporre la questione sulla base di «una più approfondita prospettazione», sottolineando che ben possono essere contemperate «le fondamentali esigenze di rispettare il valore proporzionale e di salvaguardare la rappresentanza territoriale», in quanto «l’elemento da cui va iniziato nell’assegnazione dei seggi è costituito dal miglior quoziente, in relazione, ovviamente, ad un duplice riferimento: un collegio ed una lista»; sicché «se vi è disponibilità di seggi nel collegio relativo a tale miglior quoziente, il seggio non potrà non essere assegnato alla lista che vanta tale quoziente», e si procederà, poi, «all’assegnazione dei seggi alle liste cui sono attribuiti quozienti immediatamente seguenti, via via decrescenti»;

         che, al contrario, la norma censurata introduce un criterio che provoca effetti distorsivi, e perciò essa viola – conclude il rimettente – sia il principio di uguaglianza, inteso come canone di coerenza e ragionevolezza imposto dall’art. 3 Cost. al legislatore, sia il precetto dell’art. 51, primo comma, Cost., il quale ribadisce il principio di uguaglianza per quanto concerne l’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive;

         che si è ritualmente costituito nel giudizio di costituzionalità Francesco Concetto Calanna, controinteressato nel giudizio a quo, il quale ha chiesto che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile, in quanto, così come formulata dal giudice rimettente, essa lascerebbe residuare, in caso di accoglimento, una normativa non autosufficiente, che richiederebbe un successivo intervento del legislatore in una materia (quale appunto quella elettorale) in cui l’esistenza di una normativa è costituzionalmente necessaria;

         che le operazioni di assegnazione dei seggi residui – per soddisfare sia l’esigenza della rappresentatività territoriale dell’eligendo Consiglio provinciale sia quella della rappresentatività politica dei risultati elettorali – debbono necessariamente avere inizio da un collegio determinato, che la legge impugnata individua in quello con popolazione legale meno numerosa;

         che l’eliminazione di siffatto criterio non consentirebbe l’applicazione della normativa residua, ben potendo accadere che in uno stesso collegio si concentrino i migliori risultati percentuali di un numero di liste superiore ai seggi assegnati in base alla popolazione residente, con la conseguenza che, in caso di saturazione del collegio, si dovrebbe assegnare il seggio nel primo collegio ancora capiente, e quindi nel collegio dove la lista non ha ottenuto il più elevato quoziente;

         che, peraltro, la questione è inammissibile sotto altro profilo, postulando essa il sindacato di una scelta di politica legislativa rimessa alla discrezionalità del legislatore, come dimostra la circostanza che, anteriormente alle modifiche introdotte dall’art. 14 della legge regionale n. 26 del 1993, la legge regionale n. 14 del 1969 prescriveva che si partisse dal collegio con popolazione più numerosa;

         che la questione, in subordine, sarebbe manifestamente infondata, in primo luogo, perché sono omogenei tra loro solo i quozienti riportati in ciascun collegio (e, quindi, delle varie liste che in esso competono), non anche quelli degli altri collegi;

         che, infatti, il quoziente ottenuto in un collegio più popoloso è solo apparentemente superiore, in quanto esso si ottiene moltiplicando la percentuale dei voti riportati dalla lista nel collegio per il numero dei seggi assegnati al medesimo collegio;

         che la ragionevolezza della soluzione prescelta dal legislatore regionale è dimostrata anche dalla circostanza che per l’elezione della Camera dei deputati l’art. 83, comma primo, n. 4, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati), come modificato dall’art. 5 della legge 4 agosto 1993, n. 277 (Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati), prevede un sistema analogo di attribuzione dei seggi «a partire dalla circoscrizione di minore dimensione demografica»;

         che è intervenuto il Presidente della Regione siciliana, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile per mancanza del requisito della incidentalità;

         che, comunque, la questione è manifestamente infondata in quanto la norma impugnata tende ad assicurare maggiore rappresentatività ai piccoli partiti che ottengono risultati più consistenti (in termini numerici) nei collegi più popolosi, in quanto i partiti maggiori conseguono i seggi residui nei collegi meno popolosi dai quali, secondo la legge, inizia l’assegnazione dei seggi residui;

         che, pertanto, il sistema elettorale delineato dalla legge regionale, pur se diverso da quello previsto dalla legge statale 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), porta a risultati non sostanzialmente difformi, sicché non può ritenersi che il legislatore regionale, nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia elettorale − giusta gli artt. 14 e 15 dello statuto della Regione siciliana (approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) − abbia dettato norme irrazionali in violazione dell’art. 51 Cost. (Corte costituzionale, sentenza n. 108 del 1969);

         che è intervenuto, altresì, Giuseppe Lucchese, candidato non eletto al Consiglio della Provincia regionale di Messina, il quale aveva proposto analogo ricorso al TAR della Sicilia, fondato sull’identica questione di legittimità costituzionale, già dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 361 del 2004.

         Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 51, comma primo, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 18, n. 3, comma secondo, periodi quarto e quinto, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), e successive modificazioni, introdotte dall’articolo 14, comma secondo, della legge regionale 1° settembre 1993, n. 26 (Nuove norme per l’elezione con suffragio popolare del presidente della provincia regionale. Norme per l’elezione dei consigli delle province regionali, per la composizione ed il funzionamento degli organi di amministrazione di detti enti. Norme modificative ed integrative al T.U. approvato con D.Lgs.P.Reg. 20 agosto 1960, n. 3, ed alla legge regionale 26 agosto 1992, n. 7), nella parte in cui «dispone l’assegnazione dei seggi residuati non secondo la graduatoria delle liste in funzione del miglior quoziente ed in ragione della disponibilità dei seggi per collegio, ma partendo dai collegi “con popolazione legale meno numerosa” e passando via via agli altri in ordine crescente di popolazione»;

         che, preliminarmente, deve dichiararsi l’inammissibilità dell’intervento del sig. Giuseppe Lucchese in quanto parte in giudizio diverso da quello a quo, e pertanto non legittimato ad intervenire secondo la costante giurisprudenza di questa Corte;

         che la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, non essendo condivisibile quanto, in punto di merito, il giudice a quo sostiene al fine di superare le ragioni in base alle quali questa Corte si è pronunciata, dichiarandone la manifesta inammissibilità, su analoga questione con ordinanza n. 361 del 2004;

         che non può concordarsi con la tesi prospettata dal giudice rimettente – secondo la quale l’assegnazione dei seggi residui dovrebbe avvenire attribuendoli, per ciascuna lista, ai candidati che hanno conseguito il maggior quoziente «se vi è disponibilità di seggi nel collegio relativo a tale miglior quoziente» – assumendo che essa sarebbe  costituzionalmente necessitata, in quanto solo questa, e non anche quella accolta dal legislatore regionale, sarebbe idonea a contemperare «le fondamentali esigenze di rispettare il valore proporzionale e di salvaguardare la rappresentanza territoriale»;

         che né l’una né l’altra esigenza sono, in realtà, soddisfatte in misura maggiore di quanto faccia la vigente legge regionale, in primo luogo perché il quoziente ottenuto da una lista in un collegio è comparabile con quelli ottenuti dalle altre liste nel medesimo collegio, e non anche con quelli ottenuti dalla medesima lista in altri collegi, ed in secondo luogo perché, ove non vi sia capienza di seggi in un collegio, in quanto attribuiti a liste con quozienti più elevati, il candidato della lista pretermessa verrebbe pur sempre escluso, anche se il quoziente da lui ottenuto fosse maggiore di quello del candidato della medesima lista che, tuttavia, concorra in un collegio nel quale vi sia capienza di seggi;

         che, conclusivamente, l’esigenza di «salvaguardare la rappresentanza territoriale» nell’attribuzione dei seggi residui rende inevitabile la possibilità che tale attribuzione avvenga a vantaggio di un candidato che abbia conseguito un quoziente minore di altro candidato della medesima lista concorrente in altro collegio;

         che la soluzione prescelta dal legislatore regionale con la norma impugnata non può, conseguentemente, ritenersi irragionevole, così come deve escludersi − in ragione di quanto si è detto circa la non comparabilità dei quozienti ottenuti in diversi collegi − che, essa violi il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 51, comma primo, Cost., per l’accesso alle cariche elettive.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

         dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, n. 3, comma secondo, periodi quarto e quinto, della legge della Regione siciliana 9 maggio 1969, n. 14 (Elezione dei Consigli delle Province regionali), sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 51, comma primo, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2006.