Ordinanza n. 281 del 2006

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ORDINANZA N. 281

 

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Annibale                                      MARINI                                Presidente

-         Franco                                          BILE                                      Giudice

-         Giovanni Maria                            FLICK                                        "

-         Francesco                                     AMIRANTE                               "

-         Ugo                                              DE SIERVO                               "

 

-         Romano                                       VACCARELLA                        "

 

-         Paolo                                            MADDALENA                          "

 

-         Alfio                                            FINOCCHIARO                        "

 

-         Alfonso                                        QUARANTA                             "

 

-         Franco                                          GALLO                                      "

 

-         Luigi                                            MAZZELLA                              "

 

-         Gaetano                                       SILVESTRI                                "

 

-         Sabino                                          CASSESE                                   "

 

-         Maria Rita                        SAULLE                                    "

 

-         Giuseppe                                      TESAURO                                 "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144) e degli articoli 2 e 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza del 21 maggio 2004 dal Tribunale di Trani, nel procedimento civile vertente tra Di Salvo Francesco e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), iscritta al n. 711 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di costituzione di Di Salvo Francesco, dell’INAIL, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

uditi l’avvocato Luigi La Peccerella per l’INAIL e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, nel corso del giudizio promosso da Francesco Di Salvo nei confronti dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL), per il conseguimento delle prestazioni assicurative dovute per l’infortunio sul lavoro subìto il 20 febbraio 1999, e in cui il ricorrente lamentava il mancato indennizzo del danno biologico, il Tribunale di Trani, sezione lavoro, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), nella parte in cui, introducendo l’indennizzabilità del danno biologico conseguito ad infortunio sul lavoro, ne limita l’applicazione agli infortuni verificatisi a decorrere dall’entrata in vigore del decreto ministeriale 12 luglio 2000 (Approvazione di «Tabella delle menomazioni»; «Tabella indennizzo danno biologico»; «Tabella dei coefficienti», relative al danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), e, cioè, dal 25 luglio 2000, per violazione degli articoli 3, 32, primo comma, 35, primo comma, 38, secondo comma, e 76 della Costituzione, e, in via subordinata, ove siano ritenuti ratione temporis applicabili alla controversia, degli articoli 2 e 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), nella parte in cui non prevedono il risarcimento del danno biologico subìto dal lavoratore nello svolgimento e a causa delle proprie mansioni, per violazione degli artt. 3, 32, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione;

che il rimettente ha esposto che l’INAIL non intendeva indennizzare il danno biologico derivato dall’infortunio, perché avvenuto in data anteriore al 25 luglio 2000, e che l’interpretazione tendente ad escludere la risarcibilità del danno biologico, per ragioni temporali, comporta la lesione del diritto alla salute (artt. 32 e 38 della Costituzione, di immediata portata precettiva);

che, nel settore del pubblico impiego, riguardo alle menomazioni per causa di servizio, i danni permanenti all’integrità psico-fisica, seppur senza riflessi sull’attività lavorativa, sono indennizzati con pensione privilegiata, assegno rinnovabile o assegno una tantum, con evidente disparità di trattamento rispetto al settore privato;

che, in passato, la Corte costituzionale ha più volte osservato che il mancato risarcimento del danno biologico patito dal lavoratore non è in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, oltre che con la tutela privilegiata del lavoro, nel quadro dei più generali principi di solidarietà e di eguaglianza;

che la stessa Corte ha invitato il legislatore ad apprestare una piena e integrale garanzia assicurativa (sentenze n. 356 e n. 87 del 1991);

che il legislatore ha raccolto l’invito tardivamente, e con rimedio parziale, giacché l’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ha limitato l’indennizzabilità del danno biologico agli infortuni verificatisi e alle tecnopatie denunciate a decorrere dal 25 luglio 2000, data di entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000;

che la limitazione all’indennizzabilità del danno biologico da infortunio sul lavoro non è, peraltro, contenuta tra i principi e criteri direttivi posti dalla legge n. 144 del 1999, con cui il Governo è stato delegato a dare riscontro ai solleciti della Corte costituzionale per superare i profili d’incostituzionalità del d.P.R. n. 1124 del 1965;

che lo sbarramento temporale all’entrata in vigore del d.m. citato, come posto dall’art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 38 del 2000, fa ritenere indennizzabili gli infortuni accaduti in data precedente in base agli artt. 2 e 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965, censurati in via subordinata dal Tribunale di Trani;

che le norme ora citate assicurano il lavoratore, qualora il danno consista nella riduzione della capacità lavorativa, escludendo la copertura ove la menomazione all’integrità psico-fisica non abbia avuto incidenza sull’attitudine al lavoro, con conseguente violazione dei principi di tutela della salute, del lavoro, dell’effettività delle garanzie assicurative, di eguaglianza e ragionevolezza, tenuto conto che ai dipendenti statali la legislazione vigente, da molto tempo, riconosce l’indennizzo del danno biologico per menomazioni contratte per causa di servizio;

che se il contrasto con i principi costituzionali era ravvisabile prima del d.lgs. n. 38 del 2000, a maggior ragione lo è oggi, dopo che il legislatore ha riconosciuto il danno biologico, ma solo in base a una particolare decorrenza temporale;

che nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti sia il ricorrente Di Salvo che il resistente INAIL;

che il Di Salvo chiarisce di aver lamentato postumi permanenti dall’infortunio del 20 febbraio 1999, nella misura del 100% di inabilità permanente, a fronte dell’incongrua valutazione compiuta dall’INAIL, del 75%, e di aver chiesto al Tribunale di Trani l’accertamento della maggior misura, con conseguente liquidazione delle due voci di indennizzo (patrimoniale e biologico) di cui all’art. 13, comma 2, del decreto legislativo n. 38 del 2000 (in subordine, la rendita ex art. 66 del d.P.R. n. 1124 del 1965);

che la risarcibilità del danno biologico è ammissibile, in base alla nuova normativa, a partire dal 25 luglio 2000;

che tale interpretazione, fatta propria dall’INAIL, non sarebbe conforme ai principi costituzionali;

che la difesa del lavoratore svolge argomentazioni del tutto coincidenti con il tenore dell’ordinanza di rimessione, aggiungendo alcune osservazioni a contrastare la difesa dell’INAIL nel giudizio di merito, secondo la quale la decorrenza del nuovo regime indennitario costituirebbe insindacabile scelta del legislatore;

che non sarebbe proponibile il paragone con la situazione (oggetto della pronuncia n. 108 del 2002 della Corte costituzionale) in cui la legge, con determinata decorrenza temporale, ha mutato la base retributiva per la liquidazione della rendita da inabilità permanente per infortunio in agricoltura, giacché riguardo al danno biologico la normativa riconosce al lavoratore un nuovo diritto, ovvero la copertura assicurativa di un ulteriore danno, con indebita introduzione di uno spartiacque temporale, e con il risultato di creare una disparità di trattamento tra lavoratori, seppure a parità di condizioni di infortunio o tecnopatia e postumi conseguiti;

che, oltre che con il principio di eguaglianza, la norma impugnata contrasterebbe con la legge delega, che non ha certo indicato, tra i principi e criteri direttivi, l’imposizione di uno sbarramento temporale per la validità della nuova disciplina;

che l’unica rilevante discrezionalità del legislatore è quella del legislatore delegante, che non ha inteso porre distinzioni basate sul tempo;

che neppure la questione sollevata in via subordinata, concernente gli artt. 2 e 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965, potrebbe essere messa in relazione ad un fenomeno di successione di leggi nel tempo;

che l’ulteriore argomento sviluppato dall’INAIL, relativo al danno differenziale di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, che disciplina la responsabilità civile del datore di lavoro e dei terzi, in caso di accertata responsabilità penale, appare non pertinente;

che, nel proprio atto di costituzione, l’INAIL assume l’infondatezza della sollevata questione, giacché la Corte costituzionale, con la stessa sentenza citata nell’ordinanza di rimessione (n. 87 del 1991), ha affermato che la regolamentazione dell’indennizzo del danno biologico richiede scelte discrezionali riservate al legislatore; con questo escludendo che gli artt. 32 e 38 della Costituzione abbiano immediata efficacia precettiva, spettando invece al legislatore disciplinare modalità, misura e tempi di applicabilità della disciplina indennitaria;

che, riguardo al preteso contrasto con la legge delega, le norme delegate vanno lette, finché possibile, nel significato compatibile con la legge di delega (sentenze numeri 276, 163 e 126 del 2000, n. 15 del 1999 e n. 531 del 1995) e che, inoltre, la delega non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal delegante (sentenze n. 198 del 1998 e n. 117 del 1997), nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenza n. 308 del 2002);

che, riguardo al preteso contrasto con il principio di uguaglianza, la tutela previdenziale del danno biologico a favore dei dipendenti statali non sarebbe raffrontabile, trattandosi di istituti con natura e funzioni completamente diverse, in quanto il regime privilegiato della causa di servizio dei lavoratori pubblici s’inquadra nel sistema del trattamento di quiescenza, mentre il sistema assicurativo dei lavoratori, pubblici e privati, di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965, garantisce le conseguenze di eventi lesivi causati dal lavoro, tanto che la funzione previdenziale e quella pensionistica non sono necessariamente alternative e possono concorrere in capo allo stesso soggetto;

che, sempre riguardo al preteso contrasto con il principio di uguaglianza, in relazione all’applicabilità temporale, è noto che il sopravvenire di una nuova disciplina applicabile ad un fatto simile a quello regolato dalla norma precedente, non determina disparità di trattamento, vigendo, sul tema della successione delle leggi, l’ampia discrezionalità legislativa, con l’unico limite della ragionevolezza (sentenze numeri 409 e 18 del 1994);

che, in applicazione di tali principi, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della norma (art. 14 del decreto-legge 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243) che individua, con decorrenza 1° giugno 1993, ai fini del riconoscimento del diritto a prestazioni e del calcolo della rendita da infortunio sul lavoro o malattia professionale in agricoltura, condizioni e parametri diversi da quelli della precedente normativa;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi la manifesta inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione proposta;

che, secondo l’Autorità intervenuta, la scelta di far decorrere dal 25 luglio 2000 l’applicabilità della norma che prevede la risarcibilità del danno biologico da infortunio sul lavoro è originata dall’intento legislativo di delineare un nuovo equilibrio del sistema previdenziale, in modo da far corrispondere, a fronte di prevedibili maggiori esborsi dell’ente previdenziale, un più efficace sistema di riscossione delle rendite previdenziali, nonché di individuare un riferimento certo e determinato mediante il quale selezionare gli eventi indennizzabili;

che, raccogliendo i moniti della Corte costituzionale, la legge delega 17 maggio 1999, n. 144, ha posto al centro del sistema assicurativo non più la mera capacità lavorativa dell’assicurato, ma la complessiva personalità del soggetto e che per attribuire al danno biologico idonea copertura è stato necessario riformulare interamente le modalità di determinazione delle rendite previdenziali, parallelamente al riordino delle voci di danno alla persona;

che non poteva procedersi ad una semplice maggiorazione delle rendite di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965, ma è stato necessario riformulare le tabelle di valutazione medico-legali, e, a fronte del prevedibile maggior esborso di prestazioni economiche, il contenimento della spesa pubblica ha comportato la necessità di aumento dei premi e adozione di articolate modalità di indennizzo;

che solo con l’entrata in vigore del decreto ministeriale di revisione delle voci di danno e dei premi, è stato possibile determinare l’insorgenza del diritto alla liquidazione del danno biologico;

che, proprio riguardo alla concessione di benefici economici e retributivi, è apparso ragionevole graduare la retroattività, al fine di evitare lo sfondamento della copertura finanziaria, non rimediabile con i normali assestamenti di bilancio (sentenze n. 241 del 2000 e n. 202 del 1999);

che, peraltro, nella specie, il divario temporale tra l’entrata in vigore del d.lgs. n. 38 del 2000 e del d.m. 12 luglio 2000 è trascurabile, tenendo anche conto che l’infortunio oggetto del giudizio a quo è avvenuto addirittura prima della emanazione della legge delega;

che, riguardo alla dedotta incostituzionalità degli artt. 2 e 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965, possono richiamarsi le indicazioni della giurisprudenza costituzionale, secondo cui il rafforzamento della tutela del lavoratore necessita di innovazione legislativa, la specificazione delle modalità procedurali e tecniche della quale spetta al legislatore;

che i precedenti ascrivono alla sfera di discrezionalità legislativa il potere di stabilire la misura e la variazione dei trattamenti previdenziali, bilanciando l’interesse dei beneficiari con le esigenze finanziarie dello Stato e degli enti previdenziali;

che va esclusa la violazione del diritto alla salute, che può venire rafforzandosi con scelte legislative graduali, restando, comunque, compito del legislatore contemperarlo con altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra in relazione alle esigenze organizzative e finanziarie di cui dispone (sentenza n. 247 del 1992);

che, sotto il profilo dell’art. 38 della Costituzione, il principio costituzionale dell’adeguatezza della prestazione pensionistica è soddisfatto dalla presenza, nella normativa censurata, del maggior danno indennizzato, per effetto dell’estensione della copertura assicurativa al danno biologico;

che indicazioni per la rivalutazione delle situazioni pregresse non provengono dalla legge delega n. 144 del 1999, la quale, ove lo ha voluto, lo ha espressamente previsto (art. 13, rectius: art. 55, comma 1, lettera g), dal momento che, anzi, l’irretroattività è stata prevista implicitamente, laddove si è stabilito che l’attuazione delle deleghe non deve comportare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica (art. 13, rectius: art. 55, comma 3), ed essendosi ottenuta la copertura finanziaria dell’assicurazione del danno biologico, con la maggiorazione dei premi, mentre l’irretroattività degli stessi impedisce che eventuali oneri aggiuntivi siano scaricati sulla finanza pubblica;

che, nell’imminenza della pubblica udienza, la difesa del Di Salvo ha depositato memoria al fine di confutare le difese dell’INAIL e del Presidente del Consiglio dei ministri;

che la discrezionalità legislativa, in ordine alla copertura assicurativa del danno biologico da infortuni sul lavoro, non toglie che, una volta che il principio della indennizzabilità di tale voce di danno sia affermato, il sindacato di ragionevolezza della disciplina si sposti dalla decorrenza all’ambito soggettivo di applicabilità della stessa e che sotto tale profilo si crei una disparità di trattamento tra i lavoratori infortunatisi dopo l’entrata in vigore del d.m. 12 luglio 2000 e quelli infortunatisi prima;

che, con il far dipendere dall’emanazione del decreto ministeriale di disciplina la tabella delle menomazioni e la tabella dei coefficienti, il legislatore delegato ha di fatto rimesso all’amministrazione il potere di stabilire se e quando il danno biologico dei lavoratori dovesse essere indennizzato;

che non è sostenibile la correlazione tra la decorrenza della disciplina dell’indennizzo e la copertura finanziaria dello stesso, dal momento che l’indennizzo del danno biologico è diventato operativo dalla data di entrata in vigore del d.m. del 2000, mentre la revisione dei premi è avvenuta solo nel 2003.

Considerato che il Tribunale di Trani, sezione lavoro, in composizione monocratica, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), là dove, introducendo l’indennizzabilità del danno biologico conseguito ad infortunio sul lavoro, ne limita l’applicazione agli infortuni verificatisi a decorrere dall’entrata in vigore del decreto ministeriale 12 luglio 2000 (Approvazione di «Tabella delle menomazioni»; «Tabella indennizzo danno biologico»; «Tabella dei coefficienti», relative al danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), e, cioè, dal 25 luglio 2000, per violazione degli artt. 3 (principio di uguaglianza), 32, primo comma (diritto alla salute), 35, primo comma (tutela del lavoro), 38, secondo comma (diritto alla copertura previdenziale e assicurativa), e 76 (esercizio della funzione legislativa delegata) della Costituzione, e, in via subordinata, degli artt. 2 e 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), là dove non prevedono il risarcimento del danno biologico subìto dal lavoratore nello svolgimento e a causa delle proprie mansioni, per violazione degli artt. 3 (principio di uguaglianza), 32, primo comma (diritto alla salute), 35, primo comma (tutela del lavoro), 38, secondo comma (diritto alla copertura previdenziale e assicurativa), della Costituzione;

che le questioni prospettate sono manifestamente inammissibili per una duplicità di ragioni, ciascuna sufficiente da sola a sorreggere la pronuncia;

che il giudice rimettente prospetta l’incostituzionalità, sia pure in modo subordinato, di norme – l’art. 13, comma 2, del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, e gli artt. 2 e 74 del d.P.R. n. 1124 del 1965 – fra le quali non corre il dedotto nesso di subordinazione logico-giuridica, senza esprimere la propria opinione su quale delle due disposizioni sia ratione temporis applicabile alla fattispecie, con ciò rimettendo inammissibilmente a questa Corte l’individuazione del thema decidendum che spetta invece al giudice a quo (v., ex plurimis, ordinanze numeri 209 del 2006, 50 e 192 del 2004);

che nell’ordinanza, inoltre, non vi è alcun riferimento all’oggetto della controversia nel giudizio a quo, limitandosi il rimettente a esporre che il lavoratore si era infortunato gravemente sul lavoro il 20 febbraio 1999, senza enunciare il tipo di danno che lo stesso aveva subìto e se alla riduzione della capacità lavorativa si sia oggettivamente aggiunta la menomazione della capacità extra-lavorativa, e senza indicare in che misura e in riferimento a quali voci le tabelle di liquidazione siano astrattamente applicabili, ove si dovesse superare il limite temporale la cui costituzionalità si contesta;

che dall’ordinanza non è dato comprendere se, atteso il tenore dell’azione spiegata in giudizio, e tenuto conto del tipo di danno lamentato, le prestazioni assicurative sarebbero erogabili ove si pervenisse a una dichiarazione d’incostituzionalità nella direzione auspicata;

che siffatte omissioni, incidendo, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni proposte, in relazione alle peculiarità della fattispecie, rendono le questioni stesse manifestamente inammissibili (v., ex plurimis: ordinanze numeri 423, 333, 331 e 142 del 2005; n. 174 del 2004; n. 182 del 2003).

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 32, primo comma, 35, primo comma, 38, secondo comma, e 76 della Costituzione, e degli articoli 2 e 74 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 32, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Trani, sezione lavoro, in composizione monocratica, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2006.

 

F.to:

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

 

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2006.