Ordinanza n. 263 del 2006

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ORDINANZA N. 263

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                               MARINI                            Presidente

- Franco                                  BILE                                     Giudice

- Giovanni Maria                    FLICK                                        "

- Francesco                             AMIRANTE                               "

- Ugo                                      DE SIERVO                               "

- Romano                                VACCARELLA                        "

- Paolo                                    MADDALENA                          "

- Alfio                                     FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                                QUARANTA                             "

- Franco                                  GALLO                                      "

- Luigi                                     MAZZELLA                              "

- Gaetano                                SILVESTRI                                "

- Sabino                                  CASSESE                                   "

- Maria Rita                            SAULLE                                    "

- Giuseppe                              TESAURO                                 "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3 (Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’art. 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e, in particolare, degli artt. 1, 4 e 5 dello stesso decreto, promosso con ordinanza del 15 ottobre 2004 dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche, sul ricorso proposto dall’Associazione Italia Nostra Onlus ed altro, contro il Ministero per i beni e le attività culturali ed altri, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visti gli atti di costituzione dell’Associazione Italia Nostra Onlus ed altro e di Roberto Cecchi, nonché l’atto di intervento del Presidente del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi gli avvocati Vincenzo Cerulli Irelli e Giovanni Pallottino per l’Associazione Italia Nostra Onlus e per il Consiglio Regionale Marche dell’Associazione Italia Nostra Onlus, e l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che l’Associazione Italia Nostra Onlus e il Consiglio regionale per le Marche della stessa Associazione hanno proposto, davanti al Tribunale amministrativo regionale delle Marche, un ricorso per l’annullamento, previa sospensione, del regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, approvato con d.P.R. 10 giugno 2004, n. 173 (Regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali), nonché di ogni altro atto precedente, contemporaneo o successivo comunque connesso, tra cui il decreto di nomina del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche;

che l’Associazione e il suo Consiglio regionale per le Marche hanno affermato la propria legittimazione ad agire sul presupposto che Italia Nostra, in quanto associazione di protezione ambientale individuata con decreto del Ministro dell’ambiente 20 febbraio 1987 (Individuazione delle associazioni di protezione ambientale ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 febbraio 1987, n. 48, è «titolata a difendere l’ambiente ed i beni culturali anche laddove – come nella fattispecie – la loro offesa avven[ga] attraverso strumenti di organizzazione della pubblica amministrazione preposta proprio a detti scopi, ritenuti inappropriati»;

che, nel decidere sull’istanza di sospensione cautelare relativa ai provvedimenti impugnati, il Tar delle Marche ha sollevato questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3 (Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e, in particolare, degli artt. 1, 4 e 5 dello stesso decreto, in relazione agli artt. 1 e 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici), per violazione degli artt. 70, 76 e 77, primo comma, nonché degli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione;

che, a giudizio del Tribunale amministrativo, ai fini di qualsiasi decisione sul ricorso è indispensabile affrontare il profilo, «logicamente preliminare ad ogni altro», concernente la legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 70, 76 e 77, primo comma, Cost., della fonte legislativa che ha abilitato il Governo all’emanazione dell’impugnato regolamento di organizzazione, sul quale si fonda l’atto di nomina del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche. Infatti, dall’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 4 e 5 del d.lgs. n. 3 del 2004, che hanno sostituito, rispettivamente, l’art. 54 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), l’art. 6 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), e l’art. 7 dello stesso d.lgs. n. 368 del 1998, «deriverebbero, con effetto assorbente pregiudiziale rispetto ad ogni altro motivo di censura prospettato dall’associazione ricorrente, l’illegittimità e l’annullamento in toto degli atti impugnati»;

che, a giudizio del Tribunale, ulteriore profilo «atto a determinare l’assoluta pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale della normativa introdotta dal d.lgs. n. 3 del 2004 nel suo complesso» è costituito dalla circostanza che il d.P.R. n. 173 del 2004 avrebbe definito l’organizzazione centrale e periferica del Ministero sulla base di norme del d.lgs. n. 3 del 2004 emanate in contrasto con i principi e i criteri direttivi stabiliti dagli artt. 1 e 10 della legge di delegazione n. 137 del 2002; principi e criteri che erano intesi, per un verso, a «correggere o modificare» l’ordinamento degli apparati ministeriali (art. 1 della legge n. 137 del 2002, che rinviava ai principi e criteri già indicati, in particolare, dall’art. 12 della legge n. 59 del 1997) e, per altro verso, a riordinare la disciplina della materia «beni culturali e ambientali» (art. 10 della legge n. 137 del 2002), laddove le «elementari linee organizzative tracciate dal decreto delegato» non rifletterebbero in alcun modo i principi e i criteri direttivi stabiliti dall’art. 1 della legge di delegazione. Donde la conseguenza che «il sostanziale spazio vuoto venutosi a determinare» è stato colmato dall’impugnato d.P.R. n. 173 del 2004, avendo il legislatore delegato rinviato a regolamenti, da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 4-bis della legge n. 400 del 1988 (introdotto dall’art. 13 della legge 15 marzo 1997, n. 59, recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”), l’individuazione e l’ordinamento degli uffici del Ministero (artt. 1 e 4), nonché le attribuzioni delle direzioni regionali e delle altre strutture dirigenziali periferiche (art. 5). E siccome l’Associazione censura il regolamento (d.P.R. n. 173 del 2004) «perché invasivo dei poteri spettanti al (solo) legislatore delegato e da questo indebitamente abdicati in favore di una sede normativa di carattere e forma amministrativa, che trova il proprio presupposto proprio in quel decreto legislativo che avrebbe invece dovuto realizzare, con atto avente forza di legge, i contenuti della delega», è evidente – conclude il Tribunale amministrativo – la necessità di sottoporre a scrutinio di costituzionalità «[il] contenuto effettivo della legge delegata e [i] vuoti normativi in essa riscontrabili in relazione alla disciplina impartita con la legge di delega»;

che, sul piano della non manifesta infondatezza, il Tar rileva come la sequenza costituita dal d.lgs. n. 3 del 2004 e dal d.P.R. n. 173 del 2004 abbia dato luogo ad una delegificazione operata in assenza di qualunque disposizione, nella legge delega n. 137 del 2002, che abilitasse il Governo a disciplinare la riorganizzazione dei ministeri con norme regolamentari, sganciate dai principi e criteri direttivi imposti dalla stessa legge delega e, perciò, invasive della materia da disciplinare con l’esercizio della delega; e siccome il regolamento impugnato, intervenuto in vece del decreto legislativo, è stato emanato oltre il termine di diciotto mesi stabilito per l’esercizio della delega, questo sarebbe avvenuto al di là del limite temporale stabilito dalla legge di delegazione. Donde la violazione degli artt. 70, 76 e 77, primo comma, Cost.;

che, del resto, la legge delega n. 137 del 2002 era del tutto estranea, secondo il rimettente, a «quel sistema di delegificazione che traeva origine dalla filiera derivata dalla legge n. 59 del 1997» e, in particolare, «al suo art. 13, che operava la rottura del modello di delegificazione previgente». Di talché, per un verso, «lo speciale potere normativo del Governo di provvedere a definire l’organizzazione e la disciplina dei ministeri adottando i regolamenti indicati dall’art. 17, comma 4-bis, della legge n. 400/1988 [doveva] intendersi consumato ed esaurito con l’adozione dei decreti legislativi emanati in attuazione della primitiva delega conferita dall’art. 12» della legge n. 59 del 1997; per altro verso, «solo una nuova legge delega avrebbe potuto (ciò che non sussiste nel caso che ne occupa) consentire al conseguente d.lgs. di stabilire che l’organizzazione del Ministero fosse determinata ai sensi dell’art. 54 del d.lgs. n. 300 e successive modificazioni» e, cioè, dell’art. 17, comma 4-bis della legge n. 400 del 1988. Tanto ciò è vero, che la legge n. 137 del 2002, nell’indicare all’art. 1 i principi e i criteri direttivi cui il Governo si sarebbe dovuto attenere per correggere o modificare i decreti delegati di razionalizzazione e riordino dei ministeri (art. 1), «aveva rinviato unicamente a quelli già stabiliti dall’art. 12 (nonché dagli artt. 14, 17 e 18) della precedente legge n. 59 del 1997; mentre, significativamente, aveva omesso di richiamare l’art. 13 della legge n. 59 del 1997, il quale, avendo aggiunto all’art. 17 della legge n. 400 del 1988 il comma 4-bis, aveva rilevantemente delegificato la materia dell’organizzazione e della disciplina degli uffici dei Ministeri, conferendo al Governo lo speciale potere di autorganizzazione da esercitarsi attraverso i regolamenti nello stesso quarto comma indicati e disciplinati»;

che, dunque, la riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali sarebbe «estemporanea, scoordinata da ragioni di fondo determinative di puntuali esigenze e quindi dissonante rispetto ad una ricerca di ulteriori approdi di efficientismo amministrativo rispetto a quelli conseguiti dalla precedente riforma, ritenuta ampiamente appagante a fronte della esigenza di tutela del settore di competenza». Il tutto «in aperta divergenza con quei principi e criteri direttivi della legge n. 59/1997, che avevano guidato l’esercizio dell’originaria delega» e che avrebbero richiesto ancor più precisa attuazione con riguardo ai profili di decentramento e di sussidiarietà, ulteriormente «accentuati dalla riforma costituzionale del titolo V della Costituzione». Donde ulteriori profili di violazione della Costituzione, con riguardo ai principi desumibili dagli articoli 5, 97, 117 e 118;

che è intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha eccepito l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione;

che, sotto il primo profilo, la pretesa illegittimità dell’atto di nomina del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche (nomina effettuata in base all’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 368 del 1998, come sostituito dall’art. 5 del d.lgs. n. 3 del 2004) costituirebbe, secondo l’Avvocatura, più che l’oggetto principale del giudizio davanti al Tar delle Marche, una «mera occasione» per impugnare il d.lgs. n. 3 del 2004, successivamente attuato dal regolamento approvato con d.P.R. n. 173 del 2004; il giudizio davanti al Tar risulta, infatti, utilizzato per proporre in via diretta la questione di legittimità costituzionale di un complesso normativo primario, senza che questo sia venuto in rilievo nel giudizio incardinato per l’impugnazione del provvedimento amministrativo assunto come lesivo dell’interesse ambientale tutelato dall’associazione ricorrente. Inoltre, il giudice remittente avrebbe omesso di «porsi il problema della propria competenza», questione rilevante essendo stato impugnato un atto generale, così come quello dell’interesse ad agire dell’associazione Italia Nostra, «che è collegato al suo mandato statutario e alla utilità dell’annullamento del provvedimento amministrativo che assuntivamente ha leso l’interesse costituzionalmente garantito dall’art. 9» Cost.;

che, sotto il secondo profilo, l’Avvocatura contesta, anzitutto, la fondatezza della questione con riferimento alla violazione dei principi fondamentali di buon andamento, economicità ed efficienza dell’attività amministrativa (art. 97 Cost.), dal momento che tale censura non tiene conto che la razionalità dell’organizzazione amministrativa dev’essere «parametrata» sulla disciplina dell’attività amministrativa di settore, quale risulta dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (entrato in vigore il 1° maggio 2004). Questo «ha disciplinato l’esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione dei beni culturali, da un lato individuando talune competenze in capo alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali, dall’altro coordinando il complesso delle funzioni amministrative di tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali che richiedono ai sensi dell’art. 118 Cost. un esercizio unitario per le quali la legge statale deve disciplinare forme di intesa e coordinamento con la Regione». Peraltro, la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, cui è preordinata la disciplina del Codice, «non attribuisce affatto in via esclusiva l’esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione in capo ai soprintendenti territoriali di settore», mentre «il preteso accentramento delle funzioni di tutela in capo ai direttori regionali piuttosto che ai soprintendenti territoriali non determina “un’inversione di rotta” rispetto alla normativa previgente»: entrambe le categorie di organi, infatti, «sono componenti dell’organizzazione amministrativa dei beni culturali e del paesaggio», talché, all’interno di questa, la «attribuzione delle concrete competenze appartiene alla discrezionalità del legislatore», fermo restando che, nei casi in cui «sia necessaria una specifica professionalità tecnica, la razionalità del sistema organizzativo è garantita dalla predisposizione di procedimenti amministrativi» nei quali la menzionata professionalità tecnica è «presupposto indeclinabile dell’adozione del provvedimento finale»;

che, sempre a giudizio dell’Avvocatura, il procedimento normativo di riordino del Ministero è stato reso possibile dalla riserva relativa di legge sussistente in materia di organizzazione dei pubblici uffici (art. 97, primo comma, Cost.), che consente alla legge (ordinaria o delegata) di stabilire i caratteri generali delle strutture amministrative, rinviando ad atti regolamentari la concreta definizione di quei caratteri. Vero è che la riserva di legge relativa fissata nell’art. 97 Cost. non pone una espressa «riserva di regolamento» per la materia organizzativa, «potendo (ma non dovendo) la legge dettagliare anche nei minimi termini l’organizzazione amministrativa»; tuttavia, tale scelta sarebbe oltremodo «inopportuna per gli elementi di rigidità che introduce nell’organizzazione amministrativa», talché la legge – oltre a conferire al Governo il potere di regolamentare la materia organizzativa – ben può limitarsi a «dettare la disciplina fondamentale delle materie», consentendo che «larghi spazi» siano lasciati al potere esecutivo (sentenza n. 21 del 1980), purché il relativo potere sia «concretamente e sufficientemente» delimitato (sentenza n. 88 del 1989);

che, in questa logica, il d.lgs. n. 3 del 2004 non ha fatto altro che «tracciare le linee generali e fondamentali di organizzazione del nuovo Ministero, rinviando per la loro concreta definizione a successivi regolamenti che si pongono a loro volta – e indirettamente – in linea con i criteri direttivi di cui sopra»;

che si sono costituiti l’Associazione Italia Nostra Onlus e il Consiglio regionale Marche della stessa Associazione, ribadendo i profili di illegittimità costituzionale prospettati nell’ordinanza del Tar Marche e la rilevanza della relativa pronuncia nel giudizio a quo;

che si è, inoltre, costituito l’arch. Roberto Cecchi, nella sua qualità di capo dipartimento del Ministero per i beni e le attività culturali e parte del giudizio a quo, chiedendo che venga dichiarata l’infondatezza della questione;

  che, in prossimità dell’udienza, hanno presentato memoria l’Associazione Italia Nostra Onlus e il Consiglio regionale per le Marche della stessa Associazione, ribadendo le ragioni a sostegno dell’ammissibilità e della fondatezza della questione e, in particolare, che il decreto delegato avrebbe lasciato del tutto indeterminate le funzioni dei direttori regionali per i beni culturali e paesaggistici e quelle dei dirigenti regionali (soprintendenti di settore), tant’è che, quanto ai primi, esso si limita a disporre che «i compiti e le funzioni» del direttore regionale saranno stabiliti con successivo regolamento, peraltro senza dettare i criteri direttivi cui questo dovrà attenersi, mentre, quanto ai secondi, «in alcuna parte del decreto viene specificato quale collocazione assumano [i loro] uffici nell’ambito dell’organizzazione del Ministero»; con la conseguenza che il decreto lascerebbe «in un vuoto normativo» la figura del direttore regionale e quella del soprintendente, dei quali non vengono delineati, neanche in termini di principio, i tratti funzionali e organizzativi;

  che, sempre secondo l’Associazione e il suo Consiglio regionale per le Marche, il d.lgs. n. 3 del 2004, nel sovrapporre ai soprintendenti la figura del direttore regionale, senza nel contempo dettare adeguate norme (o principi) sui compiti di tali uffici, ovvero senza stabilire adeguati requisiti professionali che i direttori regionali devono possedere, «min[erebbe] alla base l’autonomia tecnico-scientifica dei soprintendenti e, più in generale, la natura tecnica della funzione di tutela; ciò in violazione, oltre che dei criteri e principi contenuti nella legge di delega, anche degli artt. 9, 117, secondo comma, lettera s), e 97 Cost.». La materia «tutela dei beni culturali» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è, infatti, caratterizzata dalla natura essenzialmente tecnica delle funzioni in cui essa si esprime; onde da tale natura «non si può certamente prescindere in sede di organizzazione degli apparati preposti alla funzione stessa».

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale delle Marche ha sollevato questione di legittimità costituzionale del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 (Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e, in particolare, degli artt. 1, 4 e 5 dello stesso decreto, in relazione agli artt. 1 e 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici), per violazione degli artt. 70, 76 e 77, primo comma, nonché degli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione;

che la questione è stata sollevata nel corso della fase cautelare del giudizio relativo al ricorso proposto dall’Associazione Italia Nostra Onlus e dal Consiglio regionale per le Marche della stessa Associazione per l’annullamento, previa sospensione, del regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2004, n. 173 (Regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali), nonché di ogni altro atto precedente, contemporaneo o successivo comunque connesso, tra cui il decreto di nomina del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche;

che i ricorrenti nel giudizio a quo hanno affermato la propria legittimazione ad agire sul presupposto che Italia Nostra, in quanto «associazione di protezione ambientale», riconosciuta con decreto del Ministro dell’ambiente 20 febbraio 1987 (Individuazione delle associazioni di protezione ambientale ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349), è «titolata a difendere l’ambiente ed i beni culturali anche laddove – come nella fattispecie – la loro offesa avven[ga] attraverso strumenti di organizzazione della pubblica amministrazione preposta proprio a detti scopi, ritenuti inappropriati»;

che, a sostegno della propria legittimazione, i ricorrenti nel giudizio a quo richiamano l’art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale), che consente alle associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e a quelle presenti in almeno cinque regioni, individuate con decreto del Ministro dell’ambiente, di «ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi» in materia ambientale;

che l’ordinanza di rimessione del Tar delle Marche non svolge la benché minima argomentazione per spiegare in qual modo e con quali effetti i provvedimenti impugnati (il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e gli atti ad esso conseguenti o connessi, fra i quali il provvedimento di nomina del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche), relativi all’amministrazione statale dei beni e delle attività culturali, coinvolgano la materia dell’ambiente, cui l’art. 18 della legge n. 349 del 1986 riferisce la specifica legittimazione delle associazioni di protezione ambientale a ricorrere in sede giurisdizionale contro atti amministrativi illegittimi;

che l’assenza, nell’ordinanza di rimessione, di ogni argomentazione al riguardo impedisce a questa Corte di valutare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale rispetto alla decisione del giudizio principale;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Per questi motivi

la Corte costituzionale

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo 8 gennaio 2004, n. 3 (Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, ai sensi dell’articolo 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137) e, in particolare, degli artt. 1, 4 e 5 dello stesso decreto, in relazione agli artt. 1 e 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (Delega per la riforma dell’organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici), per violazione degli artt. 70, 76 e 77, primo comma, nonché degli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2006.