Sentenza n. 207 del 2006

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SENTENZA N. 207

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                 MARINI                                                        Presidente

- Franco                     BILE                                                                Giudice

- Giovanni Maria       FLICK                                                                   ”

- Francesco                AMIRANTE                                                         ”

- Ugo                         DE SIERVO                                                         ”

- Romano                  VACCARELLA                                                   ”

- Paolo                       MADDALENA                                                    ”

- Alfio                       FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso                   QUARANTA                                                        ”

- Franco                     GALLO                                                                 ”

- Luigi                       MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Maria Rita               SAULLE                                                               ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, ultimo inciso, dell’art. 2, commi 2, ultimo inciso, 3 e 4, e degli artt. 3 e 4 del disegno di legge n. 805 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità), approvato dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 12 aprile 2005 e successivamente promulgato e pubblicato come legge della Regione Siciliana 31 maggio 2005, n. 6, promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana notificato il 20 aprile 2005, depositato in cancelleria il 29 aprile 2005 ed iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2005.

         Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

         udito nell’udienza pubblica del 2 maggio 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

         uditi l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana e gli avvocati Giovanni Carapezza Figlia e Francesco Castaldi per la Regione Siciliana.

Ritenuto in fatto

1. − Con ricorso notificato al Presidente della Regione Siciliana in data 20 aprile 2005 e depositato il 29 aprile 2005, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha impugnato l’art. 1, ultimo inciso, l’art. 2, commi 2, ultimo inciso, 3 e 4, e gli artt. 3 e 4 del disegno di legge n. 805 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità), approvato dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 12 aprile 2005 e successivamente promulgato e pubblicato come legge della Regione Siciliana 31 maggio 2005, n. 6, per violazione degli artt. 81, quarto comma, 97, 110 e 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, nonché della competenza esclusiva statale in materia di diritto privato.

Il ricorrente premette che il disegno di legge regionale, fondato sul presupposto che l’attività a presidio e tutela della legalità costituisca interesse primario dell’Amministrazione regionale «in quanto connessa allo sviluppo sociale, civile ed economico della Sicilia», delinea un meccanismo di assegnazioni agli uffici giudiziari di risorse umane e strumentali da parte della Regione Siciliana, attraverso gli istituti del comando e del comodato.

A parere del Commissario dello Stato la normativa sarebbe illegittima là dove, all’art. 2, comma 3, prevede che la richiesta dell’amministrazione di destinazione debba provenire dai capi degli uffici periferici degli organi giudiziari e non, invece, dagli uffici dipendenti dal Ministro della giustizia, al quale l’art. 110 Cost. espressamente demanda l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Inoltre, anche al di fuori della competenza specifica del Ministro della giustizia, l’intervento regionale, riguardando l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato, costituirebbe comunque una inammissibile interferenza in un ambito riservato alla competenza esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.

Analoghe considerazioni varrebbero, secondo il ricorrente, per la previsione contenuta nell’art. 3 del disegno di legge regionale, là dove è attribuita al presidente della corte d’appello o al procuratore generale, anziché agli uffici del Ministro della giustizia, la facoltà di segnalare le attrezzature e i servizi reputati «necessari per garantire il funzionale espletamento delle attività d’istituto», di cui risultino provvisoriamente carenti o non adeguatamente forniti gli uffici giudiziari che operano nella Regione Siciliana.

Nella prospettazione del Commissario dello Stato l’assegnazione di risorse umane e strumentali, realizzandosi in assenza di concerto e indipendentemente dall’assenso dei competenti organi centrali dello Stato, potrebbe diventare «strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza» della Regione nell’esercizio delle funzioni statali, interferendo con le politiche e gli indirizzi governativi in ambiti materiali di competenza esclusiva dello Stato (è richiamata la sentenza n. 51 del 2005 di questa Corte).

È impugnato, inoltre, l’art. 2, comma 4, del disegno di legge regionale, riguardante il trattamento economico accessorio del personale «comandato», in quanto afferente alla materia del rapporto di lavoro dipendente, disciplinato dalle norme del codice civile e dall’autonomia contrattuale e, come tale, interamente sottratto all’intervento regionale.

A parere del ricorrente il meccanismo delineato dal legislatore regionale risulterebbe ulteriormente censurabile sotto il duplice profilo della violazione degli artt. 97 e 81, quarto comma, Cost.

A tale proposito il Commissario dello Stato assume che la mancata indicazione dei parametri ai quali il decreto del Presidente della Regione dovrà fare riferimento nell’individuazione del personale da porre in posizione di comando, potrebbe creare, all’interno dell’amministrazione regionale, disfunzioni causate dal «transito di dipendenti non individuati preventivamente per uffici di provenienza, per qualifiche professionali e per attitudini personali». Inoltre, alla riduzione del personale in servizio effettivo presso gli uffici della Regione conseguirebbe, «con ogni verosimiglianza», la necessità di colmare i vuoti di organico attraverso nuove assunzioni, ovvero richiedendo maggiori prestazioni ai dipendenti rimasti in servizio effettivo, in entrambi i casi determinandosi a carico della Regione nuovi o maggiori oneri, non previsti né quantificati nell’art. 4 del disegno di legge regionale.

2. − È intervenuta in giudizio la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro-tempore, per chiedere che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.

In via preliminare, la Regione assume che le censure contenute nel ricorso risulterebbero proposte in maniera apodittica o, a tutto concedere, fondate su motivazioni prive di sufficienti argomentazioni logiche, con la conseguenza che dovrebbero essere dichiarate inammissibili in applicazione della giurisprudenza della Corte (ex plurimis, sentenza n. 176 del 2004).

Nel merito, la Regione osserva che le disposizioni impugnate non risulterebbero invasive delle competenze statali, se correttamente inquadrate nell’ambito normativo vigente, atteso che esse presuppongono − senza modificarle − le disposizioni che regolano le procedure interne agli uffici statali. Lo scopo dell’intervento legislativo regionale, esplicitato nella relazione illustrativa del disegno di legge, è l’attuazione di una piena «collaborazione tra le istituzioni statali e regionali» al fine di realizzare il «rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità», al di fuori di qualsiasi intento ed effetto invasivo o di sovrapposizione di competenze e discipline.

La resistente, dopo aver sottolineato come le disposizioni censurate si limitino ad offrire uno «strumento volto a realizzare l’interesse pubblico», identificabile nella finalità di agevolare le amministrazioni statali sul piano della celerità e della effettività dell’azione da esse svolte, richiama la sentenza n. 140 del 1992 (oltre che la sentenza n. 172 del 2005, pur riguardante materia diversa).

Le disposizioni censurate non realizzerebbero, ad avviso della Regione, alcuna invasione delle competenze degli organi statali, in quanto, come desumibile sia dall’art. 1, sia dall’art. 3, comma 1, del disegno di legge regionale, ogni valutazione circa la sussistenza e la concreta individuazione delle esigenze di risorse umane e strumentali sarebbe rimessa agli organi statali, e, allo stesso modo, non risulterebbe intaccata la riserva di competenza del Ministro della giustizia prevista dall’art. 110 Cost., dal momento che le disposizioni regionali potrebbero trovare applicazione soltanto ed entro i limiti di quanto convenuto dalle amministrazioni destinatarie dell’intervento collaborativo (sentenza n. 429 del 2004 di questa Corte).

Peraltro, la resistente osserva come il parametro di costituzionalità dell’art. 110 Cost. risulterebbe erroneamente invocato in riferimento agli uffici della giurisdizione ordinaria, in quanto, come affermato dalla Corte (sentenza n. 150 del 1986), esso è da ritenersi dettato per segnare il confine tra le competenze del Consiglio superiore della magistratura e quelle del Ministro della giustizia. Il parametro evocato sarebbe, inoltre, del tutto inconferente in relazione agli interventi disposti a favore degli uffici periferici delle giurisdizioni speciali e delle Avvocature distrettuali dello Stato, essendo detti uffici palesemente estranei al riparto di competenze tra Ministro della giustizia e Consiglio superiore della magistratura.

Assume la resistente, inoltre, che la censura riguardante la violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., sarebbe del tutto ipotetica in quanto fondata sul rilievo che dall’applicazione della normativa impugnata potrebbe, «con ogni verosimiglianza», derivare per la Regione la necessità di colmare i vuoti di personale, senza, peraltro, che il ricorrente abbia tenuto conto del carattere straordinario, e perciò temporaneo, dell’intervento regionale. Quanto, infine, all’asserita «interferenza in materia di diritto privato» derivante dalla disposizione contenuta nell’art. 2, comma 4, la resistente osserva che la disposizione non inciderebbe sull’avvenuta contrattualizzazione della disciplina del trattamento retributivo dei dipendenti regionali comandati, limitandosi ad escludere che eventuali oneri aggiuntivi possano ricadere sulle amministrazioni statali beneficiarie dell’intervento straordinario, e ciò in quanto la mancanza di siffatta previsione comporterebbe l’assunzione dei relativi oneri a carico dell’amministrazione di destinazione o utilizzazione nel caso in cui, in sede contrattuale, fossero riconosciuti indennità o altri emolumenti ai dipendenti «comandati» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 26 novembre 1997, n. 2597).

Considerato in diritto

1. – Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha impugnato l’art. 1, ultimo inciso, l’art. 2, commi 2, ultimo inciso, 3 e 4, e gli artt. 3 e 4 del disegno di legge n. 805 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità), approvato dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 12 aprile 2005 e successivamente promulgato e pubblicato come legge della Regione Siciliana 31 maggio 2005, n. 6, per violazione degli artt. 81, quarto comma, 97, 110 e 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, nonché della competenza esclusiva statale in materia di diritto privato.

2. – Preliminarmente deve rilevarsi che, essendo nel corso del giudizio intervenute la promulgazione e la pubblicazione della legge regionale, che completano l’iter procedimentale connesso alla delibera legislativa impugnata, la pronuncia di questa Corte va adottata nei confronti di tale legge (sentenze n. 55 del 2001 e n. 271 del 1996).

3. – Il primo profilo di censura delle norme impugnate è basato sulla presunta violazione dell’art. 110 Cost. perché in esse si prevede che la richiesta di comando deve essere fatta dai capi degli uffici periferici degli organi giudiziari e non, invece, dai competenti uffici del Ministero della giustizia.

3.1. – La questione non è fondata.

La legge regionale in questione non attribuisce ai capi degli uffici giudiziari aventi sede in Sicilia competenze nuove, aggiuntive o modificative, rispetto a quelle previste dalla vigente legislazione statale. L’art. 102 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196 (Ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie) dispone: «I capi delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie hanno la direzione dei rispettivi uffici, provvedono ad assicurare il normale funzionamento dei servizi e ne rispondono al capo dell’ufficio giudiziario, dal quale sono sentiti in ordine a qualsiasi provvedimento che abbia attinenza con i servizi di cancelleria e segreteria». Il successivo art. 103 aggiunge: «I capi delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie curano, sotto la sorveglianza dei rispettivi capi degli uffici giudiziari, l’organizzazione degli uffici di cancelleria e segreteria dipendenti, ai fini del regolare funzionamento dei servizi».

Sulla base delle citate disposizioni legislative si è formato un “diritto vivente”, che riconosce ai capi degli uffici giudiziari «poteri di informazione, ispezione e indirizzo» (Cass., S.U. civili, 7 agosto 1996, n. 7222), e determina un obbligo di collaborazione per i dirigenti delle cancellerie, sanzionato in via disciplinare (Cons. Stato, sez. IV, 21 settembre 1992, n. 786).

Le citate norme di legge statali, il “diritto vivente” giurisprudenziale e la prassi applicativa sinora invalsa ricevono conferma e precisazione ulteriori dall’art. 2, comma 1, lettera s), numero 1, della legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico), in cui si prevede che «siano attribuite al magistrato capo dell’ufficio giudiziario la titolarità e la rappresentanza dell’ufficio nel suo complesso, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura e del suo stato giuridico». L’art. 2, comma 1, lettera s), numero 3, prevede inoltre che «sia assegnata al dirigente dell’ufficio di cancelleria o di segreteria la gestione delle risorse di personale amministrativo in coerenza con gli indirizzi del magistrato capo dell’ufficio e con il programma annuale delle attività […]».

La legge regionale impugnata si limita, pertanto, a far riferimento a competenze amministrative e di indirizzo, in materia di organizzazione dei servizi giudiziari, fissate da tempo dalla legislazione statale e recentemente ribadite e specificate dalla legge di delega sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Per quanto riguarda i rapporti tra uffici giudiziari e Ministero della giustizia, nulla poteva dire la legge regionale in proposito. Restano pertanto impregiudicate tutte le procedure di raccordo tra uffici giudiziari aventi sede in Sicilia e Ministero della giustizia, il quale allo stato non dispone, per quanto riguarda i servizi giudiziari, di organi periferici.

Questa Corte ha peraltro chiarito che «l’art. 110 Cost. non implica una riserva di competenza organizzativa del Ministro di grazia e giustizia in ordine a qualunque servizio comunque in relazione con la giustizia, ma soltanto la delimitazione del campo d’intervento del Ministro rispetto a quello riservato, effettivamente, al Consiglio superiore della magistratura» (sentenza n. 287 del 1987). In altre parole, non può desumersi dalla norma costituzionale citata una competenza esclusiva ed accentrata negli uffici ministeriali di tutte le funzioni amministrative relative ai servizi giudiziari, che restano distribuite tra centro e periferia secondo le norme e le prassi statali in vigore.

3.2. – Infine, il richiamo del ricorrente all’art. 110 Cost. è inconferente per quanto riguarda gli organi delle giurisdizioni speciali e le Avvocature distrettuali dello Stato, nei cui confronti non esistono competenze del Ministro della giustizia.

4. – Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., perché verrebbe creato, con l’assegnazione di risorse umane e strumentali senza l’assenso degli organi statali centrali, «uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza» della Regione nell’esercizio di funzioni statali. Viene citata in proposito la sentenza n. 51 del 2005 di questa Corte.

4.1. – Dal complesso dei rilievi sviluppati nel ricorso, risulta che oggetto della doglianza è il presunto contrasto della legge impugnata con le norme di rango costituzionale che regolano le competenze ripartite tra Stato e Regione Siciliana (artt. 14 e e 17 dello statuto di tale ultima Regione).

Così identificata, la questione è infondata.

Si deve rilevare, infatti, che le norme regionali impugnate non introducono alterazioni di alcun tipo nell’organizzazione e nelle procedure interne dell’amministrazione giudiziaria, né incidono, come già chiarito sopra, nei rapporti tra Ministero della giustizia e uffici giudiziari siti sul territorio. Il carattere puramente facoltativo della richiesta di comando di personale o di comodato di beni strumentali, da parte dei capi degli uffici statali, vale inoltre a fugare il dubbio che con legge regionale siano stati introdotti vincoli a carico di organi dello Stato.

Nessuna attinenza al presente giudizio può riconoscersi alla sentenza n. 51 del 2005 di questa Corte, citata dal ricorrente, che si riferisce ai finanziamenti statali alle Regioni con destinazione vincolata, fattispecie palesemente diversa da quella emergente dalle norme regionali impugnate. 

5. – Il ricorrente censura specificamente l’ultimo inciso del comma 4 dell’art. 2 della legge regionale impugnata, poiché, nel prevedere l’esclusione del diritto ad ogni altro emolumento da parte delle amministrazioni statali destinatarie del personale comandato, esulerebbe dalla competenza della Regione, in quanto inciderebbe su rapporti di lavoro disciplinati dal codice civile.

5.1 – La questione non è fondata.

Pur non avendo il ricorrente indicato uno specifico parametro statutario di riferimento, dal tenore del ricorso risulta come la doglianza sia riferita all’esclusione della materia del diritto privato dal novero delle competenze previste dagli artt. 14 e 17 dello statuto della Regione Siciliana.

Si deve rilevare in proposito che la norma regionale censurata non intende precludere ogni possibile emolumento aggiuntivo futuro, in favore del personale comandato, derivante dall’evolversi della dinamica contrattuale, ma mira semplicemente ad escludere che dalla legge regionale possa derivare un qualsiasi obbligo per le amministrazioni statali, con conseguente inammissibile carico finanziario per le stesse. L’assetto del rapporto di lavoro del suddetto personale non viene inciso dalla norma impugnata, che si limita a precisare che dall’assegnazione di risorse umane alle amministrazioni statali non può derivare alcun diritto dei dipendenti comandati ad emolumenti aggiuntivi a carico delle amministrazioni destinatarie. Ciò risulta evidente sol che si consideri che le prestazioni lavorative del personale in questione sono sostitutive di quelle dovute nei confronti dell’amministrazione regionale di provenienza.

6. – Il Commissario dello Stato prospetta infine la violazione degli artt. 97 e 81, quarto comma, Cost., perché dalla mancata fissazione di parametri per l’individuazione del personale da porre in posizione di comando potrebbe derivare «una serie di discrasie e disfunzioni nell’amministrazione regionale causate dal transito dei dipendenti non individuati preventivamente per uffici di provenienza, per qualifiche professionali e per attitudini personali». D’altra parte – aggiunge il ricorrente – dal venir meno di unità di personale potrebbe derivare la necessità, per l’amministrazione regionale, di nuove assunzioni o di maggiori prestazioni di lavoro del personale esistente, con conseguenti oneri finanziari non previsti e non quantificati dalla legge regionale impugnata.

6.1. – Entrambe le questioni sono inammissibili.

Il ricorrente si limita a prospettare delle mere eventualità, sulla base di considerazioni generiche e probabilistiche. Ciò vale a conferire alle questioni de quibus un carattere ipotetico e le rende inammissibili, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, ordinanze n. 374 del 2004, n. 345 del 2002 e n. 339 del 1999).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, ultimo inciso, dell’art. 2, commi 2, ultimo inciso, 3 e 4, e degli artt. 3 e 4 della legge della Regione Siciliana 31 maggio 2005 n. 6 (Disposizioni per il rafforzamento dell’azione amministrativa a tutela della legalità), in riferimento agli artt. 81, quarto comma, e 97 della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme citate in riferimento agli artt. 14 e 17 dello statuto della Regione Siciliana;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle medesime norme in riferimento all’art. 110 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2006.