Ordinanza n. 148 del 2006

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ORDINANZA N. 148

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Annibale                                                     MARINI                    Presidente

-  Franco                                                        BILE                            Giudice

-  Giovanni Maria                                          FLICK                               “

-  Francesco                                                   AMIRANTE                      “

-  Ugo                                                            DE SIERVO                      “

-  Romano                                                      VACCARELLA                “

-  Paolo                                                          MADDALENA                 “

-  Alfio                                                           FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                                                      QUARANTA                    “

-  Franco                                                        GALLO                             “

-  Luigi                                                           MAZZELLA                     “

-  Gaetano                                                      SILVESTRI                       “

-  Sabino                                                        CASSESE                          “

-  Maria Rita                                                  SAULLE                            “

-  Giuseppe                                                    TESAURO                         “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, e dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF, di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive), e della tabella A annessa a tale legge, promossi con tre ordinanze del 9 maggio 2005 dalla Commissione tributaria provinciale di Pesaro, rispettivamente iscritte ai numeri 447, 448 e 449 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2005.

            Visti gli atti di costituzione della Regione Marche nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto che, nel corso di tre giudizi promossi da alcuni contribuenti nei confronti della Regione Marche e dell’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di quanto versato a titolo di addizionale regionale all’IRPEF per l’anno 2002, con riguardo al primo giudizio, e per l’anno 2003, con riguardo agli altri due giudizi, la Commissione tributaria provinciale di Pesaro, con ordinanze sostanzialmente identiche, datate 21 marzo 2005, depositate il 9 maggio 2005 e iscritte ai numeri 447, 448 e 449 del registro ordinanze del 2005, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 119 della Costituzione – tre questioni di legittimità costituzionale: una  concernente l’art. 4, comma 3-bis, della «legge statale 16 novembre 2001 n. 405»  (recte: del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, relativo a «Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria», convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405) e le altre due concernenti il combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF, di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive), e della tabella A annessa alla stessa legge regionale;

che la prima questione è sollevata dal rimettente con riguardo a tutti e tre i giudizi principali e poggia sul rilievo che il censurato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001 «sembra […] autorizzare» la maggiorazione dell’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF senza alcun limite massimo, laddove consente alle Regioni, limitatamente all’anno 2002 e in deroga ai termini e alle modalità previste dal vigente testo dell’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), di maggiorare con legge regionale l’aliquota dell’addizionale in misura superiore allo 0,5 % del reddito imponibile ai fini dell’IRPEF;

che, per il rimettente, questa interpretazione del comma 3-bis dell’art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001, fatta propria dalla Regione Marche, contrasterebbe con l’attuale formulazione dell’art. 119 Cost., perché la rinuncia dello Stato a fissare il limite massimo di un’imposta regionale «parassitaria», come l’addizionale regionale ad un tributo statale quale l’IRPEF, «fa venir meno qualunque possibilità di […] coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» ed espone al pericolo di un carico tributario eccessivo, con conseguente stimolo all’evasione del tributo erariale;

che la medesima interpretazione sarebbe in contrasto, secondo il giudice a quo, anche con l’art. 3 Cost., perché potrebbe condurre a legislazioni regionali assai diverse sulla misura dell’addizionale, con disparità di trattamento fiscale tra i cittadini italiani;  

 che la seconda questione – anch’essa riguardante tutti e tre i giudizi principali – concerne l’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche n. 35 del 2001, con l’annessa tabella A, e poggia sull’assunto per cui il citato art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, consentendo alle Regioni di determinare l’addizionale regionale all’IRPEF mediante la fissazione di un’«aliquota», escluderebbe la possibilità di fissare più aliquote differenziate per fasce di reddito, come ha invece stabilito la censurata norma regionale;

che, per la Commissione tributaria provinciale, la norma denunciata, prevedendo per l’addizionale regionale una progressività aggiuntiva rispetto a quella dell’IRPEF, provocherebbe un effetto «scardinante» del sistema, perché creerebbe una disparità di trattamento tributario a carico dei cittadini residenti nella Regione Marche, in violazione non solo della citata norma statale interposta (art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997) e, quindi, dell’art. 119 Cost., ma anche del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.;

che la terza questione  – sollevata dal rimettente con riguardo soltanto ai giudizi iscritti ai numeri 448 e 449 del registro del 2005 – concerne le stesse disposizioni regionali sopra denunciate e muove dal preliminare rilievo che, in forza del menzionato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, le Regioni possono derogare i termini e le modalità previste dall’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997 (e, quindi, anche maggiorare con legge regionale l’aliquota dell’addizionale oltre l’1,4% del reddito imponibile ai fini dell’IRPEF), «limitatamente all’anno 2002»;

che, per il giudice a quo, il denunciato art. 1, comma 7, della citata legge della Regione Marche n. 35 del 2001, nello stabilire che l’addizionale regionale all’IRPEF è determinata «a decorrere dall’anno 2002» (e non «limitatamente all’anno 2002»), secondo aliquote fissate in deroga a quanto previsto dall’indicato art. 50, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997 (quale modificato dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133»), avrebbe illegittimamente esteso agli anni 2003 e seguenti l’operatività di tale deroga, con ciò violando il citato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001 e, conseguentemente, l’art. 119 Cost.;

che in particolare, sempre ad avviso del giudice a quo, il sopravvenuto art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), non legittimerebbe le Regioni a mantenere per gli anni successivi al 2002 le suddette maggiorazioni dell’aliquota superiori all’1,4%, eccezionalmente consentite per il solo 2002; e ciò sia perché tale norma sopravvenuta  – allo scopo di contenere i livelli tributari di derivazione locale e regionale fino al completamento dell’iter propedeutico alla definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale – si limiterebbe a disporre la temporanea sospensione degli aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF non confermativi delle aliquote in vigore nel 2002 e deliberati dopo il 29 settembre 2002, sia perché, nella specie, la medesima norma non sarebbe comunque applicabile, avendo la Regione Marche disposto in materia solo con la legge regionale n. 35 del 2001, senza aver assunto, perciò, alcuna determinazione in materia di addizionale regionale all’IRPEF nel corso del 2002;

che il rimettente, infine, riconosciuta la regolare presentazione da parte dei contribuenti delle istanze di rimborso dell’imposta  e la valida instaurazione dei giudizi a quibus, afferma la rilevanza delle sollevate questioni, ritenendo il giudizio di legittimità costituzionale pregiudiziale ai predetti giudizi principali;

 che la Regione Marche, con memorie depositate il 3 ottobre 2005, si è costituita in ciascuno dei giudizi di legittimità costituzionale, chiedendo dichiararsi la manifesta infondatezza di tutte le questioni;

 che, quanto alla prima questione, la Regione deduce che è del tutto inconferente il richiamo del giudice a quo all’art. 119, secondo comma, Cost., il quale riguarda i tributi propri delle Regioni e degli enti locali e non anche i tributi erariali, come l’addizionale regionale all’IRPEF;

 che comunque, secondo la medesima parte pubblica, la norma denunciata non sarebbe in contrasto neppure con i non evocati artt. 23, 53 e 3 Cost., perché: a) il limite del potere legislativo delle Regioni di incrementare l’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF si desume dai commi 2 e 3 del citato art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001 e consiste nella copertura dei disavanzi di gestione relativi alla spesa sanitaria; b) anche ove si potesse ritenere che la suddetta addizionale rientri nella materia di legislazione concorrente di cui agli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., neppure in tal caso lo Stato, nel dettare i princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (diretti ad assicurare la razionalità e la coerenza dei singoli istituti tributari e del sistema tributario nel suo complesso), potrebbe fissare la misura massima dei prelievi dei tributi propri delle Regioni, che la Costituzione riserva, invece, all’autonomia delle Regioni; c) la norma denunciata è diretta ad assicurare l’aderenza del prelievo alla capacità contributiva e, quindi, ad attuare l’eguaglianza sostanziale, posto che l’entità del gettito, destinato a coprire il disavanzo di gestione delle spese sanitarie, corrisponde alle diverse scelte delle Regioni in materia di finanza pubblica e, dunque, alla diversa situazione dei residenti nelle varie Regioni;

 che, quanto alla seconda questione, la Regione deduce che la denunciata progressività delle aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF non víola né l’indicata norma interposta né, conseguentemente, gli evocati parametri costituzionali, perché: a) il termine «aliquota», al singolare, utilizzato dal legislatore nell’art. 50 del d.lgs. n. 446 del 1997, non esclude la facoltà per le Regioni di fissare una pluralità di aliquote per l’addizionale regionale all’IRPEF; b) la progressività (od una maggiore progressività) di un tributo, valorizzando la differenza di capacità contributiva del soggetto passivo d’imposta, comporta soltanto un trattamento diseguale di situazioni diseguali, maggiormente aderente al dettato costituzionale (artt. 3 e 53 Cost.); c) nella specie, le aliquote della denunciata tabella A della legge regionale riproducono, nella sostanza, quelle dell’IRPEF (con l’accorpamento del  3° e del 4° scaglione) e riflettono pertanto, senza incrementarla, la progressività del tributo di base; d) l’eccepita differenza di prelievo tra contribuenti residenti in Regioni diverse non discende dalla legge regionale impugnata, ma dalla stessa legge statale che rimette alle Regioni la determinazione dell’aliquota, secondo la capacità contributiva dei contribuenti e, dunque, in attuazione del principio di uguaglianza;

 che, quanto alla terza questione (concernente solo i giudizi iscritti ai numeri 448  e 449 del registro ordinanze del 2005), la Regione deduce che la norma denunciata non sarebbe in contrasto con la normativa statale in materia e non avrebbe, perciò, violato l’evocato parametro costituzionale, perché: a) il legislatore statale, dopo aver conferito alle Regioni – con il citato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001 – la facoltà di disporre con legge regionale, limitatamente al 2002, aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF superiori all’1,4%, allo scopo di consentire la copertura dell’eventuale disavanzo di gestione della spesa sanitaria, ha ritenuto, con l’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del 2002, di dover salvaguardare le misure di copertura del disavanzo già adottate dalle Regioni nel 2002 ed ha, perciò, autorizzato il mantenimento per gli anni successivi delle stesse aliquote relative all’addizionale regionale all’IRPEF fissate per l’anno 2002, anche se superiori all’1,4 %, escludendo, nel contempo, ulteriori aumenti di tale addizionale; b) tale ultima disposizione contiene, infatti, due distinte norme: una – esplicita – secondo cui sono temporaneamente sospesi (sino alla definizione di un quadro generale di coordinamento tra finanza statale e finanza regionale) gli aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF deliberati successivamente al 29 settembre 2002 ed ulteriori rispetto a quelli disposti per il 2002; l’altra – implicita – secondo cui è legittima ed efficace la conferma per l’anno 2003 delle stesse aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF vigenti nel 2002; c) la legge statale, nel prevedere che i provvedimenti di aumento dell’addizionale regionale siano pubblicati entro una certa data «dell’anno precedente a quello cui l’addizionale si riferisce», non impone affatto una cadenza annuale delle deliberazioni, ma fissa solo il termine massimo entro il quale il provvedimento può intervenire e, pertanto, non vieta alla legge regionale di disporre – come nella specie – un aumento dell’addizionale regionale «valevole per la pluralità degli anni a venire»;

 che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità della prima questione e per l’accoglimento della questione concernente le denunciate norme regionali nella parte in cui queste si pongono in contrasto con la «legge statale che fissa un tetto alla potestà attribuita alle Regioni di introdurre una propria addizionale»;

 che per la difesa erariale, in particolare, la prima questione sarebbe irrilevante e, dunque, inammissibile, perché la norma denunciata riguarderebbe soltanto l’anno 2002, mentre il giudice rimettente, nei tre i giudizi principali, sarebbe chiamato a decidere «unicamente l’applicazione dell’aliquota regionale per l’anno 2003»; 

che l’Avvocatura generale dello Stato ritiene, poi, fondate le questioni concernenti le disposizioni regionali denunciate, nella parte in cui determinano l’addizionale relativa al 2003 in una misura eccedente il «tetto» fissato dalla legge statale, essendo preclusa alle Regioni, se non nei limiti riconosciuti dalla legge statale, la potestà di legiferare sui tributi istituiti e regolati dalle leggi statali.

Considerato che  la Commissione tributaria provinciale di Pesaro, con distinte ordinanze iscritte ai numeri 447, 448 e 449 del registro ordinanze 2005, dubita della legittimità costituzionale: a) dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, nella parte in cui – limitatamente all’anno 2002 e in deroga ai termini e alle modalità previste dall’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) – autorizza le Regioni a maggiorare con propria legge l’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF in misura superiore allo 0,5 % del reddito imponibile ai fini di tale imposta e, quindi, senza alcun limite massimo; b) del combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF, di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive) e della tabella A annessa alla stessa legge, nella parte in cui determina la misura dell’addizionale regionale all’IRPEF non già in ragione di un’aliquota unica, ma di quattro aliquote progressive, crescenti per scaglioni di reddito; c) del combinato disposto dei citati art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche n. 35 del 2001 e dell’annessa tabella A, nella parte in cui prevede per l’anno 2003 («a decorrere dall’anno 2002») un’addizionale regionale all’IRPEF della medesima entità dell’anno 2002, ma superiore all’1,4 % del reddito imponibile ai fini di tale imposta e, pertanto, superiore al limite massimo fissato dall’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997;

che, in particolare, il rimettente solleva la prima di tali questioni con riguardo a tutti i giudizi principali ed afferma che il censurato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001 violerebbe gli artt. 119 e 3 della Costituzione: l’art. 119 Cost. (rectius: il secondo comma dell’art. 119 Cost.), perché la rinuncia dello Stato a fissare il limite massimo di un’imposta regionale «parassitaria», come l’addizionale regionale ad un tributo statale quale l’IRPEF, «fa venir meno qualunque possibilità di […] coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» ed espone al pericolo di un carico tributario eccessivo, con conseguente stimolo all’evasione del tributo erariale; l’art. 3 della Costituzione, perché la mancanza di detto limite massimo potrebbe portare a normative regionali assai diverse sulla misura dell’addizionale, con disparità di trattamento fiscale tra i cittadini italiani;

che lo stesso rimettente solleva anche la seconda delle suddette questioni con riguardo a tutti i giudizi principali ed afferma che il combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche n. 35 del 2001 e della tabella A annessa alla medesima legge, nella parte in cui prevede aliquote progressive per l’addizionale regionale, violerebbe gli artt. 119 e 3 Cost.: l’art. 119 Cost., perché tale pluralità di aliquote, oltre ad essere in contrasto con il riferimento ad un’unica aliquota contenuto nella norma statale interposta costituita dall’art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, provocherebbe un effetto «scardinante» del sistema, a causa di una doppia progressività (per l’IRPEF e per la sua addizionale) che non sarebbe consentita da alcuna norma; l’art. 3 Cost., perché creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tributario a carico dei cittadini residenti nella Regione Marche rispetto a quelli residenti in Regioni che non hanno stabilito siffatta progressività dell’aliquota dell’addizionale;

che la Commissione tributaria provinciale, infine, solleva la terza questione con riguardo solo ai giudizi principali di cui alle ordinanze iscritte ai numeri 448 e 449 del registro del 2005 ed afferma che il predetto combinato disposto della legge regionale n. 35 del 2001 e dell’annessa tabella A, nella parte in cui prevede per l’anno 2003 (e non «limitatamente all’anno 2002», come consentito in via eccezionale dal citato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001) un’addizionale regionale all’IRPEF della medesima entità dell’anno 2002, ma superiore all’1,4 % del reddito imponibile ai fini di tale imposta, violerebbe l’art. 119 Cost., sia perché tale previsione sarebbe in contrasto con l’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997 (quale modificato, con effetto dall’anno 2000, dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133»), che pone il divieto di superare tale limite; sia  perché, nella specie, il sopravvenuto art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003) – secondo cui «gli aumenti delle addizionali all’imposta sul reddito delle persone fisiche per i comuni e le regioni […], deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002, sono sospesi fino a quando non si raggiunga un accordo ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in sede di conferenza unificata tra Stato, regioni ed enti locali sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale» – non legittimerebbe le Regioni a mantenere anche per gli anni successivi al 2002 maggiorazioni dell’aliquota in deroga al citato art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997;

che le ordinanze di rimessione prospettano questioni coincidenti o connesse e, pertanto, i correlativi giudizi di legittimità costituzionale vanno riuniti per essere congiuntamente decisi;

 che le sollevate questioni sono in parte manifestamente inammissibili ed in parte manifestamente infondate;

che le questioni concernenti l’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, sollevate con le ordinanze iscritte ai numeri 448 e 449 del registro del 2005, sono prive di rilevanza e, perciò, manifestamente inammissibili, perché la norma censurata consente il superamento del limite massimo dell’aliquota dell’addizionale regionale solo per l’anno 2002 («Limitatamente all'anno 2002») e, dunque, non è applicabile ratione temporis nei giudizi principali, aventi invece ad oggetto il silenzio-rifiuto formatosi su istanze di rimborso dell’addizionale regionale all’IRPEF corrisposta per l’anno 2003;

che la medesima questione, attinente al predetto art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, sollevata con l’ordinanza iscritta al numero 447 del registro del 2005 e relativa  all’anno di imposta 2002, è manifestamente infondata in riferimento ad entrambi i parametri evocati;

che, infatti, il rimettente – affermando che la mancata previsione, nella denunciata norma statale, di un limite massimo dell’addizionale regionale all’IRPEF dell’anno 2002 renderebbe impossibile il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario – evoca evidentemente il secondo comma del vigente art. 119 Cost. e, dunque, un parametro costituzionale inconferente perché relativo al coordinamento dei tributi «propri» della Regione, cioè dei tributi stabiliti e applicati dalla Regione (v., in particolare, la sentenza n. 37 del 2004), mentre l’addizionale regionale in questione, in quanto istituita e disciplinata dall’art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, è da considerarsi tributo statale, rientrante  nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e non tributo «proprio» della Regione, senza che in contrario rilevino né l’attribuzione del gettito alle Regioni ed alle Province, né le determinazioni espressamente attribuite alla legge regionale dal citato decreto legislativo (v., ex plurimis, sentenze n. 2 del 2006, n. 37 e n. 381 del 2004);

che la rilevata non pertinenza del predetto parametro assorbe il rilievo, prospettato dalla costituita parte pubblica, che il rimettente non avrebbe neppure esperito il doveroso tentativo ­– richiesto da questa Corte a pena di inammissibilità della questione – di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma denunciata, valutando, nella specie, la possibilità di rinvenire nella stessa legge statale un limite massimo dell’addizionale regionale relativa all’anno 2002, nel rispetto della riserva di legge di cui al non evocato art. 23 Cost.;

che anche in riferimento all’art. 3 Cost. la questione è manifestamente infondata, perché la diversità di trattamento fiscale tra contribuenti aventi lo stesso reddito imponibile costituisce la necessaria conseguenza non già della affermata mancanza di un limite massimo posto dalla normativa statale per l’addizionale regionale relativa all’anno 2002, ma dell’esercizio dell’autonomo e non censurato potere delle Regioni di prevedere aliquote dell’addizionale stessa che possono risultare tra loro diverse e giustificarsi in funzione delle diverse situazioni in cui versano gli enti territoriali;

che le questioni concernenti il combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche n. 35 del 2001 e della tabella A annessa alla medesima legge sono state già esaminate e dichiarate non fondate da questa Corte con la sentenza n. 2 del 2006;

che con tale sentenza si è, in particolare, precisato: a) che la norma statale istitutiva dell’addizionale (art. 50, commi 2 e 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997), nell’impiegare il termine «aliquota» al singolare per la determinazione degli aumenti dell’addizionale medesima, non impedisce che tali aumenti siano improntati a criteri di progressività, perché la parola “aliquota”, usata al singolare e senza altra specificazione, ben può essere interpretata, secondo l’uso linguistico generale e specialistico del settore tributario, in senso neutrale, e cioè sia nel senso di “aliquota proporzionale”, sia nel senso di “aliquota progressiva”, con la conseguenza che – essendo la progressività principio informatore dell’intero sistema tributario, ai sensi dell’art. 53, secondo comma, Cost. – anche le Regioni, nell’esercizio del loro autonomo potere di imposizione, possono legittimamente improntare il prelievo a criteri di progressività in funzione delle politiche economiche e fiscali da esse perseguite; b) che la progressività dell’aliquota dell’addizionale regionale non víola l’art. 3 Cost., perché la disparità di trattamento fiscale dei contribuenti costituisce la necessaria conseguenza non già della progressività dell’aliquota, ma dell’esercizio del potere delle Regioni di prevedere aliquote fra loro diverse; c) che l’aumento dell’addizionale all’IRPEF per l’anno 2003, disposto nel 2001 dalla Regione Marche in misura identica a quella vigente nel 2002  –  comportante l’applicazione di un’addizionale superiore all’1,4% del reddito imponibile, come consentito per l’anno 2002 dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001 –  è legittimato dal citato art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del 2002, il quale, al fine di evitare la maggiore pressione fiscale derivante dall’ulteriore aumento delle addizionali all’IRPEF e all’IRAP, ha stabilito la sospensione dei soli aumenti di tali addizionali «deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002», mantenendo cosí per gli anni successivi il medesimo livello delle addizionali;

che il rimettente non prospetta profili nuovi rispetto a quelli già valutati nella citata sentenza n. 2 del 2006;

che, pertanto, le relative questioni debbono dichiararsi manifestamente infondate.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), convertito, con modificazioni, dalla legge statale 16 novembre 2001, n. 405, sollevate – in riferimento agli artt. 3 e 119 della Costituzione – dalla Commissione tributaria provinciale di Pesaro con le ordinanze indicate in epigrafe iscritte ai numeri 448 e 449 del registro del 2005;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge statale 16 novembre 2001, n. 405, sollevata – in riferimento agli artt. 3 e 119 della Costituzione – dalla Commissione tributaria provinciale di Pesaro con l’ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al numero 447 del registro del 2005;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF, di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive), e della tabella A annessa a tale legge, sollevate – in riferimento agli artt. 3 e 119 della Costituzione – dalla Commissione tributaria provinciale di Pesaro con le tre ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2006.

F.to:

Annibale MARINI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2006.