Sentenza n. 30 del 2006

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SENTENZA N. 30

ANNO 2006

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Annibale                          MARINI                                            Presidente

- Franco                              BILE                                                  Giudice

- Giovanni Maria                FLICK                                                     "

- Francesco                         AMIRANTE                                            "

- Ugo                                  DE SIERVO                                            "

- Romano                           VACCARELLA                                      "

- Paolo                                MADDALENA                                       "

- Alfio                                FINOCCHIARO                                     "

- Alfonso                            QUARANTA                                          "

- Franco                              GALLO                                                   "

- Luigi                                MAZZELLA                                           "

- Gaetano                           SILVESTRI                                             "

- Sabino                              CASSESE                                                "

- Maria Rita                        SAULLE                                                  "

- Giuseppe                          TESAURO                                               "

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, lettere g) e j), della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 46 (Interventi a sostegno degli stranieri immigrati), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 14 febbraio 2005, depositato in cancelleria il 22 febbraio 2005 ed iscritto al n. 24 del registro ricorsi 2005.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;

 

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;

 

uditi l’avv. dello Stato Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avv. Sandro Pasquali per la Regione Abruzzo.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 14 febbraio 2005 e depositato il 22 febbraio 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, lettere g) e j), della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 46 (Interventi a sostegno degli stranieri immigrati), deducendo la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione.

Il ricorrente osserva che la norma censurata, nel prevedere la istituzione della Consulta regionale della immigrazione, quale strumento di partecipazione, stabilisce che tra i componenti di tale organismo vi siano anche un rappresentante dell’INPS designato dalla sede regionale (lettera g), nonché un rappresentante per ogni Prefettura presente sul territorio regionale (lettera j). Le disposizioni in questione risulterebbero in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., in quanto «le funzioni e i compiti spettanti agli organi e rappresentanti dell’amministrazione dello Stato e degli enti pubblici nazionali possono essere determinati solo con legge dello Stato». Le previsioni impugnate, invece, attribuiscono nuovi compiti all’INPS ed alle Prefetture, attraverso la partecipazione di un loro rappresentante all’organismo regionale istituito con la legge innanzi citata: donde, la relativa incostituzionalità.

2. - Si è costituita le Regione Abruzzo depositando memoria, con la quale ha chiesto dichiararsi la manifesta infondatezza del ricorso. La Regione − pur essendo consapevole dei dicta enunciati da questa Corte nella sentenza n. 134 del 2004 − ritiene la normativa impugnata immune dalle censure prospettate, non soltanto in quanto la partecipazione dei rappresentanti dell’INPS e delle Prefetture alla Consulta dell’immigrazione non è obbligatoria; ma anche in quanto la eventuale mancata designazione degli stessi, da parte degli organi competenti, è improduttiva di effetti, giacché la Consulta può operare anche in tale ultima eventualità. La preventiva e non obbligatoria richiesta di partecipazione sarebbe, pertanto, un atto di leale collaborazione, non diversamente da quanto prevedeva altra risalente disposizione regionale che istituiva un comitato di valutazione al quale partecipava il dirigente dell’UTE locale.

Inoltre – soggiunge la Regione – la assenza di qualsiasi carattere di cogenza, per gli uffici statali, sarebbe dimostrata anche dal fatto che non sono previsti eventuali delegati. La situazione, dunque, sarebbe diversa da quella posta a base della declaratoria di incostituzionalità pronunciata con la richiamata sentenza n. 134 del 2004; non senza sottolineare – conclude la Regione – la circostanza che la legge impugnata interviene su materia di sicura spettanza regionale, mentre le attribuzioni della Consulta regionale si limitano ad una funzione meramente consultiva, di per sé insuscettibile di «incidere su aspetti sottoposti a normazione statale».

3. – In prossimità della udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, peraltro fuori termine, insistendo per l’accoglimento del ricorso.      

Considerato in diritto

 

1. – La questione di legittimità costituzionale, sollevata in via principale dal Presidente del Consiglio dei ministri, ha ad oggetto due specifiche disposizioni dettate dall’art. 20, comma 2, lettere g) e j), della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 46, recante Interventi a sostegno degli stranieri immigrati. L’art. 20 di tale legge − le cui finalità, di carattere eminentemente sociale, sono delineate nell’art. 1 − prevede la istituzione, presso la Giunta regionale, di un organismo collegiale, denominato Consulta regionale dell’immigrazione, al quale è demandato il compito di esprimere pareri e formulare proposte in ordine alle specifiche tematiche indicate nell’art. 22 della medesima legge.

Le doglianze del ricorrente si concentrano sulla composizione di tale organo, giacché le disposizioni censurate prevedono che della Consulta facciano anche parte, rispettivamente, «n. 1 rappresentante dell’INPS, designato dalla sede regionale» (lettera g), nonché «n. 1 rappresentante per ogni Prefettura presente sul territorio regionale» (lettera j). Trattandosi, quindi, nel primo caso, del rappresentante di un ente pubblico nazionale designato dai responsabili della relativa articolazione territoriale; e, nel secondo caso, del rappresentante di un organismo facente parte della amministrazione dello Stato, ne deriverebbe – a detta del ricorrente – la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, il quale riserva alla legislazione esclusiva dello Stato il compito di dettare norme in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali.

2. – La questione è fondata.

La normativa regionale impugnata dal Governo, infatti, nel prevedere − fra i componenti dell’organismo regionale di cui si è detto − i rappresentanti di un ente pubblico nazionale e di una articolazione della pubblica amministrazione, automaticamente configura, in capo a tali rappresentanti, nuove e specifiche attribuzioni pubbliche: quelle, appunto, relative all’espletamento delle funzioni connesse alla attività in concreto devoluta all’organo collegiale, in seno al quale gli stessi sono chiamati ad operare. Da ciò deriva, per quei pubblici dipendenti e per gli uffici che essi sono chiamati a rappresentare, un’inevitabile alterazione delle ordinarie attribuzioni svolte in seno agli enti di appartenenza: con la conseguente compromissione del parametro invocato, che riserva in via esclusiva alla legislazione dello Stato di provvedere in materia.

D’altra parte, ove alle Regioni fosse riconosciuta l’incondizionata possibilità di attribuire legislativamente − in forma autoritativa ed unilaterale − l’esercizio di funzioni pubbliche a uffici della amministrazione dello Stato o ad enti pubblici nazionali, seppure in sede locale, ne verrebbe all’evidenza compromessa la stessa funzionalità ed il buon andamento; quest’ultimo postula, infatti, un modello normativo unitario e coordinato, cui riservare la individuazione e la organizzazione delle attribuzioni e dei compiti demandati a quegli uffici o a quegli enti. Né può valere in senso contrario – come mostra di ritenere la Regione resistente – la circostanza che, nella specie, si verserebbe in una ipotesi di mera collaborazione fra enti in quanto, da un lato, non sarebbe obbligatoria la partecipazione dei rappresentanti alla attività della Consulta, né vi sarebbero conseguenze in ipotesi di loro mancata designazione; mentre, dall’altro lato, la natura meramente consultiva di tale attività escluderebbe qualsiasi possibilità di «incidere su aspetti sottoposti a normazione statale».

Come è agevole osservare, il primo rilievo si limita ad evocare  un profilo di mero fatto, il quale non incide sul nuovo compito comunque demandato agli uffici coinvolti (designazione di un rappresentante cui riservare quelle determinate funzioni) e sulle funzioni attribuite al rappresentante, che evidentemente prescindono dal relativo concreto esercizio. Il secondo rilievo è del tutto inconferente, perché la funzione consultiva (ma, in realtà, anche propositiva: v. art. 22, comma 2), che il suddetto organismo regionale è chiamato a svolgere, comporta pur sempre, per gli uffici statali o nazionali chiamati in causa, l’esercizio di attribuzioni pubbliche, conferite legislativamente e senza alcun concerto, da ente diverso da quello di appartenenza.

E’ ben vero − come sottolinea la Regione nella propria memoria − che le finalità perseguite dalla legge regionale in questione si iscrivono in una materia nella quale  la competenza legislativa regionale non è contestata; così come – proprio in considerazione della complessità e delicatezza delle problematiche che il fenomeno della immigrazione è indubbiamente in grado di suscitare – è senz’altro possibile ipotizzare «forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono compiti ed attribuzioni dello Stato». Ma, proprio alla stregua delle indicazioni contenute nella sentenza n. 134 del 2004, che la stessa Regione richiama, tali forme di collaborazione e di coordinamento «non possono» come nella specie «essere disciplinate unilateralmene e autoritativamente dalle regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati».

Le disposizioni impugnate devono pertanto essere dichiarate costituzionalmente illegittime.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, lettere g) e j), della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 46 (Interventi a sostegno degli stranieri immigrati).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.

 

F.to:

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria l’1 febbraio 2006.