Ordinanza n. 19 del 2006

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 19

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale              MARINI                                                     Presidente

- Giovanni Maria    FLICK                                                          Giudice

- Ugo                      DE SIERVO                                                      ”

- Romano               VACCARELLA                                                ”

- Paolo                    MADDALENA                                                 ”

- Alfio                    FINOCCHIARO                                               ”

- Alfonso                QUARANTA                                                     ”

- Franco                  GALLO                                                              ”

- Luigi                    MAZZELLA                                                      ”

- Gaetano               SILVESTRI                                                       ”

- Sabino                  CASSESE                                                          ”

- Maria Rita            SAULLE                                                            ”

- Giuseppe              TESAURO                                                         ”

ha pronunciato la seguente                                                   

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), promosso con ordinanza del 17 novembre 2004 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona nel procedimento penale a carico di Pirana Maria, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2005.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

 

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, con ordinanza emessa il 17 novembre 2004, ha sollevato – in relazione agli artt. 1, 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), nella parte in cui prevede, quale conseguenza del perfezionamento della procedura di condono fiscale, la non punibilità, tra l’altro, di taluni reati tributari;

 

che il procedimento a quo ha ad oggetto il reato di cui all’art. 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), «con riferimento alla presentazione di una dichiarazione dei redditi infedele, per omessa indicazione di elementi attivi, per importo tale che l’imposta evasa è risultata superiore ad euro 103.291,38»;

 

che il pubblico ministero aveva richiesto, riferisce il rimettente, l’archiviazione, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, avendo l’Agenzia delle entrate segnalato che la società (alla quale risulterebbe riconducibile l’indagato nel procedimento a quo) «ha definito quanto oggetto del processo verbale di constatazione»;

 

che il giudice rimettente sottolinea di dover fare applicazione dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002 ai fini della decisione sulla archiviabilità o meno del procedimento, per intervenuta estinzione del reato in ragione del “condono tributario”;

 

che secondo il giudice a quo la norma impugnata sarebbe costituzionalmente illegittima;

 

che, innanzitutto, sarebbe violato l’art. 79, primo comma, della Costituzione, in quanto «la previsione di un procedimento estintivo di tutti i reati di una determinata specie, purché commessi entro una data prefissata, subordinata al pagamento di somme ed altri comportamenti del reo» integrerebbe un’“amnistia condizionata”, e, pertanto, dovrebbe essere approvata dalle Camere con le prescritte maggioranze qualificate;

 

che la disposizione censurata lederebbe, altresì, l’art. 112 della Costituzione, in quanto, anche a voler ritenere che la procedura di cui all’art. 9 della legge n. 289 del 2002 non dia luogo ad una amnistia, contrasterebbe, non di meno, con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale l’attribuzione al legislatore di un potere di estinzione del reato o di esclusione della punibilità mediante leggi ordinarie;

 

che sarebbe violato anche l’art. 3 della Costituzione, in quanto si sarebbe realizzata una disparità di trattamento innanzitutto tra i cittadini che hanno trasgredito la legge e quelli che l’hanno rispettata, nonché tra i cittadini per i quali sia già intervenuto l’accertamento del reato tributario e quelli per i quali, proprio in ragione del “condono”, l’affermazione della responsabilità penale non potrebbe più avere luogo;

 

che, ad avviso del giudice a quo, la norma in questione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, che stabiliscono l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge in generale, e a quella tributaria in particolare, e non ammettono, pertanto, che il cittadino infedele possa ricevere un trattamento di maggior favore rispetto a quello fedele, atteso che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, «ogni disparità di trattamento deve rinvenire una ragionevole giustificazione, e la commissione di un illecito (penale e/o tributario) non può evidentemente assurgere a giustificazione di un privilegio o comunque di un trattamento di favore in materia penale e fiscale»;

 

che il rimettente ravvisa, altresì, la violazione dell’art. 54 della Costituzione, in quanto, mentre detta disposizione costituzionale stabilisce che tutti i cittadini hanno il dovere di osservare la Costituzione e le leggi, la disciplina del “condono tributario” si porrebbe, invece, a premio di chi la legge abbia violato, ed addirittura costituirebbe un disincentivo, per il futuro, alla sua osservanza;

 

che, infine, il GIP del Tribunale di Verona rileva come non sia possibile ricondurre a fonti e procedimenti normativi, diversi dalla legge di amnistia, effetti estintivi dell’illecito penale in «dipendenza di pretese ragioni di eccezionalità»;

 

che, comunque, anche a voler ammettere la possibilità che situazioni di eccezionalità possano giustificare deroghe ai principi costituzionali, non sono eludibili quelli dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, dell’obbligatorietà ed irretrattabilità dell’azione penale, della capacità contributiva;

 

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venga dichiarata inammissibile ed infondata;

 

che la difesa dello Stato ha dedotto, in via preliminare, che, sebbene a norma dell’art. 9, comma 14, della legge n. 289 del 2002, il condono non possa trovare applicazione nel caso in cui alla data di entrata in vigore della legge medesima «sia stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo», il giudice a quo non ha precisato se la parte si trovasse o meno nella suddetta situazione;

 

che tale omissione, secondo la difesa erariale, non consentirebbe di verificare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale, con la conseguente inammissibilità della stessa;

 

che secondo la difesa dello Stato la questione sarebbe, comunque, non fondata, non potendosi effettuare un’equiparazione tra il provvedimento di “condono” ex art. 9 della legge n. 289 del 2002 e l’“amnistia condizionata”;

 

che gli interventi del legislatore in grado di paralizzare l’azione penale non sono individuabili nella sola amnistia, e che, quindi, la tesi prospettata dal remittente a sostegno della assunta violazione dell’art. 112 della Costituzione «porterebbe inevitabilmente ad una ingessatura del sistema»;

 

che la previsione di un accordo transattivo, in forza del quale il contribuente che non sia stato oggetto di accertamento versi una somma che gli consenta di porsi al riparo da eventuali futuri accertamenti, non appare in alcun modo in contrasto con l’art. 53 della Costituzione;

 

che, da ultimo, l’Avvocatura dello Stato osserva come la circostanza che la somma da pagare, per definire la pendenza tributaria, sia predeterminata in funzione del dichiarato esclude anche la possibilità di ravvisare un contrasto con gli artt. 3 e 54 della Costituzione.

 

Considerato che, con ordinanza emessa in data 17 novembre 2004, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003);

 

che l’art. 9 della legge n. 289 del 2002, nella sua interezza, disciplina il procedimento tributario per la “definizione automatica per gli anni pregressi” di cui possono beneficiare i contribuenti, in relazione a redditi (con la sola esclusione di quelli conseguiti all’estero e di quelli soggetti a tassazione separata) inerenti a tutti i periodi di imposta «per i quali i termini per la presentazione delle relative dichiarazioni sono scaduti entro il 31 ottobre 2002»;

 

che, tenuto conto delle funzioni esercitate dal giudice a quo, si impone la precisazione secondo cui il thema decidendum deve essere propriamente individuato nelle sole norme contenute nel comma 10, lettera c), del predetto art. 9 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui esse dispongono che il perfezionamento della procedura di definizione automatica delle pendenze tributarie comporta la «esclusione della punibilità», tra l’altro, per i reati tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5 e 10 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205);

 

che, in particolare, il rimettente riferisce che il procedimento penale nel corso del quale è stata emessa la presente ordinanza «ha ad oggetto il reato tributario di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000, con riferimento alla presentazione di una dichiarazione dei redditi infedele, per omessa indicazione di elementi attivi per importo tale che l’imposta evasa è risultata superiore ad euro 103.291,38, e si riferisce quindi a reato non ancora prescritto»;

 

che, dopo questa premessa, il giudice a quo sottolinea che il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione, «avendo l’Agenzia delle entrate segnalato l’avvenuta definizione di quanto oggetto del processo verbale di constatazione ai sensi dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, norma che prevede la sanatoria (…) dei reati tributari di dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000), di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi (art. 3), di dichiarazione infedele (art. 4), di omessa dichiarazione (art. 5), di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10)»;

 

che le suddette indicazioni non risultano adeguate ai fini del giudizio sulla rilevanza della questione sollevata: da un lato, infatti, il rimettente non ha indicato il tempo di assunta commissione del delitto di dichiarazione infedele; dall’altro lato, non viene neanche indicato il periodo di imposta – per il quale il termine per la presentazione della relativa dichiarazione deve essere scaduto entro il 31 ottobre 2002 – cui dovrebbe riferirsi la dichiarazione di definizione automatica;

 

che tali omissioni impediscono di valutare se vi sia effettiva coincidenza tra la fattispecie rilevante sul piano propriamente tributario e quella oggetto del procedimento penale nel corso del quale è stata sollevata la presente questione di legittimità costituzionale;

 

che, in altri termini, non risulta dall’ordinanza di rimessione se la definizione automatica – il cui perfezionamento comporta, in presenza di determinati presupposti, la «esclusione della punibilità», tra l’altro, per il reato, nella specie contestato, di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 – abbia riguardato proprio quest’ultima fattispecie penalmente rilevante.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 10, lettera c), della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento agli artt. 1, 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 2006.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Alfonso QUARANTA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2006.