Ordinanza n. 15 del 2006

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ORDINANZA N. 15

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Franco                                          BILE                                      Presidente

-         Giovanni Maria                            FLICK                                   Giudice

-         Francesco                                     AMIRANTE                               "

-         Ugo                                              DE SIERVO                               "

-         Romano                                        VACCARELLA                        "

-         Paolo                                            MADDALENA                          "

-         Alfio                                            FINOCCHIARO                        "

-         Alfonso                                        QUARANTA                             "

-         Franco                                          GALLO                                      "

-         Luigi                                            MAZZELLA                              "

-         Gaetano                                        SILVESTRI                                "

-         Sabino                                          CASSESE                                   "

-         Maria Rita                                    SAULLE                                    "

-         Giuseppe                                      TESAURO                                 "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 467 e 468 del codice civile, promosso con ordinanza del 7 febbraio 2005 dal Tribunale di Reggio Calabria, nel procedimento civile vertente tra Lucisano Elisa e Scagliola Francesco ed altri, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di costituzione di Lucisano Elisa;

udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;

udito l’avvocato Michele Salazar per Lucisano Elisa.

Ritenuto che il Tribunale di Reggio Calabria, nel corso di un procedimento in materia successoria, con ordinanza del 7 febbraio 2005, ha sollevato, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 del codice civile nella parte in cui non prevedono «la capacità di rappresentazione in favore del coniuge del soggetto che non abbia potuto accettare l’eredità o, in subordine, nella parte in cui non prevedono la capacità di rappresentazione in favore del coniuge del soggetto che non abbia potuto accettare l’eredità, in assenza di discendenti dei figli legittimi, legittimati ed adottivi, nonché naturali del defunto»;

che il rimettente premette che il giudizio a quo era stato promosso da Elisa Lucisano, la quale aveva esposto che il proprio coniuge, Domenico Scagliola, era deceduto senza testamento in data 21 gennaio 1998;

che alla successione legittima di quest’ultimo, in assenza di prole, erano stati chiamati, nella misura di due terzi, la stessa moglie, e, nella misura di un terzo – e, quindi, di un sesto ciascuno – la madre, Concetta De Stefano, e il fratello del de cuius, Francesco Scagliola;

che, in data 6 febbraio 2000, era venuta a mancare, senza testamento, la predetta De Stefano, alla quale erano succeduti in parti uguali il figlio premorto, Domenico, coniuge della istante, e l’altro figlio Francesco;

che, poiché il patrimonio della De Stefano era costituito dalla predetta quota di un sesto dei beni immobili ricevuti in eredità dal figlio premorto, ed i beni facenti parte di quella eredità erano rimasti in comunione incidentale tra gli eredi, e cioè la Lucisano e il cognato Francesco Scagliola, la istante aveva chiesto che il Tribunale – dichiarata l’apertura della successione di Domenico Scagliola, stabilito che eredi di questo erano la moglie per due terzi, nonché la madre e il fratello, ciascuno per un sesto, dichiarata aperta la successione di Concetta De Stefano, e stabilito che eredi di quest’ultima erano, in parti uguali, il figlio premorto Domenico e il fratello Francesco – disponesse lo scioglimento della comunione, con assegnazione in natura dei beni indicati nella citazione alla istante per la quota e nella misura alla stessa spettante, e cioè di due terzi riferiti alla successione al marito, e di un mezzo di un sesto, per la successione alla De Stefano in luogo del coniuge, figlio premorto di quest’ultima;

che il convenuto, Francesco Scagliola, per ciò che rileva in questa sede, aveva eccepito, in via preliminare, che nessun diritto successorio la Lucisano poteva vantare in relazione al decesso della suocera, poiché non operava nella specie l’istituto della rappresentazione, non rientrando il coniuge tra le categorie di soggetti che, alla stregua dell’art. 468 cod. civ., possono subentrare per rappresentazione in luogo del chiamato che non possa accettare l’eredità;

che, con comparsa conclusionale, l’attrice aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 cod. civ. «nella parte in cui non prevedono che, in assenza di discendenti dei figli, la rappresentazione si estenda al coniuge del soggetto che non ha potuto accettare perché premorto rispetto al de cuius di cui sarebbe stato erede»;

che il rimettente ha ritenuto rilevante la questione nel giudizio a quo – nel quale veniva in discussione l’applicazione delle norme di cui si tratta con riferimento alla successione ab intestato della signora De Stefano, essendo il figlio di questa, Domenico Scagliola, premorto alla madre, lasciando la moglie senza figli – alla stregua della considerazione che l’applicazione delle stesse norme nella formulazione attuale avrebbe comportato la esclusione in capo alla Lucisano della qualità di erede della De Stefano per rappresentazione del proprio coniuge, qualità che, al contrario, avrebbe dovuto esserle riconosciuta in caso di allargamento della sfera di operatività della rappresentazione, nel senso auspicato dall’attrice;

che il giudice a quo ha, peraltro, ritenuto di ampliare la questione rispetto alla formulazione proposta dalla Lucisano, lasciando detta formulazione come ipotesi subordinata rispetto alla richiesta di declaratoria di illegittimità della normativa di cui si tratta nella parte in cui non prevede la capacità di rappresentazione in favore del coniuge del soggetto che non abbia potuto accettare l’eredità;

che nella ordinanza di rimessione si richiama la posizione della dottrina dominante dopo l’entrata in vigore del codice del 1942, secondo la quale il fondamento sociale della rappresentazione sarebbe da individuare nella protezione della stirpe legittima del de cuius, al fine di realizzare la continuità familiare dell’eredità; nonché la legge di riforma del diritto di famiglia, che ha previsto la delazione per rappresentazione anche al di fuori della famiglia legittima, ed in concorso con essa, ammettendola anche in favore del figlio naturale riconosciuto o dichiarato, ed anche in presenza di figli legittimi;

che, quindi, pur riconoscendo che l’ampiezza soggettiva della deroga ai principî generali sull’ordine dei successibili che risulta dagli att. 467 e 468 cod. civ. rientra nella discrezionalità del legislatore, il giudice a quo rileva che l’esercizio di tale discrezionalità è insindacabile fino a che la diversità di trattamento riguardi soggetti che non si trovino nella medesima situazione giuridica o che non siano in astratto meritevoli dello stesso trattamento;

che, in proposito, osserva il rimettente che, a seguito della riforma del diritto di famiglia, la posizione successoria del coniuge è radicalmente mutata, essendo egli divenuto un erede necessario, ed essendo ormai indicato, nel nuovo testo degli artt. 536 e 565 cod. civ., al primo posto nell’elenco dei legittimari e dei successibili ab intestato: sicché si evidenzia nel nuovo regime un’assimilazione della posizione del coniuge a quella dei figli, anche se manca a tutt’oggi una equiparazione totale, avuto anche riguardo alla circostanza che le prerogative successorie del coniuge nei confronti della famiglia del de cuius sono meno forti, concorrendo egli con gli ascendenti e i fratelli e sorelle del defunto, laddove i figli prevalgono su ogni altro successibile;

che, in tale contesto, appare al rimettente contrastante con l’art. 3, primo comma, della Costituzione la mancata inclusione del coniuge tra le categorie di soggetti che possono succedere per rappresentazione, ove si consideri, da un lato, che la ratio dell’istituto si è progressivamente spostata dalla tutela della famiglia del defunto a quella del mancato successore; dall’altro, che lo scopo di conservare la continuità familiare dell’eredità, garantendo il trapasso dei patrimoni di padre in figlio, è venuto meno, in generale, con il maggior valore attribuito alla posizione successoria del coniuge;

che il rimettente aggiunge che, anche quanto ai rapporti tra “rappresentante” e de cuius, la posizione del coniuge del figlio di quest’ultimo non è così disomogenea rispetto a quella dei “discendenti del rappresentato” da giustificare la totale esclusione dalla successione;

che il codice civile individua tra i predetti un vincolo di affinità, laddove tra figlio naturale e genitore o fratello/sorella del proprio genitore non vi è, in genere, alcun rapporto di parentela;

che, inoltre, pur non escludendo del tutto la successione di ascendenti e fratelli e/o sorelle, l’esistenza del coniuge superstite comporta comunque una forte limitazione di diritti successori di costoro anche in mancanza di figli (v. art. 544 cod. civ.);

che ove, poi, si ritenesse di far prevalere le ragioni dei discendenti su quelle del coniuge, comunque non sarebbe giustificata la esclusione del coniuge dal novero dei rappresentanti in mancanza di altri soggetti capaci di succedere per rappresentazione, sì da escludere la divisione per stirpi;

che nel giudizio innanzi alla Corte, si è costituita la parte privata del procedimento a quo, che ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 cod. civ., per violazione dell’art. 3, primo comma, e dell’art. 29, secondo comma, della Costituzione, con argomentazioni adesive a quelle riportate nella ordinanza di rimessione;

che, nell’imminenza dell’udienza, la stessa parte ha depositato memoria, con la quale insiste per l’accoglimento della questione proposta.

Considerato che il Tribunale di Reggio Calabria dubita della legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 del codice civile, per violazione dell’art. 3, primo comma, della Costituzione, in via principale, nella parte in cui escludono il coniuge di colui che non abbia potuto accettare l’eredità dal novero dei soggetti (discendenti legittimi o naturali) che possono succedere per rappresentazione al de cuius, per la irragionevole disparità di trattamento rispetto a detti soggetti; e, in via subordinata, nella parte in cui gli stessi articoli escludono che, in mancanza di discendenti dei figli legittimi, legittimati o adottivi del de cuius, possa succedere per rappresentazione il coniuge del soggetto che non ha potuto accettare l’eredità;

che il fondamento politico-sociale della rappresentazione, tradizionalmente ravvisato nella esigenza di tutela della famiglia del defunto, è stato, con il tempo, come sottolineato dalla dottrina, progressivamente ricondotto a diversa funzione, spostandosi l’interesse tutelato dal nucleo familiare del defunto alla stirpe del mancato successore;

che di tale diversa impostazione si è fatta carico questa Corte che con la sentenza n. 79 del 1969 – superando il precedente contrario indirizzo espresso dalla sentenza n. 54 del 1960 – ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 30, terzo comma, della Costituzione, dell’art. 467 del codice civile nella parte in cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, figlio o fratello del defunto, non potendo o non volendo accettare l’eredità o il legato, non abbia discendenti legittimi;

che la riforma del diritto di famiglia è andata oltre il giudicato costituzionale del 1969 ed ha aggiunto ai discendenti legittimi, quali soggetti in cui favore opera la rappresentazione, i discendenti naturali, a prescindere dalla assenza di discendenti legittimi;

che le innovazioni apportate al diritto successorio dalla legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), con riferimento alla posizione del coniuge superstite, hanno condotto ad una riconsiderazione completa di tale posizione, ove si consideri che, nel sistema previgente alla riforma del diritto di famiglia, il disfavore verso il coniuge del defunto emergeva dal divario tra il trattamento a lui riservato e quello attribuito ai figli legittimi, spettando al primo solo l’usufrutto di una quota dell’eredità;

che il legislatore della riforma ha eliminato l’istituto dell’usufrutto a favore del coniuge, elaborando una normativa volta ad equiparare la posizione del coniuge, nell’ambito della successione legittima e di quella necessaria, a quella dei successibili legati al defunto dal rapporto di discendenza (cfr., in proposito artt. 581, in tema di successione legittima, e 542 cod. civ., in tema di successione necessaria);

che dalle predette considerazioni e dal rilievo della posizione successoria attribuita al coniuge dalla riforma del diritto di famiglia, il giudice a quo è indotto a sospettare, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, della illegittimità costituzionale della mancata inclusione del coniuge fra le categorie di soggetti in cui favore si applica la rappresentazione; o, quanto meno, della illegittimità costituzionale di tale mancata inclusione nella ipotesi di mancanza di discendenti del de cuius;

che tali conclusioni non possono essere condivise, dovendosi tenere presente che altre norme continuano ad attribuire una posizione successoria privilegiata al figlio rispetto al coniuge (si pensi a quelle che ammettono alla successione legittima, in concorso con il coniuge, altre categorie di successibili, quali gli ascendenti legittimi e i fratelli del defunto, categorie che sono invece escluse dalla presenza di figli legittimi o naturali);

che, in tale situazione, non esiste una soluzione costituzionalmente obbligata, quanto alla ammissione del coniuge alla successione per rappresentazione;

che, del resto, questa Corte, nella sentenza n. 259 del 1993, con riferimento alla sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 467 cod. civ., nel testo anteriore alla riforma del diritto di famiglia, nella parte in cui esclude dal diritto di rappresentazione i figli naturali di chi, discendente o fratello del defunto, non potendo o non volendo accettare l’eredità, lasci o abbia discendenti legittimi, ha ritenuto la esclusiva spettanza al potere legislativo della costituzione di una nuova, autonoma classe di successibili, dichiarando pertanto la inammissibilità della questione;

che analogo rilievo va ribadito con riguardo alla questione all’odierno esame, non potendo certamente considerarsi venuto meno il potere discrezionale del legislatore per il solo fatto della inclusione del coniuge nella categoria dei legittimari (art. 536 cod. civ.) e dei successibili (art. 565 cod. civ.), dal momento che tale inclusione non impone ex se la ricomprensione del coniuge fra le categorie indicate dall’art. 468 cod. civ.;

che lo stesso giudice rimettente, prospettando la questione di costituzionalità, in via principale, per il fatto che il coniuge di colui che non abbia potuto accettare l’eredità non sia incluso nel novero dei soggetti che possono succedere per rappresentazione al de cuius e, in via subordinata, per il fatto che lo stesso coniuge non possa succedere per rappresentazione al defunto neanche in mancanza di discendenti dei figli legittimi, legittimati o adottivi di quest’ultimo, mostra di rendersi conto delle varie possibilità di bilanciamento nella scelta, spettante al legislatore, dell’ampliamento delle categorie di cui al predetto art. 468 cod. civ.;

che tale bilanciamento coinvolge una valutazione complessiva eccedente i poteri di questa Corte, essendo prospettabile una pluralità di soluzioni, la cui scelta appartiene alla discrezionalità legislativa (cfr. sentenza n. 377 del 1994);

che la proposta questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 467 e 468 del codice civile, sollevata, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 gennaio 2006.

 Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2006.