Sentenza n. 1 del 2006

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SENTENZA N. 1

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-   Annibale                                                    MARINI                                Presidente

-   Franco                                                       BILE                                      Giudice

-   Giovanni Maria                                          FLICK                                               "

-   Francesco                                                  AMIRANTE                                     "

-   Ugo                                                           DE SIERVO                                     "

-   Romano                                                     VACCARELLA                               "

-   Paolo                                                         MADDALENA                                "

-   Alfio                                                          FINOCCHIARO                              "

-   Alfonso                                                     Quaranta                                    "

-   Franco                                                       GALLO                                             "

-   Luigi                                                          MAZZELLA                                     "

-   Gaetano                                                     SILVESTRI                                      "

-   Sabino                                                       CASSESE                                         "

-   Maria Rita                                                 SAULLE                                           "

-   Giuseppe                                                   TESAURO                                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica) e dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), promossi con ordinanze del 30 ottobre 2003 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Di Clemente e l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) e del 18 febbraio 2004 dal Tribunale di Viterbo nel procedimento civile vertente tra Angelica Pianeselli e l’INPS, iscritte ai numeri 116 e 322 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 11 e 17, prima serie speciale, dell’anno 2004.

 Visti gli atti di costituzione dell’INPS nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

             udito nell’udienza pubblica del 15 novembre 2005 il Giudice relatore Franco Bile;

 uditi gli avvocati Alessandro Riccio per l’INPS e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 30 ottobre 2003 il Tribunale di Roma ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), e dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione. In tal modo il giudice rimettente ripropone, in considerazione della ritenuta permanente rilevanza, la questione di legittimità costituzionale già sollevata con ordinanza del 5 marzo 2001, in relazione alla quale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 249 del 2002 , aveva disposto la restituzione degli atti per ius superveniens.

Osserva il rimettente – richiamando testualmente la citata precedente ordinanza – che il pensionato ricorrente, in data 30 novembre 1995, aveva ricevuto dall’INPS la richiesta di restituzione della somma indebitamente percepita nel periodo dal 1° ottobre 1983 al 30 aprile 1995 a titolo di quote di integrazione al trattamento minimo di pensione in misura superiore a quella spettante ed aveva chiesto l’accertamento dell’illegittimità di tale provvedimento eccependo l’incostituzionalità dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.

Il rimettente ricorda che la ripetibilità cessa là dove l’ente previdenziale abbia continuato il pagamento dell’integrazione al minimo pur avendo la disponibilità delle informazioni necessarie per l’accertamento del reddito del pensionato, o per la tempestiva presentazione della dichiarazione sostitutiva del certificato fiscale, o attraverso una comunicazione del datore di lavoro alle cui dipendenze il pensionato abbia trovato occupazione, oppure perché entrambe le pensioni sono pagate dallo stesso ente, che perciò può ben conoscere se e quando l’importo della prima sia aumentato oltre il limite di reddito ostativo dell’integrazione al minimo della seconda.

La successiva normativa introdotta dall’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996 è stata interpretata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 2333 del 1997 quale disciplina avente efficacia retroattiva e, in via transitoria, globalmente sostitutiva di quella anteriore. Quindi le disposizioni di cui all’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996 riconducono la ripetibilità dell’indebito all’unico requisito del reddito riferito al 1995.

L’applicazione retroattiva della normativa censurata determina – secondo il rimettente – una disparità di trattamento tra pensionati per i quali sia già stata sancita in via definitiva, secondo i precedenti principi, l’irripetibilità di un indebito e pensionati i quali, per indebiti risalenti alla medesima epoca, debbono soggiacere alla nuova normativa con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione. In particolare il Tribunale richiama la sentenza n. 39 del 1993 di questa Corte che ha evidenziato la necessità di tutelare «l’affidamento di una vasta categoria di cittadini nella sicurezza giuridica che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto».

Il rimettente censura poi anche l’art. 38 della legge n. 448 del 2001, che ha successivamente previsto al comma 7: «nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell’INPS, per periodi anteriori al 1° gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile ai fini IRPEF per l’anno 2000 di importo pari o inferiore a 8.263,31 euro»; e al comma 8: «Qualora i soggetti che hanno indebitamente percepito i trattamenti di cui al comma 7 siano percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 2000 di importo superiore a 8.263,31 euro non si fa luogo al recupero dell’indebito nei limiti di un quarto dell’importo riscosso». Ad avviso del rimettente tale normativa non ha abrogato la disciplina di cui all’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996, ma ha dettato una disciplina analoga a quella già prevista dalle citate disposizioni di legge con riferimento alle prestazioni indebitamente erogate negli anni dal 1996 al 2000.

Quanto alla rilevanza della questione precisa poi il giudice rimettente che nel giudizio a quo il ricorrente risulta aver superato la soglia reddituale suddetta sia nel 1995 che nel 2000.

In conclusione, ad avviso del rimettente, la questione di legittimità costituzionale formulata nella precedente ordinanza del 5 marzo 2001 deve ribadirsi con riferimento alla disciplina dettata dall’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 662 del 1996, atteso che anche le citate disposizioni riconducono la ripetibilità dell’indebito all’unico requisito del reddito negli stessi termini dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996.

2. – Con ordinanza del 18 febbraio 2004 il Tribunale di Viterbo ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 662 del 1996 per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. In tal modo il rimettente ripropone, in considerazione della ritenuta permanente rilevanza, la questione di legittimità costituzionale già sollevata con ordinanza del 30 marzo 2001, in relazione alla quale la Corte costituzionale, con ordinanza n. 249 del 2002 , aveva disposto la restituzione degli atti per ius superveniens.

Il rimettente – richiamando testualmente la precedente ordinanza – osserva che la situazione determinata dai citati commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 è assai simile a quella esaminata dalla Corte con la sentenza n. 39 del 1993, che ha dichiarato illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., l’art. 13, comma 1, della legge n. 412 del 1991 «nella parte in cui estende le innovazioni introdotte nella disciplina della ripetizione di indebito in materia pensionistica ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data». Anche nel caso di specie – osserva il rimettente – v’è irrazionale e ingiustificabile disparità di trattamento (e quindi violazione dell’art. 3 Cost.) tra i pensionati nei confronti dei quali l’ente previdenziale abbia agito per il recupero dell’indebito prima dell’entrata in vigore della norma impugnata, con conseguente dichiarazione di non ripetibilità ai sensi della normativa previgente, e i pensionati nei confronti dei quali – a parità di ogni altra circostanza, ed in particolare dell’epoca di insorgenza dell’indebito, del reddito percepito superiore a 16 milioni di lire e dell’assenza di dolo – il recupero sia stato promosso dopo l’entrata in vigore della legge n. 662 del 1996, con la conseguente ripetibilità, sia pure limitata ai 3/4 dell’indebito.

Analoghe censure sono poi mosse nei confronti dell’art. 38, commi 7 ed 8, della legge n. 448 del 2001.

3. – L’Istituto nazionale della previdenza sociale si è costituito in entrambi i giudizi ed ha concluso per l’infondatezza della questione.

Secondo l’Istituto, non vi è contrasto con l’art. 3 Cost., avendo entrambe le disposizioni censurate la funzione di dettare misure di razionalizzazione della finanza pubblica e realizzando un equo contemperamento delle esigenze di bilancio con gli interessi privati. Inoltre le erogazioni non dovute non possono, per definizione, concorrere all’integrazione della prestazione previdenziale adeguata, sicché la loro ripetizione non può di per sé violare il precetto costituzionale.

D’altra parte occorre tener conto della compatibilità con le risorse disponibili, sicché al Governo ed al Parlamento, nell’esercizio della loro discrezionalità e tenendo conto delle esigenze fondamentali di politica economica, spetta, in sede di manovra finanziaria di fine d’anno, introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove ciò sia necessario a salvaguardare l’equilibrio del bilancio statale ed a perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria.

Inoltre anche l’eccezionalità e la temporaneità dell’efficacia della normativa denunciata rilevano nel senso di escludere qualsiasi profilo di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate che mirano anche ad assicurare la definizione in tempi ragionevoli di un consistente contenzioso ed un rapido riordino del settore previdenziale.

4. – E’ intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso per la manifesta inammissibilità o comunque l’infondatezza della questione di costituzionalità.

In particolare l’Avvocatura ha sottolineato che il legislatore, nel regolamentare l’indebito previdenziale in modo difforme rispetto all’art. 2033 del codice civile, che legittima 1’azione di restituzione sulla base del solo fatto oggettivo dell’assenza di causa di pagamento, ha voluto eccezionalmente e in via transitoria abbandonare questo principio, bilanciando tale scelta con l’adozione di quello delle condizioni di reddito e di parziale irripetibilità per i percettori di redditi meno elevati.

La disciplina mira ad esentare il destinatario di pensioni e rendite da oneri di restituzione che difficilmente potrebbe affrontare, stante la naturale destinazione al consumo ed alla soddisfazione di esigenze elementari di vita delle somme percepite – sia pure indebitamente – a tale titolo.

Pertanto non è contraria agli artt. 3 e 38 Cost. la scelta legislativa che imponga a chi – non versando in stato di bisogno – abbia percepito una somma indebita di restituirla, in quanto non necessaria a far fronte al soddisfacimento di bisogni primari.

Considerato in diritto

1. – I Tribunali di Roma e di Viterbo pongono due questioni di costituzionalità, che possono essere esaminate insieme perché oggettivamente connesse.

La prima riguarda i commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica), i quali prevedono che nei confronti di chi abbia percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, nonché rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli enti pubblici di previdenza obbligatoria, per periodi anteriori al 1° gennaio 1996, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora il suo reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 1995 sia pari o inferiore a 16 milioni di lire e che, in caso di reddito superiore, l’indebito è irripetibile nei limiti di un quarto dell’importo riscosso.

La seconda riguarda i commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), i quali prevedono che nei confronti di chi abbia percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell’INPS, per il periodo anteriore al 1° gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora il suo reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 2000 sia pari o inferiore a € 8.263,31 e che, in caso di reddito superiore, l’indebito è irripetibile nei limiti di un quarto dell’importo riscosso.

Le questioni sono state sollevate in due giudizi sostanzialmente analoghi nel corso dei quali i Tribunali aditi avevano già, con precedenti ordinanze del 2001, proposto la questione di costituzionalità dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge n. 662 del 1996 e questa Corte, con ordinanza n. 249 del 2002, aveva restituito gli atti ai rimettenti per un nuovo esame alla luce del sopravvenuto art. 38, commi 7 e 8, della legge n. 448 del 2001. 

Con le ordinanze in epigrafe i giudici hanno risollevato la medesima questione nei confronti delle norme del 1996 a suo tempo impugnate, sul rilievo che i casi di specie – riguardando ripetizioni di somme indebitamente erogate dall’INPS prima del 1° gennaio 1996 – sono disciplinati da tali norme. La questione, a loro avviso, non è manifestamente infondata, sotto il profilo di un’irrazionale e ingiustificabile disparità di trattamento (lesiva dell’art. 3 Cost.) tra i casi in cui, prima dell’entrata in vigore delle norme impugnate, l’ente previdenziale abbia agito per il recupero di indebiti anteriori al 1° gennaio 1996 e sia intervenuta una dichiarazione di non ripetibilità ai sensi della previgente disciplina, e i casi in cui  – a parità di ogni altra circostanza, in particolare dell’epoca di erogazione dell’indebito, del godimento da parte del pensionato di un reddito superiore a 16 milioni di lire e dell’assenza di dolo – il recupero non sia stato ancora promosso al momento dell’entrata in vigore di tali norme, con la conseguente applicazione retroattiva di un regime di ripetibilità (sia pure limitata), con conseguente inadeguata tutela previdenziale dei percettori dell’indebito (lesiva dell’art. 38 Cost.).

L’impugnazione è stata poi estesa ai commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge n. 448 del 2001 sotto il profilo che per essi – ove fossero applicabili anche agli indebiti anteriori al 1° gennaio 1996 – varrebbero gli stessi dubbi di incostituzionalità dedotti a proposito della disciplina del 1996.

2. – Ad avviso dei rimettenti entrambe le questioni sono rilevanti, emergendo dagli atti che i redditi personali dei pensionati, imponibili ai fini dell’IRPEF, erano sia nel 1995 che nel 2000 superiori a quelli rispettivamente previsti, per l’integrale irripetibilità dell’indebito, dai commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge del 1996 e dai commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge del 2001.

3. – Il regime dell’indebito previdenziale, derogatorio dell’art. 2033 del codice civile, ha subito nel tempo una complessa evoluzione. Peraltro, per decidere i casi sottoposti ai rimettenti, interessa solo la disciplina delle prestazioni indebitamente erogate dall’INPS prima del 1° gennaio 1996.

La legislazione anteriore ai commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 considerava irripetibili le somme percepite in buona fede dal pensionato. In particolare, alla risalente disciplina posta dall’art. 80 del regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422, è seguita, in epoca più recente, quella dell’art. 52, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88, che ha escluso il recupero delle rate di pensione indebitamente erogate, salvo il caso del dolo del percettore. Al riguardo l’art. 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ha poi stabilito che la sanatoria prevista dal citato art. 52, comma 2, opera solo per le somme corrisposte in base a formale provvedimento definitivo (espressamente comunicato all’interessato) viziato da errore imputabile all’ente erogatore, salvo che la percezione sia dovuta a dolo dell’interessato, e che l’omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione consente la ripetizione delle somme indebitamente percepite.

Tale norma è stata però da questa Corte (sentenza n. 39 del 1993) definita non interpretativa, ma innovativa con efficacia retroattiva, ed è stata dichiarata incostituzionale nella parte in cui si applicava ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore, sotto il profilo che essa – innovando retroattivamente il regime degli indebiti previdenziali erogati nel vigore della legislazione precedente – aveva posto una disciplina peggiorativa per il percettore e leso il suo affidamento, «tanto più che erano colpiti pensionati a reddito non elevato»; e aveva trattato diversamente le situazioni ormai definite di irripetibilità per buona fede del percettore (art. 52 della legge n. 88 del 1989) e le situazioni ancora pendenti, soggette retroattivamente alle nuove regole più restrittive, pur se gli indebiti fossero stati erogati nella stessa epoca. Per effetto di tale sentenza, l’ambito di operatività della norma del 1991 si è ristretto ai soli indebiti erogati dopo la sua entrata in vigore.

4. – A questa disciplina a regime dell’indebito previdenziale, così evolutasi nel tempo, si è poi sovrapposta una disciplina eccezionale e transitoria.  

In particolare i commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, oggi impugnati, hanno dettato – secondo i principi, poi consolidati, affermati dalle Sezioni unite con la sentenza n. 2333 del 1997 – «una disciplina di carattere globalmente sostitutivo di quella previgente». Questa disciplina, transitoria e speciale, non si applica per il futuro (e perciò non innova il regime dell’indebito previdenziale posto, da ultimo, dall’art. 13 della legge n. 412 del 1991), ma regola esclusivamente gli indebiti già erogati dagli enti pubblici di previdenza obbligatoria prima del 1° gennaio 1996, collegando la loro irripetibilità o (limitata) ripetibilità alla sola misura del reddito imponibile ai fini dell’IRPEF nel 1995. E’ un criterio più semplice da gestire per gli enti previdenziali, rispetto a quello previsto dalla legislazione previgente che aveva creato non pochi problemi interpretativi, pur se è meno favorevole per i pensionati in quanto (come nelle fattispecie in esame) ha reso ripetibili indebiti erogati nel vigore di norme che ne garantivano l’irripetibilità.

Sono poi sopravvenuti i commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge n. 448 del  2001, in base ai quali l’indebito erogato dall’INPS anteriormente al 1° gennaio 2001 non è ripetibile se i percettori avevano nel 2000 un reddito personale, imponibile ai fini indicati, pari o inferiore a € 8.263,31 (corrispondenti, secondo il noto tasso di cambio, a 16 milioni di lire).

E’ sorto così il problema della disciplina applicabile agli indebiti anteriori al 1° gennaio 1996, variamente risolto dalla giurisprudenza di legittimità, a volte nel senso che il criterio reddituale del 2001 opera per tutti gli indebiti erogati prima del 1° gennaio 2000, e quindi anche per quelli anteriori al 1° gennaio 1996, e altre volte nel senso che quel criterio riguarda solo gli indebiti erogati bensì prima del 1° gennaio 2001, ma dopo il 1° gennaio 1996, onde quelli corrisposti prima di tale data restano soggetti alla disciplina del 1996.

Il contrasto è stato composto dalle Sezioni unite (sentenza n. 4809 del 2005), nel senso che ai fini della ripetibilità degli indebiti erogati prima del 1° gennaio 1996 rilevano entrambe le normative censurate: dapprima operano i commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, onde l’indebito è definitivamente irripetibile se il percettore della prestazione pensionistica abbia fruito nel 1995 di un reddito imponibile ai fini dell’IRPEF inferiore o pari a 16 milioni di lire; se tale soglia è superata operano i commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge n. 448 del 2001, per cui il recupero può ancora essere precluso se il reddito del 2000 sia stato inferiore o pari a € 8.263,31.

5. – In questo complesso quadro normativo, le questioni di costituzionalità di cui si discute devono essere esaminate con esclusivo riferimento alla disciplina degli indebiti che (come quelli di cui alle ordinanze di rimessione) siano stati erogati dall’INPS prima del 1° gennaio 1996: e quindi – anzitutto – ai commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge del 1996 e – in secondo luogo – ai commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge del 2001, nella parte in cui (secondo la citata sentenza delle Sezioni unite) formano sistema con i primi.

Per il resto del loro contenuto dispositivo – ossia per la parte in cui i citati commi 7 e 8 concernono indebiti erogati dopo il 1° gennaio 1996 – la questione di costituzionalità non si pone, poiché le fattispecie all’esame dei rimettenti riguardano indebiti anteriori a tale data.

6. – Le questioni di legittimità costituzionale non sono fondate.

I rimettenti chiedono in sostanza alla Corte un intervento caducatorio analogo a quello compiuto con la sentenza n. 39 del 1993, che ha dichiarato illegittimo l’art. 13, comma 1, della legge n. 412 del 1991, nella parte in cui estendeva le innovazioni introdotte in tema di ripetizione di indebito previdenziale ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore o pendenti a tale data.

Ma la fattispecie odierna è ben diversa da quella decisa dalla sentenza del 1993.

La legge del 1991, oggetto di quella sentenza, nel rendere più rigorosa per il percettore la disciplina a regime dell’indebito previdenziale, volendo uniformare la nuova regolamentazione, ne aveva previsto l’applicazione retroattiva. Invece il legislatore del 1996, come quello del 2001, non è intervenuto sulla disciplina a regime (che resta quella del citato art. 13 della legge n. 412 del 1991), ma si è limitato a introdurre una normativa speciale e derogatoria rivolta solo al passato.

Inoltre la normativa censurata non è, per il percettore, totalmente peggiorativa rispetto a quella previgente, perché prevede in ogni caso l’irripetibilità di un quarto della prestazione indebitamente percepita, onde – sotto questo profilo – è disciplina per lui più favorevole.

Infine la sentenza del 1993 ha posto in rilievo come la legge allora censurata colpisse pensionati a reddito non elevato; invece il criterio reddituale posto dalla normativa oggi in esame vale proprio a sottrarre i pensionati con reddito più basso alle pretese restitutorie dell’INPS.

7. – Al di là di tali differenze, nelle norme impugnate non è ravvisabile – come in quelle di cui alla sentenza del 1993 – una lesione, costituzionalmente rilevante, dell’affidamento dei percettori di prestazioni pensionistiche non dovute, con conseguente violazione del principio di eguaglianza.

L’affidamento dei cittadini nella stabilità della normativa vigente è tutelato come inderogabile precetto di rango costituzionale solo in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Per il resto norme retroattive sono ammissibili purché comportino una regolamentazione non manifestamente irragionevole (fra le altre, sentenza n. 419 del 2000), onde la retroattività può risultare giustificata proprio dalla sistematicità dell’intervento innovatore e dall’esigenza di uniformare il trattamento delle situazioni giuridiche pendenti e quello delle situazioni che si determineranno in futuro.

Nella specie poi si tratta dell’affidamento dei pensionati nell’irripetibilità di trattamenti pensionistici indebitamente percepiti in buona fede, ed esso è tanto più meritevole di tutela ove si tratti di pensionati a reddito non elevato che destinano le prestazioni pensionistiche, pur indebite, al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia. In tale affidamento questa Corte (sentenza n. 431 del 1993) ha individuato – alla luce dell’art. 38 Cost. – un principio di settore, che esclude la ripetizione se l’erogazione non dovuta, destinata a soddisfare essenziali esigenze di vita del pensionato, non sia a lui addebitabile.

Orbene è significativo che la normativa censurata (commi 260 e 261 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, integrati dai commi 7 e 8 dell’art. 38 della legge n. 448 del 2001, per la parte in cui, secondo l’interpretazione delle Sezioni unite, si applicano agli indebiti erogati prima del 1° gennaio 1996) attraverso il criterio reddituale garantisca l’irripetibilità di tali indebiti ai pensionati economicamente più deboli e – comunque – ne escluda la ripetibilità totale.

Inoltre le citate norme del 2001 – nella parte indicata – apprestano un’ulteriore tutela a quei pensionati con bassi redditi cui l’INPS abbia chiesto la ripetizione di indebiti anteriori al 1996: essi invero, pur se tenuti alla (parziale) restituzione perché titolari nel 1995 di redditi imponibili ai fini dell’IRPEF superiori ai 16 milioni di lire, possono ancora fruire dell’irripetibilità se nel 2000 quei redditi siano stati pari o inferiori a € 8.263,31.

D’altra parte la necessità costituzionale di proteggere, nei sensi indicati, l’affidamento del pensionato non implica di per sé una disciplina unica dell’indebito previdenziale; onde, al legislatore che si sia allontanato dal principio civilistico della totale ripetibilità dell’indebito oggettivo (art. 2033 cod. civ.) deve riconoscersi un ambito di discrezionalità nell’individuazione degli strumenti più idonei a garantire ai pensionati a basso reddito un congruo livello di tutela, in un generale quadro di compatibilità, e fra essi può ben essere annoverata la scelta di collegare la ripetibilità ad un criterio meramente reddituale. Inoltre la sostituzione del regime di tutela dell’affidamento del pensionato con un altro criterio, diverso ma parimenti orientato, seppur sotto certi aspetti meno favorevole, trova, con riferimento alla normativa censurata, sufficiente giustificatezza nel carattere straordinario ed eccezionale dell’intervento legislativo, diretto a porre ordine nella materia dell’indebito previdenziale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 260 e 261, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure per la razionalizzazione della finanza pubblica) e dell’art. 38, commi 7 e 8, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Roma e dal Tribunale di Viterbo con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2006.