Sentenza n. 465 del 2005

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SENTENZA N. 465

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                                   MARINI                       Presidente 

- Franco                                       BILE                               Giudice

- Giovanni Maria                         FLICK                                   "

- Francesco                                  AMIRANTE                          "

- Ugo                                           DE SIERVO                          "

- Romano                                    VACCARELLA                    "

- Paolo                                         MADDALENA                     "

- Alfonso                                     QUARANTA                        "

- Franco                                       GALLO                                 "

- Luigi                                         MAZZELLA                         "

- Gaetano                                    SILVESTRI                           "

ha pronunciato la seguente                                                

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 10 (Modifica alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 sull’organizzazione e sul personale della Regione e alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 sulla riorganizzazione della struttura amministrativa del Consiglio regionale), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 16 luglio 2004, depositato in cancelleria il 22 luglio 2004 ed iscritto al n. 70 del registro ricorsi 2004.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

 

udito nell’udienza pubblica del 25 ottobre 2005 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

 

uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.

 

Ritenuto in fatto

 

1. ¾ Con ricorso notificato in data 16 luglio 2004, depositato il successivo 22 luglio ed iscritto al n. 70 del registro ricorsi dell’anno 2004, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 97, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 10 (Modifica alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 sull’organizzazione e sul personale della Regione e alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 sulla riorganizzazione della struttura amministrativa del Consiglio regionale).

Le disposizioni impugnate prevedono che il personale dipendente dalla Regione, inquadrato ai sensi dell’articolo 20, undicesimo comma, della legge della Regione Marche 24 novembre 1979, n. 41 (Ristrutturazione organica e funzionale dell’Ente di sviluppo nelle Marche), anche se in quiescenza, purché avente determinati requisiti, possa avvalersi, a domanda, dei benefici dell’art. 86 della legge della Regione Marche 1° giugno 1980, n. 47 (Disposizioni sull’ordinamento dei livelli funzionali e sul trattamento giuridico ed economico dei dipendenti regionali) – norma, peraltro, abrogata dall’art. 42, comma 1, lettera l) della legge della Regione Marche 15 ottobre 2001, n. 20 (Norme in materia di organizzazione e di personale della Regione) – con l’effetto di essere inquadrato automaticamente «nel livello superiore a quello assegnato in sede di primo inquadramento».

L’originario inquadramento del personale destinatario delle disposizioni censurate è avvenuto ai sensi del citato art. 20, undicesimo comma, della legge della Regione Marche n. 41 del 1979, per il quale «il personale proveniente dalla associazione interregionale organismi cooperativi e dall’associazione provinciale allevatori in servizio presso l’ente da almeno tre anni, per un numero massimo di 6 unità può chiedere, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, di essere inquadrato nel ruolo unico dei dipendenti regionali. L’inquadramento è effettuato previa valutazione dei titoli e il superamento di un esame colloquio su materie previste da apposita deliberazione della giunta regionale, contenente anche le modalità e le condizioni di svolgimento dei concorsi».

Il ricorrente sostiene che le disposizioni censurate si pongano in contrasto con l’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione e con la consolidata giurisprudenza di questa Corte che, «per il conferimento di qualifiche superiori nel pubblico impiego, ritengono necessario, salva specifica motivata ragione di deroga, nella specie non sussistente, l’espletamento di un pubblico concorso, aperto anche a soggetti esterni all’amministrazione».

In particolare la difesa erariale richiama le sentenze n. 1 del 1999, n. 194 e n. 373 del 2002 e n. 274 del 2003, nelle quali si è affermato che «il pubblico concorso in quanto metodo che offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci è un meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell’amministrazione, il quale può dirsi pienamente rispettato qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizioni dei soggetti legittimati a parteciparvi».

Il Presidente del Consiglio dei ministri prospetta poi, sotto diverso profilo, la incostituzionalità delle disposizioni impugnate, sostenendo l’irragionevolezza delle stesse (art. 3, primo comma, della Costituzione) in quanto, attraverso un uso abnorme della efficacia retroattiva di una norma abrogata, esse mettono in discussione un procedimento di inquadramento oramai del tutto esaurito, senza che sia possibile cogliere alcun motivato fondamento per la particolare scelta del legislatore regionale.

Il ricorrente chiede, pertanto, la declaratoria di incostituzionalità della legge regionale impugnata.

2. ¾ Si è costituita in giudizio la Regione Marche chiedendo che la questione venga dichiarata infondata.

In primo luogo la resistente ricorda di avere competenza legislativa esclusiva sulla materia dello stato giuridico ed economico del personale della Regione e degli enti regionali.

In secondo luogo la Regione richiama le sentenze n. 1 del 1999, n. 373 del 2002 e n. 274 del 2003 di questa Corte, rilevando come essa riconosca la derogabilità della regola del pubblico concorso nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione, ed il cui vaglio di costituzionalità non può che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore.

Nel caso di specie, secondo la resistente, le disposizioni impugnate, di natura transitoria, si giustificherebbero in base a esigenze specifiche ed eccezionali legate alla riorganizzazione delle strutture amministrative regionali. Si intenderebbe, in particolare, stabilizzare determinate e specifiche esperienze professionali già acquisite all’interno della struttura regionale e reclutate, a suo tempo, a seguito di esame colloquio su materie previste da apposita deliberazione della giunta.

La resistente sottolinea, infine, come il passaggio alle fasce superiori non sia automatico (l’articolo 4, comma 2, prevede infatti che i dipendenti inquadrati «possono usufruire dei benefici ...»), ma presupponga una verifica del possesso dei requisiti richiesti per l’attribuzione della qualifica superiore (come richiesto dalla sentenza n. 320 del 1997 di questa Corte, che si richiama ad una «valutazione congrua e razionale dell’attività pregressa del dipendente, diretta ad accertare che egli sia in possesso dei requisiti necessari»).

3. ¾ In prossimità dell’udienza pubblica la Regione Marche ha depositato una memoria nella quale sviluppa ulteriori argomentazioni a sostegno della prospettata infondatezza della questione.

3.1. ¾ La resistente richiama anzitutto le sentenze n. 190 del 2005, n. 205 e n. 34 del 2004 e n. 373 del 2002 di questa Corte.

La Regione sostiene, in particolare, che la sentenza n. 190 del 2005 lascerebbe presumere che il criterio della valorizzazione delle specifiche professionalità acquisite nell’amministrazione sarebbe valida ragione giustificatrice della deroga al principio sancito dall’art. 97, terzo comma, della Costituzione qualora il personale, proveniente da strutture pubbliche, sia stato a suo tempo reclutato tramite pubblico concorso. Circostanza che ricorrerebbe, nel caso di specie, riferendosi la norma a personale di un ente pubblico (Ente di sviluppo nelle Marche) transitato nei ruoli dell’amministrazione regionale previa valutazione dei titoli e il superamento di un esame colloquio (articolo 20, undicesimo comma, della legge della Regione Marche n. 41 del 1979).

La resistente rileva, inoltre, che la deroga al principio del pubblico concorso sarebbe stata ammessa da questa Corte anche per il passaggio all’inquadramento superiore «essendo rimessa al legislatore un’ampia discrezionalità nella scelta dei sistemi e delle procedure di progressione in carriera dei pubblici dipendenti» (sentenza n. 373 del 2002).

3.2. ¾ Nel ribadire la propria competenza legislativa esclusiva in materia di organizzazione amministrativa dei propri uffici, la Regione Marche mette infine in evidenza come esuli dal giudizio di costituzionalità la valutazione dell’iter logico e fattuale della normativa impugnata consistendo questo in un apprezzamento esterno delle scelte legislative, che riguarda la palese arbitrarietà o la manifesta irragionevolezza della disciplina denunciata (cfr. sentenza n. 446 del 1994).

La resistente insiste, altresì, sul fatto che la progressione in carriera dei dipendenti cui si riferiscono le norme impugnate avverrebbe previa verifica del possesso dei requisiti richiesti per la attribuzione della qualifica superiore, in coerenza con quanto affermato dalla sentenza n. 159 del 2005 di questa Corte e, pertanto, in conformità al principio di buon andamento dei pubblici uffici «che può tollerare o, addirittura, esigere eccezioni al concorso».

 

Considerato in diritto

 

1. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 97, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 10 (Modifica alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 sull’organizzazione e sul personale della Regione e alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 sulla riorganizzazione della struttura amministrativa del Consiglio regionale).

1.1.  ¾ Nel ricorso si rileva che le norme impugnate prevedono che il personale dipendente dalla Regione inquadrato ai sensi dell’articolo 20, undicesimo comma, della legge della Regione Marche 24 novembre 1979, n. 41 (Ristrutturazione organica e funzionale dell’Ente di sviluppo nelle Marche), anche se in quiescenza, purché avente determinati requisiti, possa avvalersi, a domanda, dei benefici dell’art. 86 della legge della Regione Marche 1° giugno 1980, n. 47 (Disposizioni sull’ordinamento dei livelli funzionali e sul trattamento giuridico ed economico dei dipendenti regionali) – norma, peraltro, abrogata dall’art. 42, comma 1, lettera l), della legge della Regione Marche 15 ottobre 2001, n. 20, in sede di riordino normativo in materia di organizzazione e di personale della Regione – con l’effetto di essere inquadrato automaticamente «nel livello superiore a quello assegnato in sede di primo inquadramento».

1.2. ¾ Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che le disposizioni censurate si pongano in contrasto con l’art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione e con la consolidata giurisprudenza di questa Corte che, per il conferimento di qualifiche superiori nel pubblico impiego, ritiene necessario, salva specifica motivata ragione di deroga, nella specie non sussistente, l’espletamento di un pubblico concorso, aperto anche a soggetti esterni all’amministrazione. Il medesimo ricorrente afferma poi che le norme in questione contrasterebbero con il principio di ragionevolezza sancito dall’art. 3, primo comma, della Costituzione, perché esse, attraverso un uso abnorme dell’efficacia retroattiva di una norma abrogata, metterebbero in discussione un procedimento del tutto esaurito, senza che sia possibile cogliere un motivato fondamento per questa particolare scelta del legislatore regionale.

2. ¾ Il ricorso è fondato.

2.1. ¾ Le norme impugnate, riferite ad una bene individuata categoria di dipendenti regionali, estendono espressamente agli stessi i benefici già previsti dall’abrogato art. 86 della legge n. 47 del 1980 e, pertanto, l’inquadramento nel livello immediatamente superiore a quello spettante, con decorrenza dal 1° ottobre 1978.

Il richiamato art. 86 subordinava, peraltro, tale passaggio di livello al superamento di un concorso speciale, per soli titoli, cui era “consentito” l’accesso a varie categorie di dipendenti in presenza di determinati requisiti.

L’impugnato art. 4, commi 2 e 3, della legge n. 10 del 2004 della Regione Marche prevede, di contro, che tale passaggio «nel livello superiore a quello assegnato in sede di primo inquadramento» avvenga automaticamente, a richiesta degli aventi diritto tenuti unicamente a presentare domanda nel termine di decadenza di giorni trenta.

In questo senso le norme impugnate, piuttosto che riproporre l’originaria previsione di un concorso speciale per soli interni, realizzano un reinquadramento ope legis di una ristrettissima categoria di dipendenti.

2.2. ¾ Tale disciplina, che determina in pratica un automatico e generalizzato scivolamento di soggetti precisamente individuati verso la qualifica superiore, è in evidente contrasto con il principio costituzionale del pubblico concorso e con la consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr. sentenza n. 159 del 2005). Né, d’altro canto, sussistono quelle peculiari situazioni che giustificano la deroga al principio stesso.

3. ¾ Le argomentazioni sviluppate al riguardo dalla resistente Regione Marche, tese a dimostrare la non manifesta irragionevolezza della disciplina censurata, sono, peraltro, infondate.

3.1. ¾ Va anzitutto escluso che si tratti di norme transitorie, come invece sostiene la difesa regionale, facendo leva anche sulla rubrica dell’articolo impugnato.

Premesso che tale eventuale natura delle norme impugnate sarebbe irrilevante ai fini che qui interessano, deve comunque osservarsi che l’oggetto delle disposizioni non è una regolamentazione transitoria di rapporti bensì una disciplina definitiva di situazioni puntuali.

3.2. ¾ Va parimenti escluso che le norme censurate possano giustificarsi in base a «esigenze specifiche ed eccezionali, legate alla riorganizzazione delle strutture amministrative regionali». A parte il fatto che le norme impugnate si rinvengono in un intervento legislativo che non ha ad oggetto una riorganizzazione del servizio (la quale potrebbe giustificare l’utilizzazione di pregresse esperienze professionali), basta rilevare che esse si riferiscono anche a personale in quiescenza, in relazione al quale non è evidentemente invocabile alcuna eccezionale esigenza di riorganizzazione, ovvero a personale già in servizio e, come tale, legato da stabile rapporto di dipendenza con l’Amministrazione regionale. Né, del resto, l’originaria selezione concorsuale può valere di per sé a legittimare una progressione ope legis di ristrette ed individuate categorie di dipendenti.

3.3. ¾ Neppure ha fondamento la tesi della Regione resistente, secondo la quale le norme impugnate, nel prevedere che i dipendenti interessati «possono usufruire» dei benefici in questione, escluderebbero un effetto automatico di avanzamento, subordinerebbero la progressione ad una previa verifica del possesso dei requisiti richiesti per l’attribuzione della qualifica superiore e sarebbero, in tal senso, conformi al principio del pubblico concorso.

Questa interpretazione delle norme è insostenibile a fronte del chiaro disposto normativo, che prevede l’inquadramento nel livello superiore quale conseguenza automatica della domanda degli aventi diritto (e non dei vincitori di concorso) e che estende a questi i benefici dell’art. 86 della legge n. 47 del 1980 della Regione Marche (ma non la procedura di attribuzione degli stessi).

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, commi 2 e 3, della legge della Regione Marche 13 maggio 2004, n. 10 (Modifica alla legge regionale 15 ottobre 2001, n. 20 sull’organizzazione e sul personale della Regione e alla legge regionale 30 giugno 2003, n. 14 sulla riorganizzazione della struttura amministrativa del Consiglio regionale).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Paolo MADDALENA, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2005.