Ordinanza n. 452 del 2005

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ORDINANZA N. 452

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                 MARINI                                            Presidente

- Giovanni Maria      FLICK                                               Giudice

- Francesco               AMIRANTE                                            "

- Ugo                        DE SIERVO                                            "

- Romano                  VACCARELLA                                      "

- Paolo                      MADDALENA                                       "

- Alfio                       FINOCCHIARO                                     "

- Alfonso                  QUARANTA                                          "

- Franco                    GALLO                                                   "

- Luigi                       MAZZELLA                                           "

- Gaetano                  SILVESTRI                                             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 415-bis, 416, comma 1, e 418 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 30 dicembre 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, nel procedimento penale a carico di N.P. ed altri, iscritta al n. 1043 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale dell’anno 2005.

Udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che – con ordinanza del 30 dicembre 2002, pervenuta a questa Corte il 6 dicembre 2004 – il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, del combinato disposto degli artt. 415-bis e 416, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non esplicitano, rispettivamente, l’obbligo, a carico del pubblico ministero, di non esercitare l’azione penale mediante deposito della richiesta di rinvio a giudizio prima del compiuto decorso del termine di venti giorni di effettivo ed integrale deposito degli atti di indagine espletati (ivi compresi quelli acquisiti da altro procedimento) e la sanzione di nullità (a regime intermedio) per la inadempienza»;  b) in relazione agli artt. 3, 111, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 418 cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevede, e quindi preclude, il preliminare vaglio di validità, diretta o derivata, della richiesta di rinvio a giudizio»; c) infine, in relazione ai medesimi parametri da ultimo evocati, del medesimo art. 418 cod. proc. pen., «nella parte in cui, posta la validità formale della richiesta, non consente, e dunque preclude, il vaglio di preliminare ammissibilità della richiesta di rinvio a giudizio»;

che il giudice rimettente premette che – in esito a richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti di numerosi imputati per reati di criminalità organizzata e fissata l’udienza preliminare – era stata dichiarata, nel corso di tale udienza, la nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e, quindi, della medesima richiesta di rinvio a giudizio, a causa dell’omesso deposito integrale di atti pertinenti ad intercettazioni telefoniche, espletate in altro procedimento connesso ed acquisite;

che, restituiti di conseguenza gli atti all’organo inquirente, questi aveva, per un verso, proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in questione e, per altro verso, acquisito immediatamente i fascicoli documentanti le suddette attività di intercettazione; nella medesima data (il 12 dicembre 2002), il pubblico ministero aveva provveduto ad avvisare sia i difensori del deposito dei citati documenti, sia essi e gli indagati, ai sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen., della nuova conclusione delle indagini preliminari e della conseguente facoltà – entro il termine di venti giorni dalla notifica – di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione di indagine difensiva, chiedere il compimento di atti di indagine o chiedere l’interrogatorio;

che, tuttavia, nella stessa data – prosegue il giudice a quo – il pubblico ministero, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. pen., aveva invitato le persone sottoposte ad indagine a presentarsi per rendere interrogatorio, fissando, per l’assunzione dell’atto, la data del successivo 18 dicembre 2002;

che, infine, in data 20 dicembre 2002 – prima della scadenza del termine di venti giorni per il deposito degli atti ex art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. – l’organo inquirente aveva inoltrato ulteriore richiesta di rinvio a giudizio;

che, enunciate tali premesse in fatto, il rimettente avanza un primo dubbio di legittimità costituzionale  relativo al combinato disposto degli artt. 415-bis e 416 cod. proc. pen., lamentando che l’art. 416 cod. proc. pen. mentre condiziona la validità della richiesta di rinvio a giudizio all’avvenuto inoltro dell’avviso di conclusione delle indagini ed all’espletamento dell’interrogatorio dell’indagato, se da costui richiesto, comminando la sanzione della nullità «speciale ed a regime intermedio» – non subordina, invece, in alcun modo la validità della richiesta stessa al suo inoltro «dopo la scadenza del termine di deposito degli atti»;

che – poiché «il diritto vivente è nel senso che la prescrizione sanzionatoria di cui all’art. 416 abbia natura speciale e tassativa, non estensibile alle situazioni non descritte e non previste» – non sarebbe sanzionata da nullità processuale la condotta del pubblico ministero il quale, notificato l’avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen., inoltri al giudice la richiesta di rinvio a giudizio prima della scadenza del termine  fissato nell’avviso suddetto;

che, in particolare, tale omessa previsione contrasterebbe – ad avviso del giudice a quo – con il principio di ragionevolezza espresso nell’art. 3 della Costituzione, anche «in considerazione della natura dilatoria del termine» e del regime processuale che la legge garantisce «in situazioni analoghe», quali quelle contemplate dall’art. 108 cod. proc. pen., in tema di termine per la difesa, e dall’art. 429, comma 3, cod. proc. pen. in tema di termine per comparire;

che sarebbe altresì leso il principio di effettività della difesa, inteso quale diritto ad esercitare le prerogative difensive «nel pieno rispetto del periodo prescritto dalla legge», con violazione dell’art. 24, secondo comma, Cost.;

che, a parere del rimettente, la questione, oltre che non manifestamente infondata, risulta rilevante, in relazione alla patologia da cui è affetta la richiesta avanzata dall’organo dell’accusa;

che, inoltre, il giudice a quo dubita della compatibilità costituzionale dell’art. 418 cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevede, e quindi preclude, il preliminare vaglio di validità, diretta o derivata, della richiesta di rinvio a giudizio»;

che, in particolare, il rimettente muove dall’asserto interpretativo secondo cui, in presenza di una richiesta di rinvio a giudizio, è obbligatoria per il giudice la fissazione dell’udienza preliminare; e rileva come la norma censurata – non consentendo al giudice alcun preliminare controllo giurisdizionale della validità della richiesta di rinvio a giudizio ed, anzi, obbligandolo alla fissazione dell’udienza anche in presenza di vizi evidenti della richiesta medesima – si ponga in contrasto con una serie di parametri costituzionali;

che sarebbe infatti violato il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., risultando in contrasto con ogni criterio di economia processuale la fissazione di un’udienza «inutile, quanto dispendiosa», destinata solo a rilevare una nullità;

che, inoltre, contrasterebbe con il principio di ragionevolezza, in violazione dell’art. 3 Cost., l’obbligo di fissazione dell’udienza «in presenza di un atto nullo», trattandosi, peraltro, di una patologia rilevabile d’ufficio, la cui immediata declaratoria, da parte del giudice, pare irragionevole impedire;

che, ancora, la norma censurata violerebbe il principio di subordinazione del giudice solo alla legge, di cui all’art. 101, secondo comma, Cost., in quanto il giudice «sarebbe inevitabilmente condizionato da abnormi iniziative di parte»;

che la questione sarebbe rilevante in ragione della doverosa fissazione dell’ udienza preliminare, in esito al deposito della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero;

che, infine, il giudice rimettente denuncia l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 418 cod. proc. pen. nella parte in cui tale norma, posta la validità formale della richiesta, «non consente, e dunque preclude, il vaglio di preliminare ammissibilità  della richiesta di rinvio a giudizio»;

che – muovendo dal presupposto che la richiesta di rinvio a giudizio «è una domanda ed introduce la fase processuale» e, dunque, «ne va verificata l’ammissibilità» – il rimettente lamenta, alla luce del “diritto vivente”, la carenza del potere di delibazione preliminare di ammissibilità della richiesta, specie quando quest’ultima sia stata avanzata, come nella specie, nonostante l’evidente consunzione del potere di azione da parte dell’organo dell’accusa;

che la norma violerebbe, innanzitutto, il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; essa risulterebbe altresì in contrasto con il principio di durata ragionevole del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., per l’ inutile protrazione del processo; infine, sarebbe eluso il principio della soggezione del giudice solo alla legge, espresso dall’art. 101, secondo comma, Cost., per l’inevitabile condizionamento esercitato sul giudice, a parere del rimettente, «da abnormi iniziative di parte».

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro solleva tre questioni di legittimità costituzionale: nella prima deduce, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 415-bis e 416, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui tali norme «non esplicitano», rispettivamente, né l’obbligo, a carico del pubblico ministero, di non esercitare l’azione penale mediante deposito della richiesta di rinvio a giudizio prima del compiuto decorso del termine di venti giorni di effettivo ed integrale deposito degli atti di indagine espletati, né la sanzione di nullità per la inadempienza;

che, ad avviso del rimettente, la denunziata omissione normativa risulterebbe assolutamente irragionevole in considerazione della «natura dilatoria del termine»; e, comunque, lesiva, per l’indagato, del diritto di difesa, inteso come diritto ad esercitare le relative prerogative nell’intero periodo prescritto per il deposito degli atti di indagine e fissato in venti giorni dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, a norma dell’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen.;

che, in proposito, il rimettente muove dall’asserita esistenza di un “diritto vivente”, in forza del quale non risulterebbe configurabile alcuna nullità per l’ipotesi di richiesta di rinvio a giudizio inoltrata dall’organo dell’accusa prima del compimento effettivo del citato termine di deposito degli atti;

che, per contro, è agevole rilevare come tale presupposto – del quale il rimettente postula assoluta e costante uniformità interpretativa – appaia smentito tanto dall’esistenza di diverse, contrarie soluzioni della giurisprudenza di merito, quanto dai principî generali affermati dalla giurisprudenza di legittimità, in ordine agli effetti della violazione del termine minimo di comparizione dell’imputato: termine da ritenersi – al pari di quello stabilito nel comma 3 dell’art. 415-bis, cod. proc. pen. – preordinato all’esercizio del diritto di difesa;

che, dunque, il giudice a quo – pure avanzando a questa Corte richiesta di un intervento additivo – non cura preventivamente di analizzare un profilo decisivo della quaestio iuris posta al suo esame: se, cioè, il mancato rispetto del termine di legge per il deposito degli atti da parte del pubblico ministero, prima dell’inoltro della richiesta di rinvio a giudizio, possa o meno integrare una nullità di ordine generale a regime intermedio, riguardante «l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato», ai sensi dell’art. 178, lettera c), cod. proc. pen.;

che, infatti, solo dopo la ritenuta esclusione di tale evenienza interpretativa, la proposizione dell’odierno dubbio di costituzionalità assumerebbe concreta rilevanza; per contro, il rimettente, tralasciando una indispensabile ricognizione tesa a verificare la possibilità di un diverso approdo ermeneutico della norma denunciata, ha omesso la ricerca di una sua lettura costituzionalmente orientata: così mostrando di rinunciare al doveroso esercizio di «tutti i poteri interpretativi che la legge gli riconosce» (cfr. ordinanza n. 361 del 2005) per la verifica di ogni possibile diversa soluzione, conforme a Costituzione, prima di sollevare la relativa questione;

che, pertanto, tale questione si palesa manifestamente inammissibile;

che, il giudice a quo solleva altresì, in relazione agli artt. 3, 111, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 418 cod. proc. pen., nella parte in cui tale norma non prevede – così precludendolo – il «preliminare vaglio di validità, diretta o derivata, della richiesta di rinvio a giudizio»; nonché, in riferimento agli stessi parametri, altra questione di legittimità costituzionale della medesima norma nella parte in cui, pur in presenza di una richiesta di rinvio a giudizio formalmente valida – ma, nella specie, inammissibile, giacché «nel caso in esame il pubblico ministero non ha il potere di azione» – essa «non consente, e dunque preclude, il vaglio di preliminare ammissibilità» della richiesta medesima;

che, in particolare, il rimettente denunzia, per un verso, l’irragionevolezza della obbligatoria fissazione dell’udienza preliminare pur in presenza di una richiesta di rinvio a giudizio affetta da nullità rilevabile d’ufficio; e, per altro verso, sia la violazione del principio di ragionevole durata del processo  – conseguente alla fissazione di una udienza destinata solo a rilevare una nullità – sia l’elusione del principio di soggezione del giudice solo alla legge, risultando impedita la declaratoria immediata di tali patologie in capo al giudice, «inevitabilmente condizionato», in conseguenza, da «abnormi iniziative di parte»;

che, in proposito, va evidenziato come al fondo della scelta legislativa della necessaria fissazione dell’udienza preliminare in esito all’inoltro della richiesta di rinvio a giudizio – ancorché ritenuta nulla o inammissibile – sta l’evidente intento di valorizzare la garanzia del contraddittorio attraverso la doverosa celebrazione dell’udienza: con un meccanismo processuale che risulta espressione di una discrezionalità legislativa – profilo, questo, già in sé dirimente ai fini della soluzione del quesito scrutinato – esercitata in piena rispondenza ai canoni di coerenza e ragionevolezza;

che, invero, – come evidenziato di recente anche dalla giurisprudenza di legittimità in analogo ambito – in esito alla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio il giudice è tenuto a dare impulso al rito tipico della fase in corso, che è quello dell’udienza preliminare: epilogo, questo, che – lungi dal potersi qualificare come superfluo o diseconomico, secondo le deduzioni del rimettente – impedisce, in realtà, ogni compressione del contraddittorio, inteso, anche quale “diritto delle parti all’ascolto” e, dunque, come possibilità di consentire la discussione in sede di udienza, pure in ordine al profilo di evidente nullità;

che, in tale prospettiva, si rivelano manifestamente insussistenti le dedotte violazioni;

che, infatti, non sussiste il contrasto con l’art. 3 della Costituzione, poiché il dispositivo normativo denunziato appare scelta effettuata dal legislatore nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti;

che è altresì insussistente la ritenuta violazione dell’art. 111 della Costituzione, poiché il meccanismo invocato in via additiva dal rimettente, oltre a non costituire scelta costituzionalmente obbligata, non può ritenersi soluzione destinata a produrre sempre e comunque effetti acceleratori, comportando infatti, in ogni caso, un epilogo regressivo del procedimento, a prescindere dai diversi esiti suscettibili di derivare dal contraddittorio; non senza considerare che, per altro verso, la lesione al principio di ragionevole durata del processo risulta dedotta dal rimettente non già quale conseguenza astratta e generale della norma impugnata, quanto in ragione della peculiare situazione processuale della fattispecie al suo esame;

che, infine, è parimenti privo di fondamento il dubbio di costituzionalità avanzato in relazione all’art. 101 della Costituzione, posto che il meccanismo processuale da cui è imposta la fissazione dell’udienza preliminare, lungi dall’implicare elusione del principio di soggezione del giudice solo alla legge, ne risulta concreta espressione, attivando pienamente l’esercizio della funzione giurisdizionale nell’ambito dell’udienza;

che l’ulteriore dubbio di illegittimità costituzionale – prospettato dal giudice a quo, in relazione ai medesimi parametri della Carta fondamentale così come sopra dedotti, sullo stesso art. 418 cod. proc. pen., nella parte in cui «non consente, e dunque preclude, il vaglio di preliminare  ammissibilità della richiesta di rinvio a giudizio», seppure formalmente valida – si rivela manifestamente infondato alla luce delle medesime argomentazioni sopra svolte;

che, pertanto, la questione proposta si palesa manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

1) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 415-bis e 416, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con l’ordinanza in epigrafe;

2) la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionali dell’art. 418 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2005.

Annibale MARINI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 dicembre 2005.