Sentenza n. 442 del 2005

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SENTENZA N. 442

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale            MARINI                  Presidente

- Franco               BILE                        Giudice

- Giovanni Maria FLICK                     “

- Francesco          AMIRANTE            “

- Ugo                   DE SIERVO            “

- Romano             VACCARELLA      “

- Paolo                 MADDALENA       “

- Alfio                  FINOCCHIARO     “

- Alfonso             QUARANTA           “

- Franco               GALLO                    “

- Luigi                  MAZZELLA            “

- Gaetano             SILVESTRI             “

- Sabino               CASSESE                “

- Maria Rita         SAULLE                  “

- Giuseppe           TESAURO               “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 36, primo comma, XX cpv., legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) e dell’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 339 (Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato), promosso con ordinanza del 2 settembre 2004 dal Tribunale amm. Regionale della Liguria sul ricorso proposto da De Paoli Maurizio contro il Ministero della difesa iscritta al n. 1008 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di costituzione di De Paoli Maurizio;

udito nell’udienza pubblica del 15 novembre 2005 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

udito l’avv. Stefano Betti per De Paoli Maurizio.

Ritenuto in fatto

  Con ordinanza del 18 marzo 1999 il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 4, 32, 36, 38 e 97 della Costituzione - degli artt. 36, primo comma, cpv. XX, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) e dell’art. 2 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 339 (Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato) «nella parte in cui non prevedono l’applicazione della normativa ivi contemplata al personale dei ruoli dell’Arma dei Carabinieri e/o limitano l’applicazione delle norme soltanto al personale della Polizia di Stato».

  Nel giudizio principale erano stati impugnati i provvedimenti del Ministero della difesa che, pur avendo ritenuto un militare dell’Arma dei carabinieri permanentemente non idoneo al servizio a causa di lesioni riportate al di fuori di esso, avevano rigettato la sua domanda di transito nei ruoli del personale civile del ministero.

  Ad avviso del Tribunale, le numerose disposizioni della legge n. 121 del 1981 e quelle successive della legge 6 marzo 1992 n. 216 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, recante autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 277 del 12 giugno 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di polizia. Delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia e del personale delle Forze armate nonché per il riordino delle relative carriere, attribuzioni e trattamenti economici) dimostrano che il legislatore ha voluto ritenere il rapporto di impiego degli appartenenti alle diverse forze di polizia come caratterizzato da elementi di identità. Ne consegue - sempre secondo il giudice a quo - che la limitazione ai soli dipendenti della Polizia di Stato della facoltà di transitare in ruoli diversi da quelli di appartenenza, realizza, da una parte, un’ingiustificata disparità di trattamento e, dall’altra, una disfunzione nell’organizzazione di uffici preposti alla cura degli stessi interessi, oltre ad un vulnus ai principî posti a tutela del lavoro e della salute.

  Successivamente alla ordinanza di rimessione, è entrata in vigore la legge 28 luglio 1999, n. 266 (Delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell’Amministrazione penitenziaria e per il personale del Consiglio Superiore della Magistratura), il cui art. 14, comma 5, stabilisce che «il personale delle Forze armate, incluso quello dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di finanza giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato, per effetto di lesioni dipendenti, o meno, da causa di servizio, transita nelle qualifiche funzionali del personale civile del Ministero della difesa e, per la Guardia di finanza, del personale civile del Ministero delle finanze, secondo modalità e procedure analoghe a quelle previste dal decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 339» relativo alle forze di Polizia.

  Con ordinanza n. 589 del 2000 questa Corte disponeva la restituzione degli atti al rimettente per consentirgli l’esame della legge sopravvenuta.

  Riassunta la causa davanti al medesimo Tribunale amministrativo, il ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento prot. n. 0022053 del Ministero della difesa emesso in data 27 marzo 2003, con il quale era stata respinta la sua domanda di transito nei ruoli civili per essere stato dichiarato non idoneo al servizio militare in data (29 novembre 1997) anteriore all’entrata in vigore della legge sopravvenuta. 

  Con ordinanza del 2 settembre 2004, il TAR della Liguria, ha riproposto la medesima questione di legittimità costituzionale, osservando che la nuova normativa - pur rivolta a rimuovere la disparità di trattamento già denunciata con la precedente ordinanza del 1999 - non è applicabile alla fattispecie in esame. E ciò sia perché l’irretroattività costituisce regola generale ai sensi dell’art. 11 delle preleggi al codice civile, sia perché la stessa normativa di attuazione contenuta nel decreto ministeriale 18 aprile 2002 (Transito di personale delle Forze armate e dell’Arma dei Carabinieri giudicato non idoneo al servizio militare incondizionato per lesioni dipendenti o non da causa di servizio nelle aree funzionali del personale civile del Ministero della difesa, ai sensi dell’art. 14, comma 5, della l. 28 luglio 1999, n. 266) si limita a prendere in esame le ipotesi del personale giudicato non idoneo al servizio militare nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della stessa legge n. 266 del 1999 e l’adozione del decreto ministeriale, lasciando fuori della nuova disciplina tutte le ipotesi anteriori.

  Secondo il rimettente, del resto, nessun rilievo in senso contrario può essere attribuito al successivo comma 2 dell’art. 3 del citato decreto ministeriale concernente la salvezza delle domande già presentate e la relativa decorrenza del termine di risposta. La citata norma, infatti, sia perché integrativa della previsione precedente relativa al termine di presentazione della domanda, sia perché norma di attuazione, non può dirsi in grado, di per sé, di estendere l’ambito di applicabilità della legge da attuare, tanto più nel caso de quo, in cui era già intervenuto un giudizio negativo risalente ad oltre quattro anni prima.

  Nel giudizio innanzi la Corte si è costituita la parte privata la quale ha insistito per l’accoglimento della questione, osservando che, a fronte dell’identità di funzioni (assolvimento di servizi di polizia) affidate sia agli appartenenti all’Arma dei carabinieri che alla Polizia di Stato - identità riconosciuta anche dalla sentenza di questa Corte n. 277 del 1991 - la diversa disciplina derivante dalla norma impugnata si traduce in un trattamento discriminatorio.

  Del resto, a giudizio della parte, la legge n. 266 del 1999, sebbene non applicabile al caso del ricorrente, testimonierebbe de facto che lo stesso legislatore ha condiviso l’illegittima disparità di trattamento denunciata dal ricorrente, senza, peraltro, superare l’incostituzionalità della normativa denunciata, nulla disponendo per il passato.

  Non è intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria dubita - in riferimento agli artt. 3, 4, 32, 36, 38 e 97 della Costituzione - della legittimità costituzionale dell’art. 36, primo comma, cpv. XX, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) e dell’art. 2 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 339 (Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato)

La prima delle due norme impugnate - compresa nella legge di delega n. 121 del 1981 recante i principî e criteri per il Governo in vista dell’emanazione dei decreti delegati concernenti la disciplina dell’ordinamento del personale della pubblica sicurezza - dispone, tra l’altro, che tali decreti avrebbero dovuto avere ad oggetto la «determinazione delle modalità, in relazione a particolari infermità o al grado di idoneità all’assolvimento dei servizi di polizia, per il passaggio del personale, per esigenze di servizio o a domanda, ad equivalenti qualifiche di altri ruoli dell’amministrazione della pubblica sicurezza  o di altre amministrazioni dello Stato, salvaguardando i diritti e le posizioni del personale appartenente a questi ultimi ruoli».

  L’ art. 2 del d.P.R.  n. 339 del 1982  stabilisce:

  «il personale dei ruoli della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia che abbia riportato un’invalidità non dipendente da causa di servizio, che non comporti l’inidoneità assoluta ai compiti di istituto, può essere, a domanda, trasferito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli della Polizia di Stato o di altre amministrazioni dello Stato, ovvero, per esigenze di servizio, d’ufficio nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli della Polizia di Stato, sempreché l’infermità accertata ne  consenta l’ulteriore impiego».

  Il rimettente, premesso che l’insieme delle disposizioni contenute nella legge n. 121 del 1981 e nella legge 6 marzo 1992, n. 216 dimostra l’esistenza di elementi di identità nella disciplina dei rapporti di impiego degli appartenenti alle diverse forze di polizia, sostiene che la limitazione ai soli dipendenti della Polizia di Stato della facoltà di transitare in ruoli diversi da quelli di appartenenza, realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.). Il rimettente deduce - senza peraltro argomentare - ulteriori violazioni di principî costituzionali (artt. 4, 32, 36, 38 e 97 Cost.).

L’assenza di motivazione su tali ultimi parametri esonera la Corte da ogni valutazione in merito.

  La questione è certamente rilevante in quanto - attesa l’irretroattività della nuova disciplina contenuta nella legge n. 266 del 1999 - la domanda del ricorrente potrebbe essere accolta esclusivamente qualora sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate nella parte in cui limitano il beneficio solo al personale della Polizia di Stato, e non lo estendono anche al personale dell’Arma dei carabinieri che si trovi nelle medesime condizioni di inidoneità.

2. - La questione non è fondata.

  Occorre premettere che la legge n. 121 del 1981, come emerge dal tenore testuale della sua intestazione, riguarda specificamente il «Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza» e che, in particolare, l’art. 36 impugnato si riferisce espressamente all’«ordinamento del personale» della medesima Amministrazione.

Ora, se è vero che l’art. 16 della stessa legge prevede che «ai fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre alla polizia di Stato sono forze di polizia l’Arma dei carabinieri, quale forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza», è altrettanto vero che la norma aggiunge un inciso - «fermi restando i rispettivi ordinamenti e dipendenze» - che tiene distinte le attività funzionali dagli aspetti di inquadramento e di status.

Questa Corte (ordinanza n. 324 del 1993) nel collaudare la legittimità costituzionale degli artt. 16 e 36 appena citati - in una controversia riguardante la pretesa di alcuni appuntati della Guardia di finanza di ottenere una pronuncia additiva che consentisse loro il passaggio da un ruolo (degli appuntati) ad un altro (dei sottufficiali) - ha precisato che tale domanda veniva ad incidere in una materia, quella della collocazione e della progressione in carriera dei dipendenti pubblici, per la quale era stata più volte riconosciuta «un’ampia discrezionalità al legislatore (sentenze numeri 219 del 1993, 964 del 1988, 524 del 1987, 99 del 1986 e 81 del 1983), nella specie non irragionevolmente esercitata in relazione alla specificità del mutamento ordinamentale della Polizia di Stato».

  Secondo la medesima ordinanza, la legge n. 121 del 1981, «pur avendo normativamente unificato dal punto di vista funzionale le forze di polizia […] in ragione della specificità del servizio, cui tutte sono destinate, il che giustifica l’attribuzione del trattamento economico stabilito con riferimento a quelle funzioni e secondo le medesime modalità (ord. n. 91 del 1993) - ha nello stesso tempo lasciati immutati i rispettivi ordinamenti e dipendenze, nell’evidente presupposto della disomogeneità del personale facente parte di quelle forze, alcune delle quali, come appunto l’Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza, mantengono lo status militare, mentre altre per effetto della smilitarizzazione hanno acquisito lo status di personale civile (come la Polizia di Stato e, da ultimo, per effetto della legge 15 dicembre 1990, n. 395, il corpo di polizia penitenziaria)».

Nel medesimo senso si è nuovamente espressa questa Corte (sentenza n. 65 del 1997) in una questione concernente la pretesa di alcuni sottotenenti della Guardia di finanza di vedersi riconoscere - a fronte di una già ottenuta equiparazione del trattamento economico di tutte le forze di polizia - una corrispondenza delle loro qualifiche funzionali con quelle degli appartenenti al ruolo dei commissari della Polizia di Stato.

  Alla stregua di questi precedenti si ritiene che, se può esservi identità di funzioni (di polizia) tra Polizia di Stato e Arma dei carabinieri (ad es. ai fini dell’unitarietà del coordinamento tecnico operativo e della direzione unitaria delle forze di polizia: artt. 4 e 6 della legge n. 121 del 1981), non può esservi commistione alcuna tra i rispettivi ordinamenti del personale, e, dunque, anche sul regime attinente a momenti particolari del rapporto di lavoro, quali, ad esempio, quelli connessi alle diverse situazioni di inidoneità al servizio, parziale o totale, temporanea o permanente.

Non vi è, quindi, alcuna ragione per dubitare che la delega espressa dall’art. 36, primo comma della legge n. 121 del 1981 abbia inteso riguardare unicamente il personale della Polizia di Stato e non anche gli appartenenti all’Arma dei carabinieri. Tale esclusione, d’altronde, lungi dal tradursi in un trattamento discriminatorio, appare

del tutto coerente con l’assetto sistematico normativo dell’ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza.

La distinzione degli ambiti ordinamentali propri del personale appartenente all’Arma dei carabinieri, pur impegnato in compiti di polizia, e la Polizia di Stato, rinviene ulteriori  conferme nella restante normativa, che in varia misura, disciplina aspetti comuni ai rapporti di impiego delle (diverse) Forze di polizia.

Significativa, sotto questo profilo, è la legge 6 marzo 1992, n. 216 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 gennaio 1992, n. 5, recante autorizzazione di spesa per la perequazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri in relazione alla sentenza di questa Corte n. 277 del 1991 e all’esecuzione di giudicati, nonché perequazione dei trattamenti economici relativi al personale delle corrispondenti categorie delle altre Forze di polizia. Delega al Governo per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia e del personale delle Forze armate nonché per il riordino delle relative carriere, attribuzioni e trattamenti economici), il cui art. 2 ha delegato il Governo ad emanare un decreto legislativo «che definisca, in maniera omogenea, nel rispetto dei principi fissati dai relativi ordinamenti di settore stabiliti dalle leggi vigenti […] le procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego delle Forze di polizia anche ad ordinamento militare […]».

L’art. 3 di quest’ultima legge ha poi delegato il Governo ad emanare decreti legislativi per procedere al «riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici, allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di stato, nonché le attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, previsti dalle vigenti disposizioni di legge».

  Orbene, proprio rispettando la distinzione di detti ambiti, alla delega del 1992 hanno fatto seguito altrettanti distinti provvedimenti, quali il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 196 concernente il personale non direttivo delle Forze armate; il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198 relativo al personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri e il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199 relativo agli appartenenti alla Guardia di finanza.

Da questo quadro complessivo non si discosta la sentenza di questa Corte n. 277 del 1991 che pure il rimettente ha invocato a sostegno delle sue tesi.

In tale ultima pronuncia questa Corte ha avuto occasione di sottolineare che, una volta fatti salvi i rispettivi ordinamenti delle varie forze di polizia, permangono necessariamente differenti sistemi di avanzamento o di altre modalità di evoluzione dei rapporti che la legge n. 121 del 1981 non ha inteso in alcun modo rendere uniformi, essendosi limitata ad  “estendere” il trattamento economico dell’unica categoria di personale alle altre, previa un’operazione di equiparazione sulla base del “criterio funzionale” che è il «solo idoneo a rendere omogeneo, sotto il denominatore comune delle funzioni, il trattamento economico del personale inquadrato nei rispettivi apparati secondo articolazioni diverse» (così, ordinanza n. 324 del 1993).

L’esistenza di un quadro di piena autonomia tra l’ordinamento della Polizia di Stato e quello degli appartenenti all’Arma dei carabinieri, pur nella possibile coincidenza di funzioni di sicurezza pubblica, rende, dunque, del tutto razionale la delimitazione dell’ambito di operatività delle norme impugnate al solo personale della Polizia di Stato e non anche agli appartenenti all’Arma dei carabinieri, nei cui confronti il legislatore si è mosso seguendo percorsi diversi e più specifici, sulla base di valutazioni discrezionali non prive di ragionevolezza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, primo comma, cpv. XX, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) e dell’art. 2 del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 339 (Passaggio del personale non idoneo all’espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato), sollevata, con riferimento agli artt. 3, 4, 32, 36, 38 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della

Annibale MARINI, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2005.