Sentenza n. 437 del 2005

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SENTENZA N. 437

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                     MARINI                                Presidente

- Giovanni Maria           FLICK                                      Giudice

- Francesco                    AMIRANTE                                 "

- Ugo                             DE SIERVO                                 "

- Romano                      VACCARELLA                           "

- Paolo                           MADDALENA                            "

- Alfio                           FINOCCHIARO                          "

- Alfonso                       QUARANTA                               "

- Franco                         GALLO                                        "

- Luigi                           MAZZELLA                                "

- Gaetano                      SILVESTRI                                  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Liguria 24 marzo 2000, n. 26 (Estinzione delle gestioni liquidatorie in campo sanitario costituite ai sensi dell’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549), promossi dalla Corte d’appello di Genova e dal Tribunale di La Spezia con ordinanze del 29 novembre 2001, 18 giugno 2002, 3 dicembre 2002 e 25 febbraio 2003, rispettivamente iscritte ai n. 87 e 444 del registro ordinanze 2002, 52 e 360 del registro ordinanze 2003, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 e n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2002, n. 8 e n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento della Regione Liguria;

udito nell’udienza pubblica dell’11 ottobre 2005 e nella camera di consiglio del 12 ottobre 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato Gigliola Benghi per la Regione Liguria.

Ritenuto in fatto

1.— La Corte d’appello di Genova, nel corso di tre distinti giudizi civili in grado di appello, ha sollevato, con ordinanze rispettivamente del 29 novembre 2001, 3 dicembre 2002 e 25 febbraio 2003, questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 della Costituzione, degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Liguria 24 marzo 2000, n. 26 (Estinzione delle gestioni liquidatorie in campo sanitario costituite ai sensi dell’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549).

Le tre ordinanze di remissione, di contenuto assai simile tra di loro, sono state emesse nell’ambito di giudizi aventi oggetto diverso.

Il primo (r.o. n. 87 del 2002) è un giudizio risarcitorio promosso dal marito di una signora, defunta a seguito di un parto cesareo, nei confronti, fra l’altro, della USL n. 2 Sanremese, per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali conseguenti a tale evento. Nel corso del processo di primo grado, il difensore della convenuta non aveva dichiarato che la USL convenuta era stata soppressa e che la relativa gestione era stata trasformata in gestione liquidatoria, sicché la complessa problematica della successione delle Regioni nei rapporti obbligatori facenti capo alle soppresse USL non era stata affrontata in quella sede e la sentenza era stata emessa nei confronti della «USL n. 2 Sanremese ora USL n. 1 Imperiese». Analoga dicitura era stata adottata, poi, nella notificazione dell’atto di appello, con conseguente costituzione in giudizio di tale ultima unità sanitaria locale.

Il secondo (r.o. n. 52 del 2003) è un analogo giudizio promosso da due genitori, in proprio e nella qualità di legali rappresentanti del figlio minore, nei confronti della azienda sanitaria locale II del Savonese e del medico ritenuto responsabile, per ottenere il risarcimento dei gravi danni riportati dal figlio in conseguenza del parto. Nel corso del giudizio di primo grado, promosso davanti al Tribunale di Savona, l’azienda convenuta aveva provveduto alla chiamata in causa della Regione Liguria, sostenendo il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendosi ritenere responsabile dei fatti la Regione medesima.

Il terzo giudizio, invece (r.o. n. 360 del 2003), è stato promosso da una dipendente della USL IV Ligure Albenganese la quale ha impugnato davanti al Tribunale di Savona il provvedimento disciplinare della censura irrogato nei suoi confronti dal coordinatore sanitario dell’ente per fatti avvenuti presso l’ospedale di Albenga, affermando la natura illegittima di tale provvedimento, dannoso per la sua reputazione. Tale giudizio, inizialmente intrapreso contro la citata USL ed il coordinatore sanitario e poi interrotto in primo grado a seguito della soppressione della USL convenuta, è stato tempestivamente riassunto dall’attrice nei confronti dell’azienda sanitaria locale n. 2 Savonese e/o della Regione Liguria.

1.1.— Osserva la Corte d’appello di Genova che il carattere risarcitorio di tutti e tre i giudizi rende rilevante, ai fini delle rispettive decisioni, la risoluzione della questione preliminare sulla legittimazione passiva dei convenuti nei giudizi di primo grado; più in particolare, occorre accertare se, in caso di eventuale accoglimento della domanda di risarcimento danni, la responsabilità patrimoniale per i fatti di causa si collochi in capo alle aziende sanitarie di nuova istituzione – che hanno preso il posto delle soppresse unità sanitarie locali – ovvero alla Regione Liguria.

La soluzione di tale problema preliminare dà conto, in base al ragionamento compiuto dal giudice a quo, della rilevanza delle presenti questioni di legittimità costituzionale, che sono prospettate con tre ordinanze le quali, pur con alcune diversità di motivazione, si caratterizzano, come si è detto, per una sostanziale identità di argomentazioni. Nella prima delle tre ordinanze di remissione, poi, il giudice a quo precisa che la questione è rilevante benché la Regione non sia parte del giudizio, poiché in caso di accoglimento della domanda è indispensabile accertare se l’azienda sanitaria convenuta debba o meno rispondere del debito in questione, mentre in caso di rigetto la soluzione della presente questione «potrebbe rilevare in ordine alla decisione in punto di spese di lite».

E’ da notare, infine, che la stessa Corte dà conto, nelle ordinanze più recenti, di avere già sollevato le medesime questioni di legittimità costituzionale con l’ordinanza più risalente.

1.2.— Ciò premesso, la Corte d’appello remittente espone il merito delle questioni con un breve excursus storico, prendendo le mosse dall’art. 3 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, col quale fu disposta la soppressione delle vecchie USL e la loro trasformazione in aziende sanitarie, rispondenti a criteri organizzativi e gestionali diversi da quelli precedenti. Compiuta tale trasformazione, l’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, stabilì che alle Regioni non fosse in nessun caso consentito di far gravare sulle nuove aziende sanitarie, «né direttamente né indirettamente, i debiti e i crediti facenti capo alle gestioni pregresse delle unità sanitarie locali», dovendosi creare, invece, delle apposite gestioni a stralcio per queste ultime. A completamento di tale disciplina intervenne poi l’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in base al quale le gestioni a stralcio venivano trasformate in gestioni liquidatorie, attribuendo ai direttori generali delle nuove aziende sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle disciolte USL ricomprese nell’ambito territoriale delle rispettive aziende. Tale quadro normativo – osserva il giudice a quo – è stato interpretato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, con diverse pronunce anche delle sezioni unite, nel senso che si sarebbe verificata una successione ex lege, a titolo particolare, delle Regioni nei rapporti di debito e credito facenti capo alle soppresse unità sanitarie locali, con la precisazione che il predetto quadro normativo non è mutato per effetto del successivo decreto-legge 13 dicembre 1996, n. 630, convertito, con modificazioni, nella legge 11 febbraio 1997, n. 21. Tale decreto si è limitato, infatti, a disporre che, «per il parziale finanziamento dei disavanzi di parte corrente del Servizio sanitario nazionale fino a tutto il 31 dicembre 1994, il Ministro del tesoro è autorizzato a contrarre mutui, fino all’importo di lire 5000 miliardi, con onere a totale carico dello Stato» (art. 1, comma 1) e a costituire, per il residuo, una provvista a beneficio delle Regioni. Ne consegue che la suddetta normativa non ha fatto venire meno né la successione delle Regioni nei debiti e crediti delle USL, né il principio per cui le neoistituite aziende sanitarie locali non possono essere gravate di passività derivanti dalle precedenti gestioni.

Rispetto a tale contesto normativo, a parere della Corte d’appello di Genova, sarebbero del tutto dissonanti le norme impugnate, le quali hanno stabilito da un lato (art. 1) la cessazione, alla data di entrata in vigore della legge regionale medesima, delle gestioni liquidatorie di cui al citato art. 2, comma 14, della legge n. 549 del 1995, dall’altro (art. 2, comma 1) che tutti i rapporti giuridici «già facenti capo alle Unità sanitarie locali» operanti nella Regione Liguria «ancorché oggetto di giudizi in qualsiasi sede e grado, s’intendono di diritto trasferiti in capo alle Aziende Unità sanitarie locali», limitandosi ad aggiungere (art. 2, comma 2) che «in ogni caso, nessun onere finanziario può gravare sulle Aziende … per eventuali situazioni debitorie ulteriori o sopravvenute», ma non dettando alcuna specifica disciplina idonea ad evitare che le Aziende siano tenute a rispondere con tutto il loro patrimonio delle passività ad esse trasferite di diritto. Tale sistema avrebbe in pratica «caricato le AUSL proprio dei debiti contratti dalle vecchie USL», gravando in tal modo le aziende di oneri che, secondo le citate leggi statali, si sarebbero dovuti porre a carico delle Regioni.

Da tanto deriva, secondo il giudice a quo, innanzitutto una violazione dell’art. 3 Cost., perché con legge regionale si è sostituito d’imperio il soggetto debitore, in un’obbligazione di diritto comune, proprio ad opera del soggetto obbligato e senza acquisire in alcun modo il consenso dei creditori, in tal modo alterando l’uguaglianza delle parti nel rapporto sostanziale e nel processo ed «istituendo una forma di liberazione del debitore diversa dall’adempimento, non prevista dalla disciplina civilistica».

Sarebbe violato, inoltre, l’art. 24 Cost., poiché il diritto di difesa, inteso come diritto all’effettiva uguaglianza delle parti nel processo, non può essere offeso tramite l’adozione di privilegi processuali «attribuiti senza plausibili giustificazioni alla parte pubblica». Nel caso specifico, con le norme censurate la Regione avrebbe sottratto «se stessa alla soggettività passiva derivante da un rapporto obbligatorio e, quindi, alla soggettività processuale (legittimazione passiva) alla quale era ed è tenuta come parte sostanziale del rapporto obbligatorio», oltretutto anche con riguardo a controversie già iniziate. In tal modo, inoltre, sarebbe stato violato anche l’art. 111 Cost., in base al quale ogni processo si svolge in contraddittorio ed in condizione di parità tra le parti.

La Corte d’appello di Genova, poi, si sofferma ampiamente sulla prospettata lesione dell’art. 117 Cost., osservando che in materia di competenza concorrente (nel caso: tutela della salute) la Regione può emanare norme nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla competenza statale. Poiché la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ritenuto che tali principi potessero desumersi dalle c.d. “grandi riforme” che coinvolgono l’intera collettività nazionale, la normativa nazionale sopra menzionata e relativa alla successione delle Regioni nei debiti e crediti delle soppresse USL andrebbe certamente considerata come “grande riforma”, cui le Regioni debbono attenersi. In proposito, il giudice a quo richiama la sentenza n. 89 del 2000 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata non fondata una questione di legittimità costituzionale di norme della Regione Basilicata di contenuto simile a quelle oggi impugnate; ciò nonostante, la Corte genovese rileva che in quel caso la legge regionale aveva introdotto particolari meccanismi di gestioni distinte e contabilità separate, allo scopo di tutelare i creditori e nel contempo escludere ogni responsabilità delle nuove aziende sanitarie per i debiti pregressi. Nel caso attuale, invece, la legge della Regione Liguria n. 26 del 2000 si limita, come si è detto, a prevedere che nessun onere finanziario possa gravare su tali aziende «per eventuali situazioni debitorie ulteriori o sopravvenute» (art. 2, comma 2), ma non detta alcuna specifica disposizione per evitare una confusione di masse patrimoniali in capo alle aziende, con ciò dimostrando che la successione nei confronti delle soppresse USL è senza distinzioni, tanto più alla luce della disposizione generale contenuta nel precedente comma 1 dello stesso art. 2. Se ne desume che per le situazioni di debito non sopravvenute – quali dovrebbero essere quelle all’esame del giudice a quo – non vale il limite di cui al citato art. 2, comma 2, e le aziende sanitarie debbono rispondere anche per le obbligazioni pregresse con tutto il proprio patrimonio, non essendo stata prevista alcuna adeguata disciplina al riguardo.

La Corte d’appello remittente ricorda che la presente questione è già stata posta all’esame della Corte nella vigenza del vecchio testo dell’art. 117 Cost., e che questa Corte ha provveduto alla restituzione degli atti ai giudici a quibus per un nuovo esame della rilevanza alla luce dell’intervenuta modifica del citato parametro costituzionale; precisa al riguardo, però, che il quadro complessivo è rimasto invariato, attesa la già citata natura concorrente della potestà normativa regionale in materia di tutela della salute.

2.— Nel corso di un giudizio civile – proposto da un gruppo di lavoratori dipendenti di una società addetta alle pulizie che aveva ottenuto l’appalto per la pulizia dei locali della soppressa USL XIX della Regione Liguria, poi divenuta Azienda USL n. 5 Spezzino, per ottenere quanto loro spettante a titolo di retribuzione, ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, riduzione orario di lavoro, festività soppresse e trattamento di fine rapporto – il Tribunale di La Spezia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, con ordinanza del 18 giugno 2002 (r.o. n. 444 del 2002), questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117, secondo comma, della Costituzione, dei medesimi artt. 1 e 2 della legge della Regione Liguria n. 26 del 2000.

Precisa, in punto di fatto, il giudice remittente che tanto la Azienda USL n. 5 Spezzino quanto la Regione Liguria – entrambe convenute dai lavoratori, assieme alla società datrice di lavoro (nel frattempo fallita) e all’Istituto bancario San Paolo di Torino, cui quest’ultima aveva ceduto i propri crediti nei confronti della USL – hanno contestato la propria legittimazione passiva per la vicenda di causa e che, ai fini della decisione della controversia pendente, la soluzione di tale problema si pone in via preliminare; il che dà conto della rilevanza della presente questione.

Ciò posto, la motivazione del Tribunale di La Spezia è pressoché integralmente coincidente con quella della Corte d’appello di Genova, con la sola esclusione del parametro costituito dall’art. 111 Cost. e con la precisazione che i dubbi di legittimità costituzionale non attengono tanto alla soppressione delle gestioni liquidatorie di cui all’art. 1 della legge regionale impugnata, quanto piuttosto a tale soppressione unita all’attribuzione alle aziende sanitarie della legittimazione passiva per i rapporti facenti capo alle soppresse USL.

3.— In tre dei quattro giudizi di cui sopra si è costituita la Regione Liguria, con memorie difensive identiche, chiedendo il rigetto delle prospettate questioni perché i giudici a quibus avrebbero posto a fondamento delle loro censure un’inesatta o comunque parziale lettura delle norme regionali impugnate le quali risulterebbero, invece, in perfetta coerenza col quadro normativo globale.

Anche la Regione compie una breve premessa normativa per ricapitolare le principali tappe della vicenda, ricordando di avere a suo tempo provveduto – tramite le leggi regionali 8 febbraio 1995, n. 10, e 15 novembre 1995, n. 53 – ad istituire le apposite gestioni stralcio delle soppresse USL, ottenendo il risultato di chiudere, tramite gli atti stipulati dai commissari liquidatori, la quasi totalità delle pendenze debitorie in questione. Tale corretta gestione della situazione ha consentito poi di emanare la legge regionale n. 26 del 2000, peraltro nel rispetto del dettato dell’art. 6 della legge n. 724 del 1994.

Ciò posto, la Regione Liguria richiama i risultati economici raggiunti con l’attività di liquidazione svolta, evidenziando che la legge regionale in oggetto ha il pregio di aver chiuso tale fase, da ritenere a tutti gli effetti come “patologica”, e ricordando che questa Corte, con la menzionata sentenza n. 89 del 2000, ha dichiarato non fondata una questione riguardante norme della Regione Basilicata del tutto simili a quelle attualmente censurate. L’analisi complessiva della legge regionale n. 26 del 2000 dimostra, infatti, che agli oneri finanziari si provvede mediante lo stanziamento di somme disponibili (art. 3) e che la Regione mantiene comunque il controllo delle modalità di impiego di tali risorse da parte delle aziende sanitarie e degli altri enti subentranti (art. 4), essendo previsto a carico dei direttori generali l’obbligo di trasmissione semestrale del rendiconto. Da tanto consegue, secondo la parte pubblica, che i residui debiti delle disciolte USL hanno ricevuto una regolamentazione tale da porre le neoistituite aziende USL «al riparo dal rischio di una qualsivoglia confusione di tali pendenze pregresse con gli eventuali oneri debitori delle gestioni successive, nonché dal rischio di dover fare fronte alle pendenze stesse con fondi propri».

Tale assetto normativo sarebbe – a dire della Regione Liguria – in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione la quale, già con la sentenza delle sezioni unite n. 1989 del 1997, pur avendo sostenuto la tesi per cui la Regione succede a titolo particolare nei debiti pregressi delle USL, ha poi affermato che detta situazione deve perdurare fino a quando non si è definitivamente chiusa la gestione stralcio, che è proprio quanto avvenuto con la legge contestata. Ciò che conta è che l’onere finanziario resti in capo alle Regioni, non che l’esonero delle nuove aziende sanitarie avvenga necessariamente con una successione legale delle Regioni stesse nei precedenti debiti. E siffatta ricostruzione sarebbe anche in linea con la giurisprudenza costituzionale che non ha mai indicato come strada obbligata quella della menzionata successione, bensì solo quella della separazione della contabilità delle nuove aziende sanitarie locali rispetto a quella delle precedenti USL (sentenze n. 355 del 1993, n. 416 del 1995 e n. 89 del 2000).

In tale prospettiva, infine, appare alla Regione Liguria che nessun cambiamento significativo possa derivare dalla riforma del testo dell’art. 117 Cost.; come emerge, infatti, già dalle prime pronunce di questa Corte in argomento (sentenza n. 282 del 2002), nelle materie oggetto di competenza concorrente l’intervento della legislazione statale deve limitarsi alla determinazione dei soli principi fondamentali, nel rispetto dei quali il legislatore regionale ha ampia possibilità di intervenire. In materia di tutela della salute, per esempio, sembra evidente che le norme attinenti agli aspetti organizzativi – come sono da ritenere quelle in esame – non sono vincolanti per le Regioni. Da tanto conseguirebbe che l’art. 2 della legge regionale impugnata, anziché violare l’art. 117 Cost., si porrebbe piuttosto come coerente attuazione dei principi fissati dalle leggi statali, riconoscendo alle aziende sanitarie una piena autonomia gestionale e contabile.

4.— In prossimità dell’udienza la Regione Liguria ha depositato, in riferimento ai tre giudizi nei quali si era costituita, tre memorie di identico contenuto nelle quali ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Alla prima conclusione si perverrebbe in conseguenza di una inadeguata e insufficiente motivazione sulla rilevanza derivante dalla duplice circostanza che: a) le censure sollevate potrebbero assumere concreto rilievo nei giudizi principali solo in presenza di una decisione favorevole agli attori, mentre nelle ordinanze di rimessione nulla si dice al riguardo; b) la Corte di appello di Genova ha del tutto ignorato l’interpretazione dell’art. 6 della legge n. 724 del 1994 secondo la quale tale disposizione si applicherebbe soltanto alle obbligazioni pregresse nascenti da contratti di fornitura di beni e servizi (spese di gestione), sicché essa non riguarderebbe rapporti diversi – quali sono quelli oggetto dei giudizi a quibus – che sarebbero normalmente transitati a titolo universale alle nuove aziende, in quanto non ricompresi tra quelli trasferiti a titolo particolare ed eccezionale alle Regioni in base al suddetto art. 6.

Quanto al merito della questione la Regione, dopo aver sottolineato che tra i parametri non è stato richiamato l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la giurisdizione, le norme processuali e l’ordinamento civile), richiama tutte le argomentazioni contenute negli atti di costituzione e, in particolare, pone l’accento sul fatto che al principio dettato dal richiamato art. 6 della legge n. 724 del 1994 (collegato all’istituzione delle gestioni a stralcio) va attribuita una portata contingente e limitata al momento dell’avvio della riforma del Servizio sanitario nazionale, tanto è vero che, un anno dopo la sua formulazione, lo Stato ha rimodellato il sistema trasformando le gestioni a stralcio in gestioni liquidatorie, affidate ai direttori generali delle nuove aziende in qualità di commissari liquidatori. Ne consegue che il suddetto principio non può essere qualificato come “fondamentale” rispetto agli atti legislativi emanati – come la legge regionale di cui si discute – a distanza di molti anni e a coronamento della liquidazione, quando, per il trascorrere del tempo, erano venute meno sia l’emergenza finanziaria collegata alla fase iniziale di avvio della riforma sia «l’entità invalidante della massa debitoria pregressa». La Regione Liguria ha diligentemente dettato una disciplina organizzativa perfettamente coerente con la legislazione statale di riferimento provvedendo, con le leggi regionali n. 10 e n. 53 del 1995, alla creazione delle gestioni stralcio e limitandosi, poi, con la normativa attualmente censurata, a dichiarare l’estinzione delle gestioni liquidatorie e a trasferire alle nuove aziende i pochi rapporti giuridici facenti capo alle soppresse USL che risultavano ancora pendenti e che le erano stati trasferiti dallo Stato. In tal modo la Regione ha esclusivamente disposto una novazione soggettiva nei rapporti – senza, peraltro, stravolgerne le regole né sostanziali né processuali – al fine di assicurare la migliore difesa nei contenziosi residui anche grazie al ricorso alla copertura assicurativa degli eventuali risarcimenti.

Considerato in diritto

1.— La Corte d’appello di Genova, con tre ordinanze di contenuto analogo, e il Tribunale di La Spezia con altra ordinanza, tutte emesse nel corso di giudizi aventi ad oggetto crediti nati nei confronti di unità sanitarie locali della Regione Liguria, sollevano, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 (recte: art. 117, terzo comma) della Costituzione, e la Corte di appello di Genova anche in riferimento all’art. 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Liguria 24 marzo 2000, n. 26 (Estinzione delle gestioni liquidatorie in campo sanitario costituite ai sensi dell’articolo 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549).

Secondo i remittenti le norme censurate – le quali prevedono la cessazione delle gestioni liquidatorie delle passività delle unità sanitarie locali (art. 1), ancorché queste siano oggetto di giudizi in corso, ed il trasferimento alle aziende unità sanitarie locali di tutti i rapporti giuridici già facenti capo alle dette unità sanitarie locali (art. 2, comma 1) – violerebbero il principio di eguaglianza ed il diritto di difesa delle controparti delle amministrazioni sanitarie nonché le competenze legislative dello Stato in materia di sanità e, secondo la Corte d’appello di Genova, anche i principi del giusto processo.

Deve essere disposta la riunione dei giudizi perché aventi lo stesso oggetto.

2.— Preliminarmente occorre rilevare l’ammissibilità della questione, attenendo essa alla legittimazione passiva nei giudizi a quibus ed essendo non implausibile, quindi, la motivazione dei remittenti i quali ne hanno affermato la rilevanza a prescindere dall’accertamento della fondatezza delle pretese degli attori.

Ancora in via preliminare va precisato che è da condividere l’assunto della difesa della Regione Liguria, secondo il quale tra i parametri costituzionali, alla stregua dei quali lo scrutinio deve essere condotto, non rientra la disposizione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione (che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la giurisdizione, le norme processuali e l’ordinamento civile). Essa, infatti, non soltanto non è espressamente indicata, ma neppure è ricavabile dal contesto delle ordinanze, nelle quali la carenza di competenza legislativa della Regione è dedotta soltanto con riferimento al potere dello Stato di dettare i principi fondamentali in materia di tutela della salute, materia, questa, prevista tra quelle di legislazione ripartita nel testo novellato dell’art. 117 Cost. e nella quale rientra l’assistenza sanitaria, che già nel vigore dell’originario testo dell’art. 117 Cost. formava oggetto di competenza concorrente.

3.— Con riferimento a siffatto parametro la questione è fondata.

Questa Corte ha già dovuto scrutinare la questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni di una legge regionale (in quel caso della Regione Basilicata) le quali erano state censurate per aver individuato nelle aziende sanitarie locali, istituite a norma del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, i soggetti passivi dei rapporti obbligatori sorti a carico delle soppresse unità sanitarie locali e per aver stabilito il loro subentro in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi già posti in essere da queste ultime. La censura era motivata dal contrasto di siffatte disposizioni con l’art. 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il quale prescrive che in nessun caso le Regioni potevano far gravare, direttamente o indirettamente, sulle neocostituite aziende i debiti pregressi facenti capo alle preesistenti unità sanitarie locali, dovendo a tal fine le Regioni stesse predisporre apposite “gestioni a stralcio”, individuando l’ufficio responsabile delle medesime.

La Corte dichiarò non fondata la questione (v. sentenza n. 89 del 2000), sul rilievo che il complesso normativo della legge regionale non era in contrasto con il precetto della legge statale, ma affermò principi i quali, con riguardo alla legge della Regione Liguria ora censurata, conducono lo scrutinio all’esito opposto.

La Corte ribadì i rilievi contenuti in precedenti sentenze (v. sentenza n. 416 del 1995, ma cfr. anche sentenze n. 222 del 1994 e n. 357 del 1993), affermando che la disposizione del citato art. 6, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, «è da considerare per la finalità perseguita, in “rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione” con le norme-principio che connotano il settore dell’organizzazione sanitaria locale, così da vincolare l’autonomia finanziaria regionale in ordine alla disciplina prevista per i “debiti” e i “crediti” delle soppresse unità sanitarie locali».

La Corte diede atto che la giurisprudenza ordinaria, con orientamento consolidato, aveva ravvisato nella normativa statale, la quale escludeva che sulle aziende di nuova istituzione potessero essere riversate le passività maturate a carico delle unità sanitarie locali, una forma di successione ex lege delle Regioni. A queste ultime spettava di estinguere le passività pregresse, attraverso la costituzione delle gestioni a stralcio, trasformate poi in gestioni liquidatorie dall’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

A sua volta, tale disposizione stabiliva quanto segue: «per l’accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994, le regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali ricomprese nell’ambito territoriale delle rispettive aziende. Le gestioni a stralcio di cui all’articolo 6, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, sono trasformate in gestioni liquidatorie. Le sopravvenienze attive e passive relative a dette gestioni, accertate successivamente al 31 dicembre 1994, sono registrate nella contabilità delle citate gestioni liquidatorie. I commissari entro il termine di tre mesi provvedono all’accertamento della situazione debitoria e presentano le risultanze ai competenti organi regionali».

Tale complesso di norme approntava gli strumenti per la realizzazione del principio in base al quale, per ragioni politico-economiche, il legislatore ha voluto che le neoistituite aziende unità sanitarie locali cominciassero a funzionare secondo i nuovi criteri di maggiore economicità e di responsabilità dei dirigenti, senza essere oberate dal passivo accumulato in un sistema di gestione della sanità pubblica che si riteneva generatore di disfunzioni e, perciò, da abbandonare.

La Corte con la menzionata sentenza n. 89 del 2000 ritenne, come si è detto, insussistente il denunziato vizio delle impugnate norme della Regione Basilicata in quanto, pur stabilendo esse il passaggio dei pregressi rapporti delle unità sanitarie locali in capo alle aziende di nuova istituzione, tuttavia prevedevano «meccanismi particolari di gestioni distinte e di contabilità separate», tali da consentire alle aziende subentranti di «evitare ogni confusione tra le diverse masse patrimoniali, così da tutelare i creditori, ma, nello stesso tempo, da escludere ogni responsabilità delle stesse aziende sanitarie in ordine ai … debiti delle preesistenti unità sanitarie locali».

Tale affermazione era fondata principalmente sull’art. 59 della legge della Regione Basilicata 27 marzo 1995, n. 34 (Norme per la disciplina della contabilità della utilizzazione e gestione del patrimonio e del controllo delle Aziende sanitarie Unità sanitarie locali e ospedaliere), recante la rubrica “Gestione a stralcio”.

La garanzia di distinzione delle gestioni era rafforzata da una delibera della Giunta che prescriveva, in conformità a quanto stabilito dalla legislazione statale, che gli organi responsabili, una volta accertata la situazione debitoria, ne riferissero ai competenti organi regionali. La Corte diede atto che, con una serie di decreti-legge (numeri 261, 362, 448, 553 tutti del 1995), si era voluto stabilire che la contabilità economico-finanziaria e patrimoniale delle unità sanitarie locali relative agli anni precedenti il 1995 erano garantite dalle Regioni, che ne assumevano le relative obbligazioni, ma rilevò che i decreti non erano stati convertiti e che la clausola di sanatoria, contenuta nella legge 17 gennaio 1997, n. 4, ne aveva solo entro certi limiti fatti salvi gli effetti.

In conclusione, la questione fu dichiarata infondata essenzialmente perché nella stessa legislazione della Regione Basilicata la Corte rinvenne gli strumenti normativi idonei ad attuare il principio fondamentale stabilito dal legislatore statale, secondo il quale le aziende sanitarie, affinché la riforma potesse raggiungere le finalità perseguite, dovevano iniziare ad operare completamente libere dai pesi delle passate gestioni.

4.— Le norme della Regione Liguria, al contrario, non offrono la medesima garanzia, come del resto è già reso palese dal raffronto tra il titolo della legge e il suo oggetto. Il primo enuncia la estinzione delle gestioni liquidatorie, il secondo è costituito dalla disciplina di rapporti che si devono ancora liquidare. Tale disciplina non è conforme al principio fondamentale statale già ricordato. Mentre, infatti, essa dichiara la cessazione delle gestioni liquidatorie alla data di entrata in vigore della legge (art. 1, comma 1) e il trasferimento in capo alle aziende di tutti i rapporti giuridici che facevano capo alle unità sanitarie locali (art. 2, comma 1), la disposizione dell’art. 3, nell’indicare i mezzi finanziari occorrenti per far fronte agli oneri derivanti dall’attuazione della legge, si riferisce a stanziamenti destinati non soltanto alla estinzione delle passività pregresse, ma anche al ripiano di disavanzi degli esercizi 1995 e 1996, così confondendo esiti della gestione delle vecchie unità sanitarie locali con gli esercizi facenti capo alle aziende. Il comma 2 dell’art. 1 ed il comma 2 dell’art. 4 prevedono poi meri obblighi di rendicontazione nei confronti della Regione, mentre il comma 1 dell’art. 4 attribuisce un generico potere di controllo a quest’ultima. Quello della Regione Liguria è quindi un sistema normativo che, non assicurando la separazione tra la gestione liquidatoria delle passività anteriori al 31 dicembre 1994, risalenti alle unità sanitarie locali, e le attività poste in essere direttamente dalle aziende, non è conforme ai principi fondamentali della legislazione statale. Si deve soltanto aggiungere che tale conformità non è garantita dalla disposizione del comma 2 dell’art. 2 della legge censurata, il quale stabilisce che in ogni caso nessun onere finanziario può gravare sulle aziende, istituti ed enti di cui al comma 1 per eventuali situazioni debitorie ulteriori o sopravvenute; norma di oscuro contenuto che però, comunque interpretata, per le limitazioni che contiene, non vale a sottrarre le aziende dal peso delle passività preesistenti alla loro istituzione, né ad assicurare ai soggetti, titolari di un titolo creditorio relativo a fattispecie maturate durante la vita delle unità sanitarie locali, l’effettiva soddisfazione dei propri diritti.

Di tutto ciò sembra essersi resa conto la stessa difesa della Regione, la quale negli atti più recenti, pur senza esplicitamente rinunziare all’originaria linea difensiva, sostiene la non accoglibile tesi secondo cui, essendo l’attività liquidatoria giunta a buon punto, può ben essere continuata in promiscuità con la ordinaria amministrazione delle Aziende.

La questione è pertanto fondata con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., rimanendo assorbiti gli altri profili di censura.

Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge regionale censurata nonché dell’art. 2, comma 1, della medesima legge, nella parte relativa al trasferimento alle aziende unità sanitarie locali di tutti i rapporti giuridici già facenti capo alle unità sanitarie locali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Liguria 24 marzo 2000, n. 26 (Estinzione delle gestioni liquidatorie in campo sanitario costituite ai sensi dell’art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549);

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della medesima legge, nella parte in cui prevede che tutti i rapporti giuridici già facenti capo alle unità sanitarie locali operanti nella Regione Liguria, ancorché oggetto di giudizi in qualsiasi sede e grado, si intendono di diritto trasferiti alle aziende unità sanitarie locali, alle quali restano attribuite la titolarità e la legittimazione, sostanziale e processuale, attiva e passiva, e il relativo esercizio da parte dei rispettivi legali rappresentanti.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2005.

Annibale MARINI, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 dicembre 2005.