Ordinanza n. 422 del 2005

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ORDINANZA N. 422

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Annibale        MARINI                           Presidente

-  Giovanni Maria FLICK                             Giudice

-  Francesco       AMIRANTE                          ”

-  Ugo                DE SIERVO                          ”

-  Romano         VACCARELLA                   ”

-  Paolo              MADDALENA                     ”

-  Alfio              FINOCCHIARO                   ”

-  Alfonso          QUARANTA                        ”

-  Franco            GALLO                                 ”

-  Luigi              MAZZELLA                         ”

-  Gaetano         SILVESTRI                           ”

ha pronunciato la seguente                  

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 15-quater, 15-quinquies e 15-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 1 del decreto legislativo 2 marzo 2000, n. 49 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, concernenti il termine di opzione per il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari), promosso con ordinanza del 6 ottobre 2003 dal Tribunale di Grosseto, nel procedimento civile vertente tra Sarnicola Vincenzo e l'Azienda U.S.L. n. 9 di Grosseto, iscritta al n. 180 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2004.

    Visti gli atti di costituzione di Sarnicola Vincenzo, della Società Oftalmologica Italiana – Associazione Medici Oculisti Italiani (SOI–AMOI), nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

    udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

    Ritenuto che il Tribunale di Grosseto, con ordinanza del 6 ottobre 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione – degli artt. 15-quater, 15-quinquies e 15-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 1 del decreto legislativo 2 marzo 2000, n. 49 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, concernenti il termine di opzione per il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari);

    che il Tribunale rimettente premette di essere stato adito, in funzione di giudice delle controversie individuali di lavoro, per la conferma del provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ. con il quale erano stati sospesi gli effetti della opzione espressa in data 20 maggio 2000 – a norma dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 – dal dirigente della divisione oculistica presso l'ospedale di Grosseto;

    che il giudice a quo precisa come il predetto dirigente sanitario abbia conseguito il provvedimento cautelare in questione solo dopo aver chiesto al medesimo tribunale, sempre in via d'urgenza, che gli fosse consentito di evitare l'esercizio della opzione – prevista dalla norma sopra richiamata – tra il rapporto esclusivo alle dipendenze dell'ospedale e lo svolgimento della libera professione extra moenia;

    che, difatti, ai sensi del combinato disposto degli artt. 15-quater, comma 3, e 15-quinquies, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992 – entrambi introdotti dal decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419) – i dirigenti sanitari già in servizio alla data del 31 dicembre 1998 (tale è la condizione del ricorrente nel giudizio a quo) risultano tenuti a comunicare – entro un termine originariamente stabilito nel novantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del suddetto d.lgs. n. 229 del 1999, e poi fissato al 2 marzo 2000 dall'art. 1 del d.lgs. n. 49 del 2000 – l'opzione in ordine al rapporto esclusivo, ciò che, oltre a costituire condizione indefettibile per il mantenimento degli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, comporta anche la necessità di limitare l'attività libero‑professionale esclusivamente a quella “intramuraria”;

    che l'odierno ricorrente, espone ancora il giudice a quo, allo scopo di conseguire la sospensione giudiziale di tale obbligo, aveva già adito in sede cautelare il Tribunale di Grosseto, il quale aveva sollevato una prima questione di legittimità costituzionale degli artt. 15-quater, commi 2, 3 e 4, e 15-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, nonché dell'art. 1 del d.lgs. n. 49 del 2000;

    che, in particolare, era stata censurata – già in quella circostanza – la previsione di un termine eccessivamente ristretto entro il quale il ricorrente avrebbe dovuto esercitare la scelta in favore del rapporto di lavoro esclusivo, nonché la mancata subordinazione di tale sua opzione alla preventiva predisposizione, da parte dell'Azienda sanitaria locale, delle strutture occorrenti per lo svolgimento di quella attività “intramuraria” che costituisce per i dirigenti sanitari – come detto – la sola modalità di esercizio della libera professione;

    che, prosegue il giudice a quo, all'esito di tale originario incidente di costituzionalità era intervenuta l'ordinanza di questa Corte n. 309 del 2002, la quale – sul presupposto dell'avvenuta soppressione dei «rapporti di lavoro a tempo definito per la dirigenza sanitaria», disposta da un ius superveniens costituito dall'art. 1 del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 8 (Proroga di disposizioni relative ai medici a tempo definito, farmaci, formazione sanitaria, ordinamenti didattici universitari e organi amministrativi della Croce Rossa) – aveva ordinato la restituzione degli atti al giudice a quo, affinché valutasse la perdurante rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, alla luce del mutato quadro normativo di riferimento;

    che – conclude sul punto l'odierno rimettente – il Tribunale di Grosseto, a seguito dell'indicata decisione di questa Corte, aveva definito il procedimento cautelare (instaurato, come detto, «per scongiurare l'esercizio dell'opzione») mediante l'adozione di «un provvedimento di “non luogo a provvedere” per sopravvenuto difetto di interesse»;

    che, tutto ciò premesso in punto di fatto, il Tribunale rimettente ritiene che il dubbio di costituzionalità, ribadito anche nell'odierno giudizio a quo, sia «tuttora rilevante»;

    che il rimettente – chiamato a giudicare della conferma del provvedimento d'urgenza con cui sono stati sospesi, in via interinale, gli effetti dell'opzione per il rapporto di lavoro esclusivo, esercitata a norma dell'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 (provvedimento cautelare adottato a seguito della “disapplicazione” di tale articolo di legge, operata dal giudice a quo sul presupposto della sua illegittimità costituzionale) – rileva come il giudizio in corso (temporaneamente sospeso, in attesa che intervenisse proprio la pronuncia resa da questa Corte con l'ordinanza n. 309 del 2002) non possa «essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale»;

    che, difatti, soltanto attraverso la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate «il provvedimento cautelare potrebbe essere confermato», e dunque il ricorrente «mantenere l'incarico dirigenziale», e ciò in quanto «il giudice della causa di merito, a differenza del giudice della causa avente natura cautelare, non può disapplicare una norma di legge»;

    che secondo il Tribunale di Grosseto, inoltre, la modificazione normativa sopravvenuta – che ha indotto questa Corte ad adottare la già ricordata ordinanza di restituzione degli atti – non avrebbe inciso «sull'oggetto del contendere», considerato, da un lato, che l'odierno ricorrente «è sempre stato medico dirigente a tempo pieno» (mentre il già menzionato art. 1 del decreto-legge n. 8 del 2002 ha sancito la soppressione esclusivamente del «rapporto di lavoro a tempo definito della dirigenza sanitaria»), nonché, dall'altro, che il predetto decreto-legge ha lasciato invariato il testo degli impugnati artt. 15-quater e 15-quinquies;

    che per contro, prosegue il rimettente, difettano a tutt'oggi «le strutture aziendali idonee alla professione intra moenia», non avendo la competente azienda ospedaliera reperito gli spazi sostitutivi, in strutture alternative, all'uopo previsti dall'art. 72, comma 11, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo);

    che d'altra parte, conclude sul punto il rimettente, siffatto inconveniente neppure appare interamente superabile alla stregua di quanto stabilito dall'art. 3  del decreto legislativo 28 luglio 2000, n. 254 (Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, per il potenziamento delle strutture per l'attività libero-professionale dei dirigenti sanitari), che abilita il sanitario – in caso di «carenza di strutture e spazi idonei» – alla «utilizzazione del proprio studio professionale»;

    che, a parte, infatti, il rilievo che la citata disposizione concerne unicamente «le attività libero‑professionali in regime ambulatoriale, con esclusione di quelle in regime di ricovero», resta comunque il fatto che il sistema delineato dalle norme impugnate – ciò che vale secondo il Tribunale grossetano ad evidenziare la perdurante rilevanza dei prospettati dubbi di costituzionalità – «costringe il medico ad esosi investimenti», e soprattutto gli impone «un salto nel buio, perché se lo stesso esercitasse l'opzione per l'attività intra moenia, opzione a tutt'oggi irreversibile», correrebbe il rischio di non poter «più svolgere adeguatamente attività libero‑professionale», e ciò «se al luglio 2005 ancora le strutture aziendali non fossero idonee», ovvero se il termine per l'esercizio dell'opzione «non fosse ulteriormente prorogato»;

    che, ciò premesso sulla rilevanza della questione sollevata, quanto alla non manifesta infondatezza della stessa il giudice rimettente osserva quanto segue;

    che, in particolare, in relazione al fatto che le norme denunciate «non consentono di distinguere tra l'ipotesi in cui vi sia la concreta possibilità di espletare l'attività intra moenia e quella in cui tale possibilità non vi sia», il giudice a quo deduce, innanzitutto, la violazione dell'art. 3 della Costituzione;

    che siffatta censura risulta prospettata sotto un duplice concorrente profilo, e cioè – innanzitutto – che la disciplina recata dalle disposizioni impugnate sarebbe «irragionevole e contraddittoria», prevedendo l'equiparazione delle posizioni del dirigente «che eserciti una effettiva scelta tra due opzioni entrambe praticabili» (ciò che si verifica «allorché siano state concretamente allestite le strutture per la libera professione aziendale») e del dirigente «a cui sia in concreto preclusa l'alternativa della libera professione intra moenia»;

    che in entrambi i casi, infatti, risulta prevista – del tutto irrazionalmente – «la perdita dell'incarico dirigenziale e del trattamento aggiuntivo»;

    che, d'altra parte, la necessità comunque di effettuare la scelta «prima di sapere se, effettivamente, l'azienda predisporrà le strutture necessarie all'esercizio della libera professione intra moenia» equivale a costringere il sanitario a compiere «al buio» l'opzione per il rapporto esclusivo, oltretutto «irreversibile», ciò che, secondo il rimettente, costituisce l'ulteriore profilo di irragionevolezza che inficia la disciplina sospettata di illegittimità costituzionale;

    che il Tribunale di Grosseto deduce, inoltre, la violazione anche dell'art. 97 della Costituzione, giacché la scelta legislativa di fissare il termine per l'opzione non «in relazione al momento in cui il datore di lavoro abbia apprestato i mezzi per il pieno esercizio della libera professione» appare in contrasto con «criteri di equità e buon andamento della pubblica amministrazione»;

    che, infine, il rimettente ipotizza il contrasto pure con l'art. 35 della Costituzione, giacché per effetto delle disposizioni impugnate si «comprime senza giustificazione la professionalità dei dirigenti sanitari», come sarebbe stato, del resto, già «ampiamente argomentato» nell'ordinanza emessa dal medesimo Tribunale di Grosseto culminata nella pronuncia di questa Corte n. 309 del 2002;

    che in forza di tali rilievi il giudice a quo ha, dunque, concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 14-quater, 14-quinquies e 14-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, «laddove comportano la perdita della funzione dirigenziale in ogni caso di scelta di proseguire l'attività extra moenia, senza distinguere tra l'ipotesi in cui vi fosse l'alternativa della professione intra moenia e quella in cui tale alternativa non vi fosse», nonché dell'art. 1 del d.lgs. n. 49 del 2000, laddove «assegna un brevissimo spatium deliberandi per effettuare l'opzione e, ancor più radicalmente, laddove non prevede che il termine per l'opzione debba decorrere dal momento in cui l'azienda sanitaria abbia effettivamente predisposto le strutture per l'esercizio della libera professione intra moenia»;

    che è intervenuto nel presente giudizio il ricorrente nel processo principale;

    che l'interessato, richiamandosi alle argomentazioni svolte dal giudice rimettente sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, rileva, in particolare, come soltanto attraverso il suo accoglimento il tribunale potrebbe pervenire alla conferma del provvedimento cautelare, e dunque alla definitiva reintegrazione di esso ricorrente nell'esercizio delle sue funzioni, unitamente al riconoscimento della continuazione della facoltà di esercizio della libera professione “extramuraria”;

    che il predetto interveniente sottolinea, inoltre, le penalizzazioni di carattere economico che subisce il dirigente sanitario il quale opti per il rapporto esclusivo;

    che per effetto, infatti, del rinvio – contenuto nell'ultimo comma dell'art. 15-quinquies – all'art. 72 della legge n. 448 del 1998, l'opzione per la libera professione “extramuraria” comporta (ai sensi di quanto disposto dal comma 5 del predetto art. 72) «l'immediata penalizzazione economica del dirigente medico, il quale perde il 50 % della retribuzione variabile di posizione ed il 100 % della retribuzione di risultato»;

    che in relazione, invece, alla censura che investe l'art. 1 del d.lgs. n. 49 del 2000, l'interveniente rileva, in primis, come il suddetto decreto legislativo sia stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2000, «vale a dire quattro giorni prima della scadenza del termine per l'opzione da esso stesso introdotto», donde l'ipotizzata violazione del principio di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione;

    che la mancata previsione di un adeguato spatium deliberandi si presenterebbe, inoltre, costituzionalmente illegittima anche in ragione della sua contrarietà al principio di “gradualità” sancito nella corrispondente legge delega, «la cui violazione comporta anche contrasto con l'art. 76 della Costituzione»;

    che, d'altra parte, risultando avvenuta siffatta pubblicazione senza che nel testo del decreto figurasse l'art. 2 (il quale ha disposto l'immediata entrata in vigore di tale decreto legislativo, e non all'esito dell'ordinario periodo di vacatio legis), il successivo avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2000, con il quale si è dato conto di quanto stabilito dal citato art. 2, indurrebbe a ritenere violato anche l'art. 73 della Costituzione, dovendo escludersi che «un semplice comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri» – tale essendo l'atto con il quale si è proceduto all'indicata rettifica – «possa servire ad introdurre una nuova norma di legge»;

    che è intervenuta in giudizio anche la Società Oftalmologica Italiana – Associazione Medici Oculisti Italiani (SOI–AMOI), la quale, in via preliminare, ha chiarito di aver già spiegato intervento ad adiuvandum a sostegno della pretesa azionata dal ricorrente nel giudizio a quo, ciò che di per sé varrebbe a legittimare la sua partecipazione all'odierno giudizio (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 330 del 1999);

    che nel merito, oltre a fare propri i rilievi di cui all'ordinanza di rimessione, la predetta società si sofferma sull'ininfluenza che il mutato quadro normativo – rispetto a quello vigente al momento cui risaliva la prima ordinanza emessa dal Tribunale grossetano (quella culminata nella pronuncia di questa Corte n. 309 del 2002) – eserciterebbe rispetto ai già evocati dubbi di costituzionalità;

    che, difatti, pur all'esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 254 del 2000, la disciplina in contestazione, oltre a presentare i già denunciati vizi di costituzionalità, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 32 della Costituzione, atteso che l'esercizio del diritto alla salute appare «indissolubilmente legato alla libertà di scelta del medico da parte del paziente», libertà evidentemente compressa dalla esistenza di limiti che circoscrivono l'attività libero‑professionale, svolta dal medico con responsabilità dirigenziali, all'esercizio unicamente di quella «intramuraria»;

    che su tali basi, pertanto, la predetta società interveniente insiste «nel sollevare questione rilevante di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 32, 41 e 76 della Costituzione», non solo delle norme indicate dal giudice a quo, ma anche «dell'art. 3 del d.lgs. 28 luglio 2000, n. 254»;

    che è intervenuto nel presente giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato;

    che lo stesso, peraltro, si è limitato a richiedere che la questione di legittimità costituzionale «sia dichiarata non fondata», riportandosi integralmente alle argomentazioni svolte nel corso del giudizio culminato nell'adozione dell'ordinanza di questa Corte n. 309 del 2002, e richiamando, oltre a tale pronuncia, anche la successiva ordinanza n. 175 del 2003;

    che all'approssimarsi della camera di consiglio fissata per la discussione della presente questione di legittimità costituzionale tanto il ricorrente nel giudizio a quo, quanto la società interveniente, hanno depositato memorie presso la cancelleria della Corte, insistendo per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale, evidenziando la sua perdurante rilevanza pur alla luce delle modifiche legislative apportate nella materia de qua, rispettivamente, dall'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), dall'articolo 1 della legge regionale della Toscana del 22 ottobre 2004, n. 56, recante «Modifiche alla legge regionale 8 marzo 2000, n. 22 (Riordino delle norme per l'organizzazione del servizio sanitario regionale) in materia di svolgimento delle funzioni di direzione delle strutture organizzative».

    Considerato che il Tribunale di Grosseto ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione – degli artt. 15-quater, 15-quinquies e 15-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e dell'art. 1 del decreto legislativo 2 marzo 2000, n. 49 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, concernenti il termine di opzione per il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari);

    che, peraltro, successivamente all'iniziativa assunta dal giudice rimettente, il legislatore statale è intervenuto a modificare il contenuto di una delle disposizioni impugnate, e segnatamente l'art 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992;

    che, difatti, l'art. 2-septies, comma 1, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica) ha modificato il testo del comma 4 del predetto art. 15-quater, eliminando quel carattere di “irreversibilità” connotante, in origine, la scelta in favore del “rapporto esclusivo” compiuta dai dirigenti sanitari, ed, anzi, più in generale addirittura escludendo che il principio della “esclusività” del rapporto di lavoro continui a costituire condizione indispensabile per accedere alla direzione di struttura semplice e complessa;

    che, per contro, una scelta diametralmente opposta è stata compiuta dal legislatore regionale con intervento ancora posteriore, sostanziatosi, dapprima, nell'art. 1 della legge regionale della Toscana 22 ottobre 2004, n. 56, recante «Modifiche alla legge regionale 8 marzo 2000, n. 22 (Riordino delle norme per l'organizzazione del servizio sanitario regionale) in materia di svolgimento delle funzioni di direzione delle strutture organizzative», nonché successivamente (cioè a dire dopo l'abrogazione di tale legge, operata dall'art. 144, comma 1, lettera f, della legge regionale della Toscana 24 febbraio 2005, n. 40, recante «Disciplina del servizio sanitario regionale»), nell'art. 59 della medesima legge regionale n. 40 del 2005 (che della norma abrogata riproduce, infatti, integralmente il contenuto);

    che, infatti, il legislatore regionale ha stabilito che «gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, del servizio sanitario regionale sono conferiti ai dirigenti di cui all'art. 15-quater, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in regime di rapporto di lavoro esclusivo da mantenere per tutta la durata dell'incarico»;

    che, pertanto, alla luce di tali sopravvenienze legislative – le quali hanno mutato il complessivo quadro normativo che fa da sfondo al dubbio di costituzionalità avanzato dal Tribunale di Grosseto – appare necessario restituire gli atti al giudice rimettente, affinché lo stesso valuti la perdurante rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Grosseto.   

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2005.

Annibale MARINI, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2005.