Sentenza n. 410 del 2005

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SENTENZA N. 410

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA           

- Annibale MARINI                 

- Franco BILE                   

- Giovanni Maria FLICK                  

- Francesco AMIRANTE               

- Ugo DE SIERVO              

- Romano VACCARELLA             

- Paolo MADDALENA              

- Alfio FINOCCHIARO            

- Alfonso QUARANTA               

- Franco GALLO                  

- Luigi MAZZELLA               

- Gaetano SILVESTRI             

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 637, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 27 luglio 2004 dal Tribunale di Genova, nel procedimento civile vertente tra s.p.a. Lindt & Sprungli e Duemme S.r.l. iscritta al n. 988 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2004.

      Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

      udito nella camera di consiglio del 28 settembre 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

      1. – Nel corso di un procedimento per decreto ingiuntivo, promosso dalla Lindt & Sprungli s.p.a., con sede ad Induno Olona, in Provincia di Varese, per ottenere la condanna della Duemme S.r.l., con sede a Verona, al pagamento di euro 3.084,26 quali corrispettivi non saldati per forniture di prodotti dolciari eseguite nel 2003, il giudice designato del Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 27 luglio 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 637, primo comma, del codice di procedura civile, per contrasto con gli artt. 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, «nella parte in cui – secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione – esclude la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio oltre i casi dell'art. 28 cod. proc. civ.».

      Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che, alla richiesta di chiarimenti in ordine alla competenza per territorio del tribunale adito, manifestamente non coincidente con alcun foro generale, alternativo o convenzionale,  la ricorrente, pur senza nulla dedurre circa l'eventuale competenza del Tribunale di Genova, aveva replicato richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, di cui è esempio Cass. 9 aprile 1982, n. 2001 (recte, 2201), secondo cui solo la parte convenuta può eccepire l'incompetenza territoriale fuori dei casi di competenza inderogabile previsti dall'art. 28 cod. proc. civ.

      Il rimettente, pertanto, con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, pur premettendo che la lettera della norma denunciata («per l'ingiunzione è competente il giudice di pace o, in composizione monocratica, il tribunale che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria») non esclude la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza territoriale «semplice», osserva tuttavia che al consolidato orientamento negativo della giurisprudenza di legittimità sopra richiamato, risalente alla sentenza del 6 febbraio 1969, n. 400 della Cassazione, si aggiunge anche la sentenza [recte, l'ordinanza] n. 218 del 1996 della Corte costituzionale che ha dichiarato la manifesta infondatezza di analoga questione sollevata con riferimento all'art. 25 Cost.

      Ad opinione del giudice a quo, comunque, la nuova formulazione dell'art. 111, secondo comma, Cost., in combinato con l'art. 24 della Carta fondamentale, avrebbe determinato un mutamento del quadro costituzionale tale da consentire la riproposizione della questione.

      In particolare, il secondo comma dell'art. 111 Cost., nell'elevare il contraddittorio a valore costituzionale fondante del processo, non consentirebbe più di prevedere «un procedimento che ignori il contraddittorio come essenziale suo presupposto e che non ponga il giudice in condizioni di operare da subito come organo decisorio imparziale»; ragion per cui il procedimento monitorio, il quale non può dirsi incostituzionale per il solo fatto di prevedere una prima fase inaudita altera parte, potrebbe tuttavia essere valutato compatibile col nuovo precetto costituzionale solo «in quanto il deficit di contraddittorio sia controbilanciato da poteri officiosi», necessariamente più penetranti che nel processo ordinario, i quali consentano al giudice un effettivo controllo su «fondamentali scelte attinenti al rito» che, altrimenti, rimarrebbero «unilateralmente rimesse per la prima fase senza contraddittorio alla parte».

      Ritiene, inoltre, il rimettente che sussista un evidente conflitto tra il consolidato orientamento interpretativo richiamato e l'art. 24 Cost., nella parte in cui il primo valuta in modo identico nel processo ordinario ed in quello per decreto ingiuntivo le conseguenze della esclusione del potere di rilievo officioso dell'incompetenza per territorio derogabile.

      Ed infatti, ad avviso del giudice a quo, il creditore che nel procedimento monitorio adisca deliberatamente un giudice territorialmente incompetente, radicato in una sede «disagiata» per la controparte, può sempre fare affidamento sul fatto che quest'ultima, piuttosto che sopportare alti costi processuali, preferisca rinunciare all'opposizione, con la conseguenza di stabilizzare il titolo monitorio, a differenza di quanto accade per il caso di contumacia del debitore convenuto nel giudizio ordinario.

      Né tale inconveniente viene risolto dalla condanna alle spese e al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, rispettivamente previste dagli artt. 91 e 96 cod. proc. civ. in una fase nella quale «la compromissione della possibilità di difesa effettiva è già maturata».

      Il rimettente ritiene infine la questione rilevante nella fase procedimentale in cui è chiamato a decidere, in quanto, alla stregua della tradizionale lettura dell'art. 637 cod. proc. civ. richiamata, non gli è consentito rilevare d'ufficio «l'eclatante incompetenza per territorio» derogabile riscontrata.

      2.– E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha osservato come l'art. 637, primo comma, cod. proc. civ., nel disporre che la competenza del giudice investito della domanda d'ingiunzione si determina in base alle norme generali sulla competenza dettate per il giudizio ordinario, rende operante nel procedimento monitorio anche il disposto dell'art. 38, secondo comma, cod. proc. civ. che sancisce la non rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio derogabile, eccepibile pertanto solo dall'ingiunto con l'opposizione di cui all'art. 645 cod. proc. civ.

      Ha rilevato inoltre l'Avvocatura come la Corte costituzionale abbia più volte dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 38, secondo comma, e 637, primo comma, cod. proc. civ., sollevata con riferimento all'art. 25 Cost., affermando che «la garanzia del giudice naturale precostituito per legge non viene in gioco con riguardo alla ripartizione della competenza territoriale tra giudici dettata da normativa nel tempo anteriore alla istituzione del giudice stesso» (sentenza n. 251 del 1986 e ordinanze n. 218 del 1996 e n. 434 del 1993).

      La deducente osserva infine che le difficoltà derivanti all'ingiunto dall'onere di costituirsi innanzi ad un giudice diverso da quello territorialmente competente non sono dissimili da quelle che deve affrontare qualsiasi convenuto in un giudizio a cognizione ordinaria, ed anzi il primo conseguirebbe, rispetto a quest'ultimo, l'ulteriore risultato per cui con la pronuncia di incompetenza viene ad essere revocato il decreto pronunciato dal giudice incompetente.

Considerato in diritto

      1.– Il Tribunale di Genova dubita, in riferimento agli articoli 24 e 111, comma secondo della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 637, primo comma, cod. proc. civ., «nella parte in cui – secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione – esclude la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio oltre i casi dell'art. 28 cod. proc. civ.» nella fase senza contraddittorio del procedimento per decreto ingiuntivo.

      Il giudice rimettente, dopo aver rilevato che l'art. 637, comma primo, cod. proc. civ. «nel suo letterale tenore, non esclude per vero la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio “semplice”, nei casi diversi dall'art. 28 cod. proc. civ.», osserva che, tuttavia, esiste «un consolidato insegnamento giurisprudenziale, risalente già alla sentenza n. 400 della Cassazione resa nel 1969, secondo cui spetta soltanto all'ingiunto sottoporre l'eccezione di incompetenza per territorio derogabile, con il successivo atto di opposizione, indicando nel contempo il giudice ritenuto competente».

      Ricordato, poi, che questa Corte «si è già espressa al riguardo, ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell'art. 637 cod. proc. civ., per la non rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio, sollevata in riferimento all'art. 25 della Costituzione» (ordinanza n. 218 del 1996), il rimettente sostiene che «la nuova formulazione dell'art. 111, comma secondo, della legge fondamentale introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, da leggersi unitamente al precedente art. 24, abbia significativamente spostato i termini della questione»: in sostanza, l'essere divenuto «il contraddittorio […] valore fondante costituzionale del processo» implicherebbe che, laddove la legge (come nel procedimento monitorio) legittimamente prevede un «deficit di contraddittorio», questo debba essere «controbilanciato da poteri officiosi, che non possono essere solo quelli del rito ordinario in punto di verifica della competenza per territorio, ma che devono essere necessariamente più penetranti».

      2.− La questione non è fondata nei sensi di seguito precisati.

      2.1.− Esponendo le ragioni per le quali ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, il giudice rimettente osserva che non persuade «il parallelismo con il contenzioso ordinario, su cui […] riposa il consolidato orientamento di legittimità […] perché nel procedimento monitorio una sagace (e strumentale) scelta del giudice adito ha effetti ben più penalizzanti, rispetto all'effettivo esercizio del diritto di difesa del destinatario del provvedimento, di quanto non accada nel rito ordinario».

      Questa Corte ha ripetutamente affermato − e tale affermazione merita, in sé, di essere qui ribadita − che la possibilità che il creditore scelga, per agire in monitorio, una sede disagiata per l'ingiunto facendo «affidamento» – così l'ordinanza di rimessione – «sul fatto che la controparte, preoccupata dalla lievitazione dei costi processuali indotta dalla “difesa fuori campo”, preferisca piuttosto rinunciare all'opposizione», dà luogo ad «inconvenienti fattuali e abusi applicativi, che […] non incidono, proprio in quanto tali, sulla legittimità della norma denunciata» (ordinanza n. 218 e, sulla sua scia, ordinanze n. 320 e n. 394 del 1996); sicché non è sotto questo profilo che può contestarsi il “parallelismo con il rito ordinario”, dal momento che anche quest'ultimo consente all'attore di adire un giudice incompetente confidando che il convenuto opti per la contumacia a fronte dei costi da sopportare per difendersi in una sede disagiata (ipotesi considerata da questa Corte quando ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma che, anche nel caso di contumacia del convenuto, esclude la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza territoriale derogabile: sentenza n. 251 del 1986). Ed è con riferimento a questa ipotesi − e non certamente in assoluto (cfr. la citata sentenza n. 251 del 1986) − che questa Corte ha escluso (con le ordinanze citate sopra) che la garanzia del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.) abbia attinenza con la questione (allora) sollevata relativamente all'art. 637 cod. proc. civ.

      In realtà, come osserva anche il rimettente, il «parallelismo con il rito ordinario» è improponibile se si considerano gli effetti che discendono ex lege dal mancato esercizio del diritto di difesa, conseguente al doverlo praticare in una sede disagiata: mentre il convenuto con il rito ordinario, che resti contumace, si vede preclusa soltanto l'eccezione di incompetenza ma non subisce alcuna automatica conseguenza pregiudizievole quanto al merito − equivalendo la contumacia ad integrale contestazione dei fatti costitutivi del diritto azionato dall'attore −, l'ingiunto che non proponga tempestiva opposizione è irreparabilmente pregiudicato nel merito dalla irretrattabilità dell'efficacia esecutiva − originaria ex art. 642 cod. proc. civ., ovvero acquisita ex art. 647 cod. proc. civ. − del decreto ingiuntivo.

      L'«inconveniente fattuale», che subisce il convenuto con il rito ordinario, è di ben altro rilievo per l'ingiunto, il quale è costretto − se vuole evitare la definitiva soccombenza nel merito − a proporre opposizione davanti al giudice funzionalmente competente, arbitrariamente scelto dall'attore in monitorio. Da ciò discende che la situazione dell'ingiunto è assimilabile, più che a quella del convenuto nel rito ordinario, a quella del convenuto straniero davanti al giudice italiano che sia privo di giurisdizione: situazione, quest'ultima, disciplinata (sia dall'abrogato art. 37, comma secondo, cod. proc. civ., sia dal vigente art. 11 della legge 31 maggio 1995, n. 218) nel senso che, in caso di contumacia, il difetto di giurisdizione è rilevabile d'ufficio.

      Se in entrambi i casi − dell'ingiunto e del convenuto straniero − sussiste la medesima esigenza (della rilevabilità ex officio, al fine) di non imporre una onerosa costituzione in giudizio solo per far valere la violazione di norme attinenti all'individuazione del giudice (atteso il pregiudizio che, altrimenti, ne deriverebbe), sotto altro profilo la situazione dell'ingiunto è assimilabile a quella di chi è destinatario di un'istanza cautelare: e dalla disciplina del procedimento cautelare uniforme in punto di incompetenza del giudice adito ante causam (art. 669-septies, cod. proc. civ.) si ricava l'esigenza della rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza − di qualsiasi natura − per ciò solo che esiste la possibilità (art. 669-sexies, comma secondo, cod. proc. civ.) che la misura cautelare venga concessa inaudita altera parte e che l'intimato debba subire, per contestarne la legittimità, la competenza funzionale del giudice arbitrariamente scelto dall'altra parte.

      Non a caso, peraltro, il procedimento monitorio prevede che il giudice provveda al rigetto della domanda d'ingiunzione solo dopo aver fatto presente alla parte istante quanto a suo giudizio osta all'emissione del decreto (e, quindi, nel pieno rispetto del principio ispiratore dell'art. 183, comma terzo, cod. proc. civ.) ed averla sollecitata a fornire elementi utili per superare quelle osservazioni: sicché non soltanto l'attore in monitorio può far valere compiutamente le sue ragioni ma anche, alla pari di quanto prevede il procedimento cautelare uniforme (art. 669-septies), il provvedimento di rigetto non pregiudica in alcun modo la riproposizione, anche davanti al medesimo ufficio giudiziario, della domanda (art. 640 cod. proc. civ.).

      2.2.− Correttamente il rimettente osserva che la lettera dell'art. 637 − specie se letta, deve aggiungersi, in relazione all'art. 640 − «non esclude la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza territoriale “semplice”, nei casi diversi dall'art. 28 cod. proc. civ.», ma ritiene che a questa lettura − l'unica compatibile con i principî costituzionali − si opponga «un consolidato insegnamento giurisprudenziale, risalente già alla sentenza n. 400 della Cassazione resa nel 1969».

      Osserva in proposito la Corte che non può certamente parlarsi di un orientamento giurisprudenziale tale, per costanza ed univocità, da giustificare la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione (l'art. 637 cod. proc. civ.) la cui formulazione è compatibile con una interpretazione conforme a Costituzione.

      In realtà, l'unica decisione expressis verbis dedicata alla questione in esame è costituita dalla sentenza n. 400 del 1969, pronunciata dalla Corte di cassazione in relazione ad una sentenza d'appello che aveva accolto una domanda di revocazione, ex art. 395, n. 2, cod. proc. civ., fondata sulla falsità del luogo di emissione di una cambiale per la quale era stato chiesto decreto ingiuntivo ad un giudice (altrimenti) territorialmente incompetente.

      Questa Corte − non essendo né necessario né opportuno soffermarsi sul criterio di giudizio adottato per decidere una così peculiare fattispecie − deve limitarsi a constatare che la ratio decidendi di quella isolata pronuncia non impedisce al giudice rimettente di adottare una interpretazione dell'art. 637 cod. proc. civ. rispettosa dei principî costituzionali e, in particolare, dell'art. 24 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

      dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 637 del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli articoli 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in epigrafe.

      Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 24 ottobre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2005.