Ordinanza n. 374 del 2005

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ORDINANZA N. 374

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

Presidente

- Fernanda

CONTRI

Giudice

- Guido

NEPPI MODONA

"

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Francesco

AMIRANTE

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

- Paolo

MADDALENA

"

- Alfio

FINOCCHIARO

"

- Alfonso

QUARANTA

"

- Franco

GALLO

"

- Luigi

MAZZELLA

"

- Gaetano

SILVESTRI

"

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza emessa dal Tribunale di Termini Imerese in data 19 dicembre 2003, nel procedimento penale a carico di A.D., iscritta al n. 999 del registro ordinanze 2004, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

  Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Termini Imerese ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, 13 (parametro evocato solo in motivazione), 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettere a) e b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui prevede l’automatico rilascio, da parte del giudice, del nulla osta all’esecuzione dell’espulsione, mediante accompagnamento immediato alla frontiera, dello straniero sottoposto a procedimento penale;

che il giudice a quo - premesso di essere investito del procedimento penale nei confronti di uno straniero tratto in arresto per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, e presentato quindi ad esso giudice per il rito direttissimo «obbligatorio», previsto dal comma 5-quinquies del medesimo articolo - è  chiamato, dopo la convalida dell’arresto, a rilasciare il nulla osta all’espulsione dell’imputato a norma dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;

  che, ad avviso del giudice a quo, l’automatismo nella concessione del nulla osta all’espulsione, prefigurato dalla disciplina richiamata, impedendo al giudice una valutazione comparativa degli interessi coinvolti (gestione efficace dei flussi di immigrazione clandestina, da un lato; diritto di difesa e partecipazione dello straniero al processo, dall’altro), risulterebbe lesivo di molteplici precetti costituzionali;

  che, anzitutto, sarebbe violato l’art. 10 Cost.: e ciò segnatamente ove l’espulsione immediata comporti il rientro dello straniero in uno Stato nel quale gli sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione;

che risulterebbero altresì compromessi il diritto di difesa (art. 24 Cost.) ed i principi del «giusto processo», con particolare riguardo al diritto dell’imputato di essere informato nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; di essere interrogato o rendere dichiarazioni al giudice; di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, e di acquisire ogni mezzo di prova a suo favore (art. 111 Cost.);

che tali diritti non potrebbero ritenersi, infatti, adeguatamente tutelati dalla facoltà di rientro nel territorio dello Stato per l’esercizio del diritto di difesa, previa autorizzazione del questore, accordata allo straniero dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, risultando improbabile che soggetti arrestati per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 vengano a trovarsi, una volta espulsi dal territorio dello Stato, nelle condizioni economiche e materiali per affrontare i gravosi oneri che il rientro temporaneo in Italia comporta;

che la previsione dell’art. 17 si porrebbe, d’altra parte, in apparente contraddizione con quella dell’art. 13, comma 13, del d.lgs. n. 286 del 1998, in forza del quale «lo straniero espulso non può rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno»: onde ne risulterebbe una disciplina ambigua, a fronte della quale lo straniero, che abbia chiesto al questore l’autorizzazione al rientro per l’esercizio del diritto di difesa, rischierebbe di trovarsi esposto ad una nuova e più grave sanzione per non aver ottenuto anche quella del Ministro;

che i dubbi di legittimità costituzionale sarebbero accresciuti dal disposto dell’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in forza del quale, nei casi di cui ai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è stato ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere;

che, bloccando l’esercizio dell’azione penale qualora l’espulsione sia stata effettivamente eseguita, la norma impedirebbe infatti allo straniero di accedere ad un «giusto processo» riguardo ai fatti contestatigli: con violazione non soltanto degli artt. 24 e 111 Cost., ma anche dell’art. 3 Cost. in relazione agli artt. 5, comma 4, e 6 della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dell’art. 13 Cost., prevedendosi un caso di restrizione della libertà personale (arresto obbligatorio) che non trova il suo naturale sbocco nel vaglio giurisdizionale;

che sarebbe censurabile, sul piano del rispetto dei principi di uguaglianza e di difesa, anche la scelta legislativa di imporre, per il reato in questione, un anomalo rito direttissimo: impedendo così, da un lato, al pubblico ministero di esercitare l’azione penale secondo i criteri ordinari e, in particolare, in base alla regola di cui all’art. 449 cod. proc. pen., che configura come facoltativa la diretta presentazione dell’imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento (e ciò segnatamente ove le circostanze concrete possano far ritenere giustificata la permanenza sul territorio dello Stato dello straniero arrestato); e ostacolando, dall’altro, l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato, anche tramite lo svolgimento di indagini difensive tese al reperimento di prove di cause giustificative di detta permanenza;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione «provvisoria» della libertà personale priva di qualsiasi giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;

che, dopo tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il trattamento sanzionatorio della figura criminosa, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni – configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive – fatta eccezione per l’ipotesi dell’ingiustificato trattenimento nel caso di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, la quale mantiene l’originaria natura contravvenzionale (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione);

che, correlativamente, è stata ripristinata – per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa – la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);

che la decisione della Corte e la novella legislativa dianzi indicate – pur non incidendo direttamente né sulla previsione, in forza della quale per i reati considerati si procede con giudizio direttissimo, né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale – hanno comportato sensibili mutamenti delle concrete modalità operative dei meccanismi normativi sottoposti a scrutinio di costituzionalità;

che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare – riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quale quello oggetto del giudizio a quibus) – le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: non potendosi procedere, infatti, all’arresto dell’imputato, alla presentazione diretta in udienza di quest’ultimo a norma dell’art. 558 cod. proc. pen. è venuta a sostituirsi la citazione a comparire con termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura uno spazio temporale preventivo alla difesa, con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di avvenuta espulsione, ove non sia «ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;

che, d’altra parte, una volta che per i fatti dianzi indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;

  che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione – ferma restando, ovviamente, l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di novella in malam partem – alterano la sequenza procedimentale denunciata;

che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere per il reato in questione, riguardo alle fattispecie trasformate in delitti – misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – viene ad incidere sull’«automatismo» del meccanismo di espulsione degli stranieri imputati del reato stesso, contro cui si rivolgono le censure del giudice a quo; e sposta, al tempo stesso, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;

  che gli atti vanno pertanto restituiti al giudice rimettente, ai fini di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione alla luce dei sopravvenuti mutamenti del quadro normativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Termini Imerese.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.