Ordinanza n. 367 del 2005

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ORDINANZA N. 367

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto          CAPOTOSTI                              Presidente

- Fernanda                CONTRI                                     Giudice

- Guido                     NEPPI MODONA                      "

- Annibale                 MARINI                                     "

- Franco                    BILE                                           "

- Giovanni Maria      FLICK                                         "

- Francesco               AMIRANTE                               "

- Ugo                        DE SIERVO                               "

- Romano                  VACCARELLA                         "

- Paolo                      MADDALENA                          "

- Alfio                       FINOCCHIARO                        "

- Alfonso                  QUARANTA                              "

- Franco                    GALLO                                       "

- Luigi                       MAZZELLA                               "

- Gaetano                  SILVESTRI                                "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 3-bis, e 17 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), e dell’art. 558, comma 7, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa dal Tribunale di Velletri in data 7 gennaio 2003, nel procedimento penale a carico di G. M., iscritta al n. 197 del registro ordinanze 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Velletri ha sollevato questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) e, «di conseguenza», dell’art. 17 della «medesima legge» (recte: del medesimo decreto legislativo) e dell’art. 558 del codice di procedura penale; 

che il rimettente − chiamato a rilasciare, a norma dell’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, il nulla osta all’espulsione di uno straniero, dopo averne convalidato l’arresto per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo − osserva come, in base al richiamato comma 3 dell’art. 13, il giudice possa negare il nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di terzi o all’interesse della persona offesa, e non pure per esigenze attinenti al diritto di difesa dell’imputato: rimanendo l’attuazione di quest’ultimo affidata, in tal caso, al meccanismo previsto dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, in forza del quale lo straniero espulso può chiedere al questore di essere autorizzato a rientrare in Italia per l’esercizio del diritto di difesa;

che tale assetto appare tuttavia al rimettente di dubbia conformità agli artt. 3 e 24 Cost.: giacché, da un lato, le garanzie difensive risulterebbero articolate in modo diverso a seconda che l’imputato sia cittadino italiano o straniero; e, dall’altro, i termini ristretti del rito direttissimo, imposto per il reato in questione dall’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998 – e segnatamente la previsione dell’art. 558, comma 7, cod. proc. pen., in forza della quale nel giudizio direttissimo davanti al tribunale in composizione monocratica l’imputato ha diritto ad un termine a difesa non superiore a cinque giorni – impedirebbero di fatto allo straniero, allontanato immediatamente dal territorio dello Stato a seguito del rilascio del nulla osta, di apprestare una adeguata strategia difensiva attraverso il contatto con il proprio difensore;

che l’effettività del diritto di difesa non sarebbe d’altra parte garantita dalla previsione del citato art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, giacché la brevità dei termini processuali non consentirebbe in concreto allo straniero di esercitare in tempo utile la facoltà di rientro nel territorio nazionale ivi prefigurata;

che sarebbe violato, altresì, l’art. 111 Cost., sia perché, in violazione del principio di parità fra accusa e difesa, il diniego del nulla osta è previsto solo in funzione delle esigenze dell’accusa e non anche di quelle dell’imputato; sia in quanto la sequenza procedimentale dell’espulsione non assicurerebbe a quest’ultimo il tempo e le condizioni necessari ai fini della difesa;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione.

Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione «provvisoria» della libertà personale priva di qualsiasi giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;

che, dopo tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il trattamento sanzionatorio della figura criminosa, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni – configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive – fatta eccezione per l’ipotesi dell’ingiustificato trattenimento nel caso di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, la quale mantiene l’originaria natura contravvenzionale (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione);

che, correlativamente, è stata ripristinata – per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa – la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);

che la decisione della Corte e la novella legislativa dianzi indicate – pur non incidendo direttamente né sulla previsione in forza della quale per i reati considerati si procede con giudizio direttissimo, né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale – hanno comportato sensibili mutamenti delle concrete modalità operative dei meccanismi normativi sottoposti a scrutinio di costituzionalità;

che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare – riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quale quello oggetto del giudizio a quo) – le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: non potendosi procedere, infatti, all’arresto dell’imputato, alla presentazione diretta in udienza di quest’ultimo a norma dell’art. 558 cod. proc. pen. è venuta a sostituirsi la citazione a comparire con termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura uno spazio temporale preventivo alla difesa, con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di avvenuta espulsione, ove non sia «ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;

che, d’altra parte, una volta che per i fatti dianzi indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;

  che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione – ferma restando, ovviamente, l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di novella in malam partem – alterano la sequenza procedimentale denunciata;

     che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere per il reato in questione, riguardo alle fattispecie trasformate in delitto – misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – viene ad incidere sull’«automatismo» del meccanismo di espulsione degli stranieri imputati del reato stesso, contro cui si rivolgono, in sostanza, le censure del giudice a quo; e sposta, al tempo stesso, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;

che gli atti vanno pertanto restituiti al Tribunale rimettente, ai fini di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione alla luce dei sopravvenuti mutamenti del quadro normativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Velletri.

Così deciso in Roma,nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.