Ordinanza n. 351 del 2005

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ORDINANZA N. 351

 

ANNO 2005

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai Signori:

 

- Piero Alberto       CAPOTOSTI             Presidente

 

- Fernanda             CONTRI                      Giudice

 

- Guido                  NEPPI MODONA         "

 

- Annibale              MARINI                         "

 

- Franco                 BILE                               "

 

- Giovanni Maria   FLICK                            "

 

- Francesco            AMIRANTE                   "

 

- Ugo                     DE SIERVO                   "

 

- Romano               VACCARELLA             "

 

- Paolo                   MADDALENA              "

 

- Alfio                    FINOCCHIARO            "

 

- Alfonso               QUARANTA                 "

 

- Franco                 GALLO                          "

 

- Luigi                    MAZZELLA                  "

 

- Gaetano               SILVESTRI                   "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, lett. d), della legge 1 agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), promosso con ordinanza del 15 dicembre 2004 dal Tribunale di sorveglianza di Venezia sull'istanza proposta da Bergamo Gianfranco, iscritta al n. 169 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2005.

 

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

    udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

 

    Ritenuto che, con ordinanza del 15 dicembre 2004 (reg. ord. n. 169 del 2005), il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1 agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell'esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena ai condannati ammessi alla semilibertà;

 

    che il rimettente riferisce che il Magistrato di sorveglianza di Venezia aveva dichiarato inammissibile l'istanza di sospensione condizionata della pena presentata dal condannato, ritenendo sussistente la condizione ostativa prevista dal citato art 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, trovandosi l'interessato in regime di semilibertà;

 

    che contro tale provvedimento veniva proposto reclamo, che il rimettente riteneva non meritevole di accoglimento, in quanto risultava corretta l'interpretazione data dal Magistrato di sorveglianza di Venezia della disposizione dell'art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui non consente la concessione del cosiddetto «indultino» ai condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione;

 

    che tale interpretazione, avvalorata dal dato testuale, è coerente con la ratio di deflazione carceraria, diretta ad attenuare il problema del sovraffollamento negli istituti di pena, ispiratrice della legge n. 207 del 2003, posto che i semiliberi sono assegnati ad appositi istituti o ad apposite sezioni autonome di istituti ordinari, e di fatto, per prassi, trascorrono in istituto solo le ore notturne (o in limitati casi i giorni festivi), di talché l'applicazione della misura produce un'attenuazione della detenzione piena, con conseguente espansione degli spazi di libertà, e pertanto l'esigenza deflattiva è meno avvertita;

 

    che, espressamente, l'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 165 del 1998, comprende la semilibertà tra «le misure alternative alla detenzione»;

 

    che, secondo il giudice a quo, la disposizione in questione, così interpretata, attribuisce al sistema una connotazione estremamente criticabile sotto il profilo della razionalità e costituzionalità, e che pertanto è rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale norma;

 

    che, in punto di rilevanza della questione, si osserva nell'ordinanza che è ineliminabile l'applicazione della norma nell'iter logico-giuridico che il Tribunale deve percorrere per la decisione, trovandosi il condannato nelle condizioni previste dall'art. 1 della legge n. 207 del 2003 per l'ammissione all'«indultino», e a ciò ostando solo la perdurante ammissione alla semilibertà;

 

    che, quanto alla non manifesta infondatezza, osserva il rimettente che il procedimento di concessione del nuovo istituto presenta delle evidenti analogie con la misura clemenziale dell'indulto, non essendo demandato al giudice di sorveglianza alcun apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del beneficio né sull'idoneità rieducativa e preventiva, ma esclusivamente l'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimità previsti dalla legge;

 

    che, nella fase esecutiva, invece, l'«indultino» ha come contenuto una serie di obblighi e prescrizioni in gran parte mutuati dalla più ampia delle misure alternative, e cioè l'affidamento in prova al servizio sociale, misura con la quale il nuovo beneficio condivide altri aspetti di disciplina;

 

    che il condannato ammesso alla semilibertà, però, pur essendo stato ritenuto “meritevole” di tale misura, non può accedere all'«indultino», connotato da un regime meno afflittivo della libertà personale, mentre tale beneficio può essere concesso ai condannati che non hanno mai ottenuto, pur avendola richiesta, una misura alternativa, in quanto ritenuti dal Tribunale di sorveglianza non meritevoli della stessa per la condotta irregolare, o connotata da fatti penalmente rilevanti, tenuta in libertà o nel corso dell'esecuzione, o per il mancato conseguimento del grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto, o perché ritenuti dotati di una pericolosità sociale non contenibile con le prescrizioni tipiche di una misura alternativa;

 

    che, inoltre, il nuovo beneficio introdotto dalla legge n. 207 del 2003, si rileva nella ordinanza, può anche, in difetto di esplicita inclusione tra le cause ostative della preclusione disposta dall'art. 58-quater dell'ordinamento penitenziario, essere concesso ai condannati che, già ammessi a una misura alternativa, abbiano subito la revoca della misura per violazione di norme di legge o delle prescrizioni, con conseguente contrasto della norma censurata con l'art. 3 della Costituzione, a causa dell'irragionevole disparità di trattamento riservata, da una parte, ai soggetti che si sono dimostrati meritevoli di una misura alternativa e ne hanno osservato correttamente le prescrizioni, e, dall'altra, a coloro che non hanno mai meritato una misura alternativa, o se la sono vista colpevolmente revocare;

 

    che, sotto altro profilo, prosegue il giudice a quo, la norma appare in contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione per la lesione del principio del finalismo rieducativo della pena e del principio della progressività trattamentale, dal momento che il tendenziale automatismo previsto dalla legge per la concessione dell'«indultino» non lascia spazio ad alcuna valutazione discrezionale del giudice in merito all'idoneità rieducativa del beneficio e al raggiungimento da parte del condannato di un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto;

 

    che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.

 

    Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 3, lett. d), della legge 1° agosto 2003, n. 207,  nella parte in cui non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena ai condannati ammessi alla semilibertà per violazione dell'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti che si sono dimostrati meritevoli di una misura alternativa e ne hanno osservato correttamente le prescrizioni, e coloro che non hanno mai meritato una misura alternativa, o se la sono vista colpevolmente revocare; nonché per violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, perché la pena non avrebbe alcuna funzione rieducativa o preventiva, non disponendo il giudice di sorveglianza di alcun potere discrezionale in ordine alla concessione del beneficio;

 

    che, successivamente alla proposizione della questione, questa Corte, con sentenza n. 278 del 2005, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del censurato art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, che, nei confronti del condannato che abbia scontato almeno la metà della pena, esclude l'applicazione della sospensione condizionata dell'esecuzione della pena stessa, nel limite di due anni, quando la persona condannata sia stata ammessa alle misure alternative alla detenzione, per la disparità di trattamento fra il condannato che, perché meritevole, sia stato ammesso a misure alternative alla detenzione e il condannato che, o perché immeritevole o per non avere mai avanzato la relativa richiesta, non sia stato ammesso al godimento di tali misure, non potendo la circostanza dell'ammissione o meno a misure alternative alla detenzione costituire un discrimine per il godimento del c.d. «indultino», e ciò soprattutto ove si tenga presente che di quest'ultimo possono godere condannati non ritenuti meritevoli di misure alternative e non anche coloro che sono stati giudicati meritevoli di tali misure;

 

    che va ordinata la restituzione degli atti al giudice rimettente, al fine di una nuova valutazione della rilevanza della questione proposta, alla luce della sopravvenuta sentenza di questa Corte (cfr., negli stessi sensi, ex plurimis, ordinanze nn. 229, 206, 180 del 2005).

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

    ordina la restituzione degli atti al giudice a quo.

 

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2005.

 

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

 

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2005.