Ordinanza n. 259 del 2005

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ORDINANZA N. 259

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

Presidente

- Guido

NEPPI MODONA

Giudice

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Francesco

AMIRANTE

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

- Paolo

MADDALENA

"

- Alfio

FINOCCHIARO

"

- Alfonso

QUARANTA

"

- Franco

GALLO

"

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 180, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), promosso con ordinanza del 7 maggio 2004 dalla Corte d’appello di Brescia nel procedimento penale a carico di E. G. ed altro, iscritta al n. 943 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visto l’atto di costituzione di E. G.;

  udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe – emessa nel corso di un processo penale, in grado di appello, nei confronti di persone imputate del reato previsto dalla norma impugnata – la Corte d’appello di Brescia ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 180, comma 1, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52), nella parte in cui prevede per il delitto di abuso di informazioni privilegiate una pena notevolmente superiore a quella precedentemente comminata dall’omologa disposizione contenuta nell’art. 2 della legge 17 maggio 1991, n. 157 (Norme relative all’uso di informazioni riservate nelle operazioni in valori mobiliari e alla Commissione nazionale per le società e la borsa);

che, ad avviso del giudice rimettente, l’incremento della pena edittale di tale delitto, attuato dalla norma denunciata (reclusione fino a due anni e multa da venti a seicento milioni di lire), non troverebbe fondamento nella legge di delegazione 6 febbraio 1996, n. 52 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1994);

che l’art. 8 di tale legge, sulla cui base il d.lgs. n. 58 del 1998 è stato emanato, delegava infatti il Governo ad emanare, entro due anni dall’entrata in vigore della legge stessa, «testi unici delle disposizioni dettate in attuazione della delega prevista dall’articolo 1» – finalizzata, a propria volta, al recepimento di determinate direttive comunitarie – «coordinandovi le norme vigenti nelle stesse materie, ed apportando alle medesime le integrazioni e modificazioni necessarie al predetto coordinamento»;

che, a fronte di tale previsione – prosegue il giudice a quo – il legislatore delegato ha quindi apportato modifiche alla descrizione della fattispecie criminosa dell’abuso di informazioni privilegiate, precedentemente contemplata dall’art. 2 della legge n. 157 del 1991: e ciò con riferimento, ad esempio, all’oggetto degli scambi (individuato, in linea con la terminologia delle direttive comunitarie in materia, negli «strumenti finanziari», anziché nei «valori mobiliari»); al concetto di «informazione privilegiata» (che sostituisce quello di «informazione riservata»); ed al requisito dell’idoneità della stessa ad influenzare sensibilmente i prezzi;

che fra le integrazioni e modificazioni necessarie al coordinamento, che l’art. 8 della legge delega autorizzava ad attuare, non sarebbe tuttavia possibile includere anche l’aggravamento del trattamento sanzionatorio della figura delittuosa;

che il citato art. 2 della legge n. 157 del 1991 comminava, infatti, per il «reato base», la pena della reclusione fino ad un anno e della multa da dieci a trecento milioni di lire, prevedendone il raddoppio per il reato proprio degli azionisti di controllo, degli amministratori, liquidatori, direttori generali, dirigenti o sindaci della società, commesso dopo la convocazione del consiglio di amministrazione, o organo equivalente, e prima che la relativa deliberazione fosse resa pubblica;

che la scelta del legislatore delegato, in punto di allineamento del trattamento sanzionatorio della fattispecie all’ipotesi che in precedenza era considerata più grave – e che peraltro è scomparsa nella nuova norma incriminatrice – non solo non rifletterebbe alcuna esigenza di coordinamento con le disposizioni sopraggiunte; ma non sarebbe neppure imposta dalle direttive comunitarie in materia – ed in particolare dalla direttiva 89/592/CEE – le quali si limitavano a richiedere la comminatoria di sanzioni «sufficientemente dissuasive»;

che nel senso dell’esclusione di qualsiasi aggravamento della pena militerebbe anche la previsione dell’art. 21 della legge delega n. 52 del 1996, ove si stabiliva che – in sede riordinamento normativo, da attuare ai sensi dell’art. 8 della stessa legge, delle materie concernenti gli intermediari, i mercati finanziari e mobiliari e gli altri aspetti comunque connessi – «le sanzioni amministrative e penali potranno essere coordinate con quelle già comminate da leggi vigenti in materia bancaria e creditizia, per violazioni che siano omogenee e di pari offensività»;

che, ad avviso del giudice rimettente, in sede di attuazione della delega, si è presumibilmente ravvisata la necessità di adeguare la risposta punitiva alla pericolosità dei comportamenti incriminati, anche a fronte della accresciuta sensibilità sociale per il fenomeno regolato: ma una simile valutazione non avrebbe potuto essere operata autonomamente dal Governo, rimanendo affidata in via esclusiva al Parlamento;

che la questione assumerebbe, d’altra parte, specifico rilievo nel giudizio a quo, avendo il giudice di primo grado quantificato la pena in misura corrispondente al massimo di quella prevista dalla vecchia disposizione;

che si è costituito nel giudizio di costituzionalità E. G., imputato appellante nel processo a quo, il quale ha svolto deduzioni adesive alle tesi del giudice rimettente, chiedendo l’accoglimento della questione.

Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuta la legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 27 aprile 2005, serie generale, supplemento ordinario n. 96, il cui art. 9 – novellando il d.lgs. n. 58 del 1998 – ha integralmente ridisegnato la disciplina dell’abuso di informazioni privilegiate, in attuazione della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e delle direttive di attuazione della Commissione 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE;

che, a seguito di tale intervento normativo, la figura criminosa de qua – contemplata dal nuovo art. 184 del citato decreto legislativo – risulta modificata sia in rapporto alla descrizione del fatto incriminato che con riguardo alla risposta punitiva;

che, sul primo versante – al di là del mutamento della formula identificativa dei soggetti attivi del reato (alinea del comma 1 del citato art. 184); dell’estensione dell’incriminazione ad ulteriori categorie di soggetti (comma 2); delle modifiche apportate alla descrizione delle singole condotte penalmente rilevanti (lettere a, b e c del comma 1); e delle precisazioni relative agli strumenti finanziari di riferimento (comma 4) – viene in particolare rilievo la più puntuale ed analitica definizione del concetto di «informazione privilegiata», offerta dal nuovo art. 181 del d.lgs. n. 58 del 1998;

che detta disposizione specifica, tra l’altro, la valenza dei requisiti del «carattere preciso» e dell’idoneità dell’informazione, ove resa pubblica, ad influire in modo sensibile sui prezzi di strumenti finanziari (c.d. price sensitivity): enunciando, a tal fine – in linea con le previsioni delle direttive comunitarie dianzi citate – parametri di identificazione delle notizie tutelate, che sono invece assenti nella disciplina anteriore (commi 3 e 4 dell’art. 181);

che, sul secondo versante – quello del trattamento sanzionatorio – la pena risulta notevolmente inasprita (reclusione da uno a sei anni e multa da euro ventimila a euro tre milioni: comma 1 del nuovo art. 184 del d.lgs. n. 58 del 1998), con parallelo ampliamento del potere del giudice di aumentare la multa, ove ritenuta inadeguata anche se applicata nel massimo (comma 3 dell’art. 184); inoltre, l’abuso di informazioni privilegiate viene sanzionato anche in via amministrativa, facendo peraltro espressamente «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» (nuovo art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998);

che si impone, di conseguenza, la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza della questione: e ciò non tanto in rapporto al diverso regime sanzionatorio della figura criminosa (essendo evidente che la nuova disciplina legislativa, se vale senz’altro a sanare per il futuro il supposto eccesso di delega denunciato dal rimettente, resta comunque inapplicabile ai fatti anteriori, trattandosi di modifica in peius); quanto piuttosto in relazione ai sopravvenuti mutamenti nella descrizione del fatto tipico, e segnatamente alla nuova e più specifica definizione dell’informazione oggetto degli abusi incriminati: mutamenti a fronte dei quali si rende necessario che il rimettente verifichi se la fattispecie concreta sottoposta al suo esame resti o meno tuttora penalmente significativa.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Corte d’appello di Brescia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria l'1  luglio 2005.