Ordinanza n. 251 del 2005

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ORDINANZA N. 251

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

-         composta dai Signori:

-         Piero Alberto                CAPOTOSTI                         Presidente

-         Fernanda                       CONTRI                                Giudice

-         Guido                           NEPPI MODONA                     "

-         Annibale                       MARINI                                     "

-         Giovanni Maria           FLICK                                         "

-         Francesco                      AMIRANTE                               "

-         Ugo                               DE SIERVO                               "

-         Romano                        VACCARELLA                        "

-         Paolo                             MADDALENA                          "

-         Alfio                             FINOCCHIARO                        "

-         Alfonso                         QUARANTA                             "

-         Franco                           GALLO                                      "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a) del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promossi con ordinanze del 13 maggio 2004 dalla Corte d’appello di Torino e del 6 maggio 2004 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Venezia nei procedimenti penali a carico di F. B. e di D. F. F. ed altri iscritte ai nn. 723 e 934 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2005 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto che, con ordinanza del 13 maggio 2004 la Corte d'appello di Torino ha sollevato, in riferimento all’art. 24, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), secondo cui l'ammissione al gratuito patrocinio è esclusa per l'indagato, l'imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;

che, rileva il rimettente, B. F. aveva presentato ricorso contro il provvedimento di altra sezione della Corte d’appello che aveva rigettato la sua istanza di ammissione al gratuito patrocinio;

che il ricorrente era stato condannato per i reati di cui agli artt. 8 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle norme finanziarie), 110 cod. pen. e 4 lettera d), del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982, n. 516, per avere emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti di diverse società negli anni 1995 e 1996 e aveva documentato i requisiti reddituali richiesti dal d.P.R. n. 115 del 2002 per ottenere il gratuito patrocinio;

che, pertanto, la decisione della questione di costituzionalità è, ad avviso del rimettente, rilevante nel giudizio a quo;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte d’appello rileva che il legislatore costituzionale ha previsto, come unico requisito per l'ammissione al gratuito patrocinio, lo stato di non abbienza, con esclusione di ulteriori limitazioni (art. 24, terzo comma, della Costituzione), mentre  con la norma impugnata il legislatore ordinario ha apportato una deroga al principio sancito dalla norma costituzionale;

che con ordinanza del 6 maggio 2004 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma impugnata con l’ordinanza di cui sopra, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27, secondo comma, della Costituzione;

che, secondo il  rimettente, F. D. F.', imputato del reato di cui all'art. 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), per aver emesso, al fine di consentire a terzi l'evasione fiscale, delle fatture relative ad operazioni inesistenti, aveva chiesto di essere ammesso al gratuito patrocinio, e che la questione di legittimità costituzionale aveva decisiva rilevanza nel processo, riguardando il fondamentale diritto di difesa dell'imputato;

 che la norma costituzionale garantirebbe il diritto di difesa dei non abbienti, senza alcuna limitazione, per cui non sarebbe consentito al legislatore escludere coloro che siano in possesso dei requisiti reddituali previsti solo perché è stato loro ascritto un particolare tipo di reato;

che la disposizione impugnata porrebbe, invece, una presunzione assoluta per cui chi è indagato ovvero imputato di un reato finanziario non possa essere in condizioni economiche disagiate o, comunque, non sia meritevole della tutela a spese dello Stato, in contrasto con altra disposizione costituzionale per cui la persona non può essere considerata colpevole fino alla condanna definitiva (art. 27, secondo comma, della Costituzione), ed in violazione, altresì, di un semplice criterio di ragionevolezza, giacché è evidente che taluno possa essere incriminato erroneamente e venire poi assolto;

che la limitazione introdotta dal legislatore creerebbe inoltre, a giudizio del rimettente, un'ingiustificata disparità di trattamento nei confronti degli indagati o imputati di altre violazioni penali, in violazione del principio di cui all'art. 3 Costituzione;

che, nel caso di specie, peraltro, sarebbe stata contestata non già una condotta di vera e propria evasione fiscale bensì, sostanzialmente, una condotta di favoreggiamento dell'evasione di altri;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, nel giudizio introdotto con l’ordinanza del Tribunale di Venezia, ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima questione, vanno riuniti per essere decisi con unico provvedimento;

che i provvedimenti di rimessione omettono di fornire qualsiasi descrizione in ordine alle fattispecie concrete sottoposte all’esame dei giudici a quibus, dal momento che, in particolare, l’ordinanza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Venezia  non accenna alla sussistenza dei presupposti reddituali previsti per la concessione del beneficio, mentre quella della Corte d’appello di Torino si limita ad affermare che il Fabbri «ha documentato i requisiti reddituali richiesti dal d.P.R. n. 115/2002», senza tenere presente l’insufficienza della sola documentazione al predetto fine, ove non avvalorata dal riferimento al tenore di vita, alle condizioni personali e familiari e alle attività  economiche eventualmente svolte (art. 96, secondo comma, del d.P.R. n. 115 del 2002), dal momento che, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, la norma impugnata, nell’escludere il beneficio del patrocinio dello Stato limitatamente ad una particolare categoria di reati, presume, non irragionevolmente, l’impossibilità di verifica delle condizioni economiche dell’autore sulla sola base documentale (Cass. n. 31177 del 2004 e n. 2023 del 2000);

che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice deve rendere esplicite le ragioni che lo inducono a sollevare la questione di costituzionalità con una motivazione autosufficiente, tale da permettere la verifica della valutazione sulla rilevanza, ciò che, per le evidenziate lacune, non risulta possibile nei casi di specie;

che tale insufficienza della motivazione, non consentendo alla Corte il controllo sulla rilevanza della questione nei giudizi a quibus, determina la manifesta inammissibilità della questione sollevata (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 365, n. 309 e n. 257 del 2004).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevate, in riferimento all’articolo 24, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino, e, in riferimento agli articoli 3, 24 e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Venezia, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'1  luglio 2005.