Ordinanza n. 239 del 2005

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ORDINANZA N. 239

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                           Presidente

- Fernanda    CONTRI                                                        Giudice

- Guido         NEPPI MODONA                                             ”

- Annibale     MARINI                                                            ”

- Giovanni Maria FLICK                                                         ”

- Francesco   AMIRANTE                                                      ”

- Ugo            DE SIERVO                                                      ”

- Romano      VACCARELLA                                                ”

- Paolo          MADDALENA                                                 ”

- Alfio           FINOCCHIARO                                               ”

- Alfonso      QUARANTA                                                     ”

- Franco        GALLO                                                              ”

ha pronunciato la seguente                                          

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione aggiunta dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1 della legge 22 marzo 2001, n. 85), come modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214, promossi con ordinanze del 12 maggio 2004 dal Giudice di pace di Asola, del 9 luglio 2004 dal Giudice di pace di S. Giovanni in Persiceto, del 2 luglio 2004 dal Giudice di pace di Arcidosso e del 13 settembre 2004 dal Giudice di pace di Livorno, rispettivamente iscritte ai nn. 843, 927, 962 e 1003 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44, 47 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2004 e n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che i Giudici di pace di Asola (r.o. n. 843 del 2004), San Giovanni in Persiceto (r.o. n. 927 del 2004), Arcidosso (r.o. n. 962 del 2004) e Livorno (r.o. n. 1003 del 2004), hanno sollevato questione di legittimità costituzionale – adducendo, nel complesso, la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 27 Cost. – dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), norma introdotta dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;

che, in particolare, il rimettente di Asola (r.o. n. 843 del 2004) – nel premettere di essere stato adito da una società a responsabilità limitata per l’annullamento di un verbale di contestazione di infrazione stradale – deduce che il predetto art. 126-bis, comma 2, del codice della strada contrasterebbe con l’art. 3 Cost.;

che, a suo avviso, l’impugnata disposizione – che pone a carico del proprietario del veicolo a mezzo del quale sia stata commessa la violazione di determinate norme del codice della strada (meglio identificate nella tabella allegata al predetto art. 126-bis) l’obbligo di comunicare, qualora l’autore dell’illecito amministrativo non risulti essere stato identificato al momento della rilevata infrazione, i dati personali e della patente di costui – determinerebbe «una palese disparità di trattamento tra i cittadini», e ciò «sotto un duplice profilo»;

che essa, in primo luogo, nel ricollegare all’omessa comunicazione dei dati suddetti l’applicazione, a carico del proprietario del veicolo, della misura della decurtazione dei punti dalla patente, realizzerebbe «una disparità di trattamento tra i soggetti proprietari del veicolo», a seconda che gli stessi siano «muniti di patente», ovvero ne siano privi, «risultando di fatto punibili con la decurtazione della patente» soltanto i primi;

che prevedendo, inoltre, la disposizione impugnata, quale ulteriore effetto del mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione sopra meglio descritto, «l’automatica applicabilità dell’art. 180», comma 8, del medesimo codice della strada (e quindi della sanzione pecuniaria da esso contemplata), determinerebbe «il sorgere di una situazione di evidente disparità di trattamento tra il cittadino che si sia attivato per collaborare con l’Autorità procedente – anche solo al fine di informarla dell’oggettiva impossibilità di rendere la dichiarazione richiesta – ed il cittadino che, noncurante all’invito, mantenga un comportamento volutamente omissivo, di assoluta inerzia, rifiutando ogni forma di collaborazione»;

che, con specifico riferimento a tale secondo profilo di disparità di trattamento, il rimettente rileva come «la ratio sottesa all’art. 180» del codice della strada – secondo quanto evidenziato dalla stessa giurisprudenza di legittimità – sia «quella di sanzionare il rifiuto della condotta collaborativa con l’Autorità»;

che, di conseguenza, sarebbe lesivo del principio di eguaglianza «il dettato di una norma di legge che importa l’automatica applicazione di una sanzione amministrativa» sia «al cittadino che non ottemperi all’invito della stessa Autorità di fornire informazioni ai fini dell’accertamento delle violazioni amministrative» (secondo quanto espressamente previsto dal citato art. 180), sia «a quello che tali informazioni fornisca anche se poi in concreto le stesse possano risultare non utili al fine dell’accertamento della violazione»;

che, inoltre, secondo il rimettente una ulteriore conferma dell’illegittimità costituzionale della norma de qua, per violazione dell’art. 3 Cost., conseguirebbe dalla valutazione della natura di sanzione accessoria che connota la misura della decurtazione del punteggio dalla patente;

che, difatti, ai sensi degli artt. 196 del codice della strada e 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), l’applicazione del principio di solidarietà nei confronti del proprietario del veicolo a mezzo del quale venne commessa l’infrazione stradale (o più in generale qualunque illecito amministrativo, in forza di quanto specificamente disposto dal secondo degli articoli di legge suddetti), opera «con riguardo esclusivo al pagamento della somma dovuta dall’autore della violazione», dovendo per contro escludersi «qualsiasi forma di solidarietà del proprietario stesso per qualsivoglia sanzione avente natura diversa da quella pecuniaria»;

che, invero, il carattere «personale» della responsabilità, «per tutte le fattispecie di violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa», costituisce un principio «ulteriormente confermato» dall’art. 3 della citata legge n. 689 del 1981;

che su tali basi il rimettente di Asola ha, quindi, concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada «nella parte in cui prevede che, nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione, al fine della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida, deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, nonché laddove prevede che se il proprietario del veicolo omette di fornire i dati personali e della patente di guida del conducente, si applichi a suo carico la sanzione prevista dall’art. 180, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285»;

che anche il Giudice di pace di San Giovanni in Persiceto (r.o. n. 927 del 2004) – investito dell’opposizione avverso un verbale di contestazione di infrazione stradale, con il quale, in applicazione dell’art. 180, comma 8, del codice della strada, veniva inflitta alla ricorrente una sanzione pecuniaria – censura l’art. 126-bis, comma 2, del medesimo codice;

che il rimettente deduce, in primo luogo, la violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., giacché la disposizione impugnata «punisce a titolo di responsabilità oggettiva il proprietario del veicolo»;

che la norma censurata, inoltre, contravvenendo sia al principio della responsabilità personale, nonché a quello secondo cui la sanzione può applicarsi solo se la violazione sia stata commessa con coscienza e volontà (ambedue sanciti dal già menzionato art. 3 della legge n. 689 del 1981), violerebbe anche l’art. 27 della Carta fondamentale;

che in forza di tali rilevi il suddetto giudice a quo ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada «nella parte in cui obbliga il proprietario del veicolo, in caso di mancata identificazione del conducente, a comunicare i dati personali e della patente di quest’ultimo all’organo di polizia che ha proceduto all’accertamento della violazione»;

che anche il Giudice di pace di Arcidosso (r.o. n. 962 del 2004) dubita, del pari, della legittimità costituzionale della disposizione suddetta;

che il predetto rimettente assume, in primis, che l’imposizione, al proprietario del veicolo, dell’obbligo di comunicazione dei dati personali e della patente del conducente responsabile dell’infrazione – «sotto pena, in caso di omissione, di decurtazione di punti alla propria patente di guida, se persona fisica munita di abilitazione, o di maggiorazione della sanzione pecuniaria, se persona giuridica» – violerebbe l’art. 2 Cost.;

che la disposizione impugnata, difatti, in contrasto con il testé evocato parametro costituzionale, ad un tempo lederebbe «il diritto alla riservatezza» spettante al trasgressore, nonché imporrebbe «illegittimamente, al proprietario non responsabile dell’infrazione di violare la privacy altrui», per di più inutilmente, «poiché, individuato dagli agenti l’effettivo conducente, i dati ad esso relativi sono reperibili attraverso l’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida»;

che il censurato art. 126-bis, comma 2, violerebbe, inoltre, l’art. 3 Cost., poiché comporterebbe una disparità di trattamento, tanto sotto il profilo della «applicazione concreta della sanzione» (giacché ricollegherebbe sanzioni di natura diversa – quella pecuniaria nel primo caso, quella personale della decurtazione del punteggio dalla patente nell’altro – a seconda che la proprietà del veicolo sia di una persona giuridica o fisica), quanto della «effettività dell’applicazione stessa», facendola dipendere – nella seconda delle due ipotesi appena indicate – dall’esistenza del titolo amministrativo di «abilitazione alla guida»;

che, infine, anche il Giudice di pace di Livorno (r.o. n. 1003 del 2004) – nel premettere di dover giudicare della domanda, presentata da una società a responsabilità limitata, di annullamento di un provvedimento amministrativo «con il quale è stata contestata la mancata comunicazione del nominativo del conducente» (responsabile di infrazione stradale perpetrata mediante autovettura di proprietà della società ricorrente), nonché irrogata alla predetta società una sanzione pecuniaria – deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada che impone siffatto obbligo di comunicazione;

che l’impugnata disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, giacché imporrebbe al legale rappresentante della persona giuridica o di autodenunciarsi, o di cagionare un danno patrimoniale alla società che rappresenta, o, nel caso in cui non sia il conducente del veicolo, di denunciare un terzo soggetto;

che in particolare, secondo il rimettente, l’alternativa tra i primi due comportamenti violerebbe l’art. 24 Cost., giacché costringerebbe ad agire contro se stessi «o, comunque, in danno di un soggetto di cui si ha la cura degli interessi, con evidente violazione del diritto di difesa»;

che, invece, l’obbligo di denuncia del terzo conducente violerebbe l’art. 3 Cost. «sotto il profilo del difetto di ragionevolezza e della disparità di trattamento», atteso che «nel nostro ordinamento l’attività di individuazione dei responsabili è attribuita alla Pubblica Autorità», sussistendo – a dire del giudice a quo – addirittura «un diritto dei cittadini a non collaborare», il quale «trova deroga o nel processo penale» (ove sussiste l’obbligo di deporre in qualità di testimoni), ovvero «in casi di particolari gravità ed allarme sociale», quali quelli contemplati dall’art. 364 cod. pen. o dall’art. 3 del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia), convertito con modificazioni nella legge 15 marzo 1991, n. 82.

Considerato che i Giudici di pace meglio indicati in epigrafe hanno sollevato questione di legittimità costituzionale – adducendo, complessivamente, la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 27 della Costituzione – dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto 2003, n. 214;

che tutte le questioni sollevate, per la loro evidente connessione, vanno trattate congiuntamente, per cui va disposta la riunione dei relativi giudizi;

che questa Corte, investita di analoghe questioni aventi ad oggetto sempre l’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, ha concluso nel senso dell’illegittimità costituzionale di tale disposizione (sentenza n. 27 del 2005);

che, pertanto, in relazione alle questioni sollevate da tutti gli odierni rimettenti deve darsi atto come questa Corte abbia già affermato che la disposizione impugnata «dà vita ad una sanzione assolutamente sui generis, giacché la stessa – pur essendo di natura personale – non appare riconducibile ad un contegno direttamente posto dal proprietario del veicolo e consistente nella trasgressione di una specifica norma relativa alla circolazione stradale»;

che su tali basi questa Corte ha, quindi, concluso per la declaratoria d’incostituzionalità della norma suddetta, giacché «proprio la peculiare natura della sanzione prevista dall’art. 126-bis» (e segnatamente la sua incidenza sulla «legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo»), «fa emergere l’irragionevolezza della scelta legislativa di porre la stessa a carico del proprietario del veicolo che non sia anche il responsabile dell’infrazione stradale» (sentenza n. 27 del 2005);

che, peraltro, questa Corte ha anche affermato come in ragione del disposto accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza, si renda necessario precisare che, «nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all'art. 180, comma 8, del codice della strada» (sentenza n. 27 del 2005);

che, in questo modo, risulta anche «fugato il dubbio» – che pure è stato avanzato da alcuni degli odierni rimettenti – «in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o meno di patente» (così, conclusivamente, la citata sentenza n. 27 del 2005);

che, dunque, alla stregua di tale sopravvenuta decisione, vanno restituiti gli atti ai suddetti giudici a quibus.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti ai Giudici di pace di Asola, San Giovanni in Persiceto, Arcidosso e Livorno.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8  giugno 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2005.