Ordinanza n. 237 del 2005

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ORDINANZA N. 237

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-  Piero Alberto                       CAPOTOSTI                               Presidente

-  Guido                                  NEPPI MODONA                        Giudice

-  Annibale                              MARINI                                              "

-  Franco                                 BILE                                                    "

-  Giovanni  Maria                  FLICK                                                "

-   Francesco                           AMIRANTE                                       "

-   Ugo                                    DE SIERVO                                       "

-   Romano                              VACCARELLA                                 "

-   Paolo                                  MADDALENA                                  "

-   Alfio                                   FINOCCHIARO                                "

-  Franco                                 GALLO                                               "        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile promosso con ordinanza del 21 maggio 2004 dal Giudice di pace del Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra Alberto Taddei e la Graphic Center di Fratoni Edoardo & C. s.a.s., iscritta al n. 844 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2005 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che il Giudice di pace di Firenze, con ordinanza emessa il 21 maggio 2004, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 36, primo comma, 41, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevede la concedibilità dell’ordinanza ingiuntiva anticipatoria in corso di causa anche per i crediti vantati dai professionisti ex art. 633, primo comma, numero 2, cod. proc. civ.»;

che l’ordinanza è stata resa nel corso di un processo civile, avente ad oggetto crediti riguardanti onorari per prestazioni professionali giudiziali effettuate da un avvocato nei confronti di una cliente, nel quale l’attore ha chiesto la pronuncia dell’ordinanza di cui all’art. 186-ter cod. proc. civ.;

che il rimettente – dando atto che questa Corte, con ordinanza n. 545 del 2000, ha già dichiarato manifestamente infondata analoga questione di legittimità costituzionale della stessa norma – osserva che tuttavia, diversamente da allora, nella presente fattispecie «il professionista creditore ha richiesto l’emissione di detta ordinanza anticipatoria non già sulla base della mera produzione di parcelle corredate dal parere del proprio ordine professionale, bensì sulla base di una articolata documentazione comprovante l’attività effettivamente svolta in favore del cliente debitore», la quale, ai fini della valutazione spettante al giudice della cognizione piena «appare senz’altro idonea ad assumere una valenza probatoria più consistente rispetto a quella di cui all’art. 636 cod. proc. civ., in termini di presumibile resistenza alle contestazioni di controparte […], nell’ottica della decisione definitiva»;

che, secondo il rimettente, in questa situazione istruttoria i dubbi di irrazionalità e lesività del principio di uguaglianza da parte della norma impugnata non possono dirsi superati dai rilievi espressi dalla Corte nella richiamata ordinanza;

che, inoltre, la norma si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 111, secondo comma, 41, secondo comma, e 36, primo comma, Cost., giacché l’esclusione del provvedimento anticipatorio prevista dalla norma impugnata costringe il professionista-creditore, munito nel giudizio ordinario di cognizione della documentazione relativa all’attività svolta in favore del cliente-debitore, a dare impulso, ciò nonostante, a tutti i necessari atti processuali istruttori, a precisare le conclusioni e ad attendere la pronuncia della sentenza finale di merito; così determinando irragionevolmente: a) una durata del processo ben superiore a quella strettamente necessaria, con ingiustificato inflazionamento del carico giudiziario dell’ufficio interessato; b) la superfluità dell’attività economico-professionale nel giudizio ordinario del professionista-creditore e del collega-difensore in contrasto con l’utilità sociale, ovvero, al contrario, il rischio per entrambi di non essere remunerati in proporzione alla quantità ed alla qualità del lavoro svolto;

che, infine, tali dubbi di costituzionalità non verrebbero meno perché il professionista-creditore può richiedere l’emissione, in luogo del provvedimento di cui alla norma in esame, dell’ordinanza anticipatoria di condanna ex art. 186-quater cod. proc. civ., in quanto comunque – «tenuto conto del contenuto sostanzialmente “imprenditoriale” dell’attività esercitata dai professionisti» – permarrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra costoro, che possono scegliere fra tre opzioni (procedimento monitorio ante causam, giudizio ordinario di cognizione con istanza ex art. 186-quater cod. proc. civ. e giudizio ordinario di cognizione con sentenza finale di merito) e tutte le altre categorie di imprenditori commerciali, che possono avvalersi anche dell’istanza ex art. 186-ter cod. proc. civ;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione.

Considerato che il rimettente – pur consapevole che questa Corte, con ordinanza n. 545 del 2000, ha dichiarato manifestamente infondata analoga questione di legittimità costituzionale della norma impugnata – specifica, tuttavia, che la fattispecie allora considerata si differenzia da quella del giudizio a quo, nella quale il professionista creditore ha chiesto l’adozione dell’ordinanza-ingiunzione, «non già sulla base della mera produzione di parcelle corredate dal parere del proprio ordine professionale», bensì di una «articolata documentazione comprovante l’attività effettivamente svolta in favore del cliente debitore», che (a giudizio del rimettente), ai fini della valutazione spettante al giudice della cognizione piena, «appare senz’altro idonea ad assumere una valenza probatoria più consistente rispetto a quella di cui all’art. 636 cod. proc. civ., in termini di presumibile resistenza alle contestazioni di controparte (nella specie, tra l’altro, mancanti, essendo la controparte contumace), nell’ottica della decisione definitiva»;

che tale premessa in fatto rende manifesto l’errore prospettico da cui muove il Giudice di pace di Firenze, il quale – pur trovandosi a decidere su un’istanza che egli stesso esclude esser stata proposta sulla base delle specifiche condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 633, primo comma, numero 2, e 636 cod. proc. civ. – censura tuttavia l’art. 186-ter, primo comma, cod. proc. civ. proprio «nella parte in cui non prevede la concedibilità dell’ordinanza ingiuntiva anticipatoria in corso di causa anche per i crediti vantati dai professionisti ex art. 633, primo comma, numero 2, cod. proc. civ.»;

che, così facendo, il rimettente correla gli asseriti dubbi di costituzionalità esclusivamente alla natura del credito vantato dal professionista, senza avvedersi che, nella specie, il problema ruota semmai intorno all’idoneità della documentazione prodotta ad assumere il valore di “prova scritta”, che consente l’adozione del provvedimento anticipatorio;

che, peraltro, alla non corretta individuazione della norma concretamente applicabile nel giudizio a quo, si aggiunge la carenza di adeguata motivazione in ordine all’impossibilità di emettere l’invocata ordinanza ingiuntiva in corso di causa sulla scorta della specifica documentazione prodotta;

che, pertanto, la sollevata questione è manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

          dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, 36, primo comma, 41, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Firenze, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

     Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8  giugno 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2005.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA