Sentenza n. 225 del 2005

SENTENZA N. 225

ANNO 2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Piero Alberto   CAPOTOSTI            Presidente

- Guido             NEPPI MODONA       Giudice

- Annibale         MARINI                        "

- Franco            BILE                              "

- Giovanni Maria FLICK                          "

- Francesco        AMIRANTE                   "

- Ugo                DE SIERVO                   "

- Romano          VACCARELLA              "

- Paolo              MADDALENA               "

- Alfio              FINOCCHIARO             "

- Franco            GALLO                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, numero 2), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza del 4 novembre 2002 dalla Commissione tributaria regionale di Torino sull’appello proposto da Nota Bruno contro l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Saluzzo, iscritta al n. 689 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 4 novembre 2002 la Commissione tributaria regionale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, numero 2), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) – come sostituito dall’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 463 del  15 luglio 1982 – nella parte in cui stabilisce «che i prelevamenti annotati nei conti bancari sono posti come ricavi se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario».

Premette il rimettente di essere chiamato a decidere, in grado di appello, sulla impugnazione di un avviso di accertamento in materia di imposte dirette, precisando, quanto alla rilevanza della questione, che, su un reddito complessivamente accertato in lire 1.439.156.000, ben lire 1.231.898.000 derivano da prelevamenti bancari non giustificati.

Quanto alla non manifesta infondatezza, la Commissione tributaria rileva che il legislatore tributario avrebbe costruito un sistema basato su di una doppia presunzione legale, in base alla quale i prelevamenti non giustificati si presumono acquisti e questi ultimi si presumono ricavi, così da sollevare l’amministrazione dall’onere di provare l’effettiva evasione fiscale. Tale doppia presunzione sarebbe, ad avviso del rimettente, logicamente viziata, tanto più che ad essa necessariamente conseguirebbe «l’equazione» secondo cui i ricavi equivalgono a redditi, non essendo possibile detrarre i costi da ricavi che sono considerati tali solo per disposizione legislativa.

Da ciò discenderebbe – ad avviso del rimettente – un’ingiustificata disparità di trattamento, quanto al criterio di determinazione del reddito, in danno di quanti sono soggetti all’accertamento in base alle risultanze bancarie.

Aggiunge, sotto altro aspetto, il rimettente che il descritto procedimento accertativo, in virtù del quale i prelevamenti sarebbero considerati reddito, si sostanzierebbe in definitiva in una sanzione impropria, determinando un maggior debito di imposta tale da comportare l’applicazione della «sanzione propria», con ulteriore disparità di trattamento tra contribuenti, a seconda della metodologia di accertamento adottata.

Dalle considerazioni tutte che precedono discenderebbe, poi, che la disposizione impugnata, determinando un debito di imposta non adeguato alla effettiva capacità contributiva, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 53 della Costituzione. 

2.– E’ intervenuto in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza della questione, ulteriormente illustrando le proprie difese in una memoria depositata nell’imminenza della camera di consiglio.

Premesso che di per sé la disponibilità, o meno, di conti bancari è elemento idoneo a differenziare le diverse capacità contributive, rileva innanzitutto la difesa erariale che la norma impugnata determina una mera inversione dell’onere probatorio, essendo consentito al contribuente di liberarsi dagli effetti della presunzione indicando il beneficiario del prelievo.

Del tutto immotivata sarebbe, comunque, l’affermazione secondo la quale ne discenderebbe un’ingiustificata equiparazione dei ricavi ai redditi. La pretesa  indeducibilità dei costi dai ricavi presunti, oltretutto non confortata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, deriverebbe eventualmente da altra norma, non individuata dal rimettente, con conseguente difetto di rilevanza della questione.

Riguardo, poi, alla asserita irragionevolezza della disposizione impugnata, l’Avvocatura osserva che l’inversione dell’onere probatorio che deriva dalla disposizione colpisce il comportamento reticente del contribuente, ma non priva invece di adeguata tutela il contribuente che cooperi nella esatta quantificazione del reddito imponibile, restando priva di significato – nel caso in cui la presunzione non sia vinta – una qualificazione degli effetti della norma in termini di sanzione impropria.

Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria regionale di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, numero 2), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), nella parte in cui prevede che i prelevamenti effettuati nell’ambito dei rapporti bancari siano posti, come ricavi, a base delle rettifiche ed accertamenti dell’amministrazione finanziaria, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili.

La norma sarebbe – ad avviso del rimettente – lesiva del principio di eguaglianza in danno dei titolari di rapporti bancari, assoggettandoli alla irragionevole doppia presunzione che i prelevamenti non giustificati siano acquisti e che dagli acquisti derivino ricavi, costituenti imponibile per l’intero, stante l’impossibilità di dedurre i costi da siffatti ricavi meramente presunti. Con violazione, perciò, anche del principio di capacità contributiva.

2.– La questione non è fondata.

Va premesso che l’assunto del rimettente, relativo alla indeducibilità delle componenti negative dal maggior reddito d’impresa accertato in base alla norma impugnata, non solo è apodittico, ma risulta altresì smentito dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di accertamento induttivo, si deve tenere conto – in ossequio al principio di capacità contributiva – non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati.

Così interpretata, la norma si sottrae alla censura di violazione dell’art. 53 della Costituzione, risolvendosi, quanto alla destinazione dei prelievi non risultanti dalle scritture contabili, in una presunzione di ricavi iuris tantum suscettibile, cioè, di prova contraria attraverso la indicazione del beneficiario dei prelievi.

Una presunzione siffatta non appare, poi, lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile.

Deve, infine, escludersi la violazione del principio di eguaglianza in danno dei titolari di conti bancari, essendo la disponibilità di tali conti elemento idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio attribuito al prelievo non giustificato di somme.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, numero 2), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria l'8 giugno 2005.