Ordinanza n. 189 del 2005

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ORDINANZA N. 189

ANNO 2005

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                         Presidente

-  Fernanda                    CONTRI                                  Giudice

-  Guido                        NEPPI MODONA                       "

-  Annibale                    MARINI                                       "

-  Giovanni Maria          FLICK                                          "

-  Francesco                   AMIRANTE                                 "

-  Ugo                            DE SIERVO                                 "

-  Romano                     VACCARELLA                           "

-  Paolo                          MADDALENA                            "

-  Alfio                          FINOCCHIARO                          "

-  Alfonso                      QUARANTA                               "

-  Franco                        GALLO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 21, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, promossi dal Tribunale di Lecce con ordinanza del 27 maggio 2004 e dal Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, con ordinanza del 27 maggio 2004, nei procedimenti penali a carico di T. D. e di W. S. A. iscritte al n. 720 e al n. 1000 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 38 e n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a carico di un cittadino extracomunitario imputato del reato di cui all’art. 171-ter, lettere a) e c), della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), il Tribunale di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 27, 35 e 113 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);

che la disposizione censurata stabilisce, fra l’altro, che allo straniero condannato, con provvedimento irrevocabile, per il reato in questione venga revocato il permesso di soggiorno, con conseguente espulsione tramite accompagnamento alla frontiera;

che il giudice a quo, dopo aver affermato che la questione «è rilevante ai fini del giudizio», osserva che la norma in oggetto introduce una vera e propria pena accessoria per il reato contestato, di carattere automatico ed indefettibile;

che, secondo il remittente, tale previsione si pone in contrasto con gli invocati parametri, in quanto esclude ogni funzione sociale preventiva e rieducativa della sanzione, discrimina gli stranieri rispetto ai cittadini italiani nonché fra di loro, a seconda che siano titolari del permesso ovvero della carta di soggiorno, oltre ad escludere qualsiasi tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione;

che, nel corso di un procedimento penale a carico di un cittadino straniero extracomunitario imputato del medesimo reato, anche il Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, ha sollevato un’analoga questione di legittimità costituzionale, aggiungendo fra i parametri costituzionali di riferimento l’art. 4 Cost.;

che anche il Tribunale di Taranto osserva che la norma impugnata configura una particolare ipotesi di pena accessoria, da applicare automaticamente e senza alcuna valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione;

che da ciò il remittente deduce che la questione è rilevante per il giudizio di propria competenza, anche nel caso in cui non venga concretamente applicata la suddetta sanzione accessoria;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo, oltre a ribadire le censure già proposte dal Tribunale di Lecce, sottolinea la severità di una simile sanzione non rispondente ad alcuna vera finalità se non a quella di allontanare dal territorio dello Stato gli stranieri resisi, in concreto, responsabili di reati non gravi, osservando come, d’altra parte, la norma impugnata non possa giustificarsi per il fatto che il nostro ordinamento conosce altre ipotesi di espulsione a titolo di misura di sicurezza, in quanto in simili fattispecie la misura dell’espulsione trova fondamento nella gravità del reato e nella valutazione della pericolosità, elementi non sussistenti nel caso in questione;

che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata, principalmente perché l’espulsione di cui si tratta è da inquadrare nel sistema attualmente vigente in materia di disciplina degli stranieri, il quale si caratterizza, non irrazionalmente, per una maggiore severità nei confronti dell’immigrazione clandestina, con un’opzione incidente «sul piano della opportunità delle scelte politico-criminali […] e non su quello della loro legittimità costituzionale»;

che rispetto a simili scelte, la posizione di chi ha commesso determinati reati non è paragonabile a quella di chi, ottenuto il permesso di soggiorno, svolge una regolare attività lavorativa rispettando le leggi dello Stato;

che, d’altra parte, questa Corte, con la sentenza n. 353 del 1997 e con la successiva ordinanza n. 146 del 2002, ha ribadito la legittimità costituzionale di norme che prevedono, in determinate ipotesi, il c.d. automatismo espulsivo;

che, peraltro, alla fattispecie in esame è del tutto estraneo l’esame della pericolosità dell’interessato in quanto non si tratta di una misura di sicurezza, ma di una pena accessoria.

Considerato che il Tribunale di Lecce e il Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, entrambi in composizione monocratica, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 27, 35 e 113 Cost., il primo, e in riferimento oltre che ai predetti parametri anche all’art. 4 Cost., il secondo, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall’art. 21, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189;

che tale disposizione stabilisce che «la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuni dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica»;

che entrambi i remittenti riferiscono che davanti a loro pendono procedimenti penali a carico di stranieri imputati del reato previsto dall’art. 171-ter, lettere a) e c), della citata legge n. 633 del 1941, come modificata dal d.lgs. n. 286 del 1998;

che le ordinanze prospettano le medesima questione, sicché i relativi giudizi devono essere riuniti e decisi con unico provvedimento;

che le ordinanze di remissione sono inficiate da carenze e contraddittorietà di motivazione riguardo alla rilevanza, per quanto concerne sia l’accertamento dei fatti sia le valutazioni in diritto;

che, infatti, né dall’una, né dall’altra risulta se gli imputati siano stranieri muniti di permesso di soggiorno o se non siano, invece, titolari di carta di soggiorno o clandestini;

che entrambi i remittenti affermano come indiscutibile l’inquadramento della misura in oggetto tra le pene accessorie, pur in assenza di giurisprudenza sul punto, senza tener conto, ai fini della sua qualificazione, della assoggettabilità ad essa soltanto di una categoria – cittadini extracomunitari muniti di permesso di soggiorno – tra la generalità dei soggetti potenzialmente autori dei reati che ne comportano l’applicazione;

che, mentre il Tribunale di Lecce si limita ad affermare apoditticamente di non poter «definire il processo indipendentemente dalla risoluzione della questione», il Tribunale di Taranto, contraddittoriamente, da un lato afferma la rilevanza della questione, dall’altro prospetta l’ipotesi di non dover fare applicazione della norma censurata e indica il questore quale organo deputato a disporre ed eseguire le misure di revoca del permesso di soggiorno e di accompagnamento dello straniero alla frontiera;

che, pertanto, la questione in entrambe le ordinanze di rimessione non è sorretta da congrua e corretta motivazione riguardo alla sua rilevanza nei giudizi di merito e va, quindi, dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 27, 35 e 113 della Costituzione, dal Tribunale di Lecce e dal Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Manduria, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 maggio 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2005.