Ordinanza n. 126 del 2005

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ORDINANZA N. 126

 

ANNO 2005

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Guido                         NEPPI MODONA                Presidente

 

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                           Giudice

 

- Annibale                     MARINI                                       "

 

- Franco                         BILE                                             "

 

- Giovanni Maria           FLICK                                          "

 

- Francesco                    AMIRANTE                                 "

 

- Ugo                             DE SIERVO                                 "

 

- Romano                      VACCARELLA                           "

 

- Paolo                           MADDALENA                            "

 

- Alfio                           FINOCCHIARO                          "

 

- Alfonso                       QUARANTA                               "

 

- Franco                         GALLO                                        "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera a), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanze del 31 marzo e del 28 maggio 2003 (n. 4 ordinanze), dal Tribunale amministrativo regionale per la Liguria con ordinanze del 1° agosto 2003 (n. 11 ordinanze), dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia con ordinanze del 16 dicembre 2003, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con ordinanza del 10 febbraio 2004, dal Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta con ordinanza del 22 gennaio 2004, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, con ordinanza del 17 febbraio 2004 e dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con ordinanze del 13 maggio 2004 (n. 2 ordinanze), rispettivamente iscritte ai numeri 371, da 601 a 604, da 850 a 860 del registro ordinanze 2003 e ai numeri 169, 452, 547, 549, 686 e 687 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 25, 35 e 43, prima serie speciale, dell’anno 2003, numero 12, edizione straordinaria, del 3 giugno 2004, e numeri 24 e 33, prima serie speciale, dell’anno 2004.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante.

 

Ritenuto che nel corso di diciannove giudizi promossi da lavoratori extracomunitari e da loro datori di lavoro avverso i provvedimenti di rigetto delle rispettive istanze di regolarizzazione e gli altri atti amministrativi connessi, i Tribunali amministrativi regionali per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanze del 31 marzo 2003 (r.o. n. 371 del 2003) e del 28 maggio 2003 (r.o. numeri da 601 a 604 del 2003), per la Liguria, con ordinanze del 1° agosto 2003 (r.o. numeri da 850 a 860 del 2003), per la Puglia, sede di Bari, con ordinanza del 16 dicembre 2003 (r.o. n.169 del 2004), per il Veneto, con ordinanza del 10 febbraio 2004 (r.o. n. 452 del 2004), per la Valle d’Aosta, con ordinanza del 22 gennaio 2004 (r.o. n. 547 del 2004), hanno sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera a), della legge 9 ottobre 2002, n. 222 [recte: del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222];

 

che i giudici remittenti osservano che la norma censurata – della quale i provvedimenti impugnati costituiscono mera applicazione – nell’escludere dalla regolarizzazione i lavoratori extracomunitari che siano stati destinatari di provvedimenti di espulsione da eseguire mediante accompagnamento coattivo alla frontiera, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in primo luogo sotto il profilo del principio di eguaglianza – che vieta di trattare in modo uguale situazioni soggettive profondamente differenti – in quanto, «precludendo la possibilità di attribuire rilievo all’esistenza di circostanze obiettive attestanti l’avvenuto inserimento sociale dello straniero», pone sullo stesso piano il soggetto che sia stato destinatario di un provvedimento di espulsione mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato ovvero perché ritenuto socialmente pericoloso e il lavoratore extracomunitario che si sia semplicemente trattenuto nel territorio dello Stato oltre il termine di quindici giorni fissato nell’intimazione scritta di espulsione o che sia entrato clandestinamente nel territorio dello Stato privo di un valido documento di identità;

 

che la disposizione censurata appare ai remittenti altresì in contrasto con il principio di ragionevolezza sia perché, «impedendo la valorizzazione dei profili di inserimento sociale dello straniero, esclude la possibilità di raggiungere gli obiettivi di favorire le relazioni familiari, l’inserimento sociale e l’integrazione culturale degli stranieri che sono previsti dalla legge» sia, in particolare, in quanto finisce col concedere il beneficio di cui si tratta a coloro che, per motivi casuali, non abbiano subito controlli e non siano stati pertanto destinatari di provvedimenti di espulsione;

 

che, quanto alla rilevanza, i giudici a quibus – che hanno temporaneamente accolto tutti, ad eccezione del TAR per la Valle d’Aosta, le domande incidentali di sospensiva presentate dai ricorrenti – precisano che, con riguardo ai giudizi in corso e, in particolar modo, per la fase cautelare, la risoluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale si palesa come indispensabile ai fini di decidere se l’istanza di sospensione dell’efficacia dei provvedimenti impugnati debba essere definitivamente accolta o respinta;

 

che, nel corso di due giudizi avverso i provvedimenti di rigetto delle domande di regolarizzazione dei rapporti di lavoro di due cittadini extracomunitari, anche il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, ha sollevato, con due ordinanze di contenuto identico del 13 maggio 2004 (r.o. numeri 686 e 687 del 2004), questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera a), del decreto-legge n. 195 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 222 del 2002;

 

che il giudice remittente, dopo aver precisato di aver disposto con separate ordinanze la sospensione temporanea degli atti impugnati, rivolge alla disposizione in oggetto censure analoghe a quelle degli altri remittenti con riferimento all’art. 3 Cost. e ad esse aggiunge quella relativa alla ipotizzata violazione dell’art. 35, primo comma, Cost., sotto il profilo che la regolarizzazione dei lavoratori extracomunitari sarebbe una manifestazione del diritto al lavoro e concorrerebbe in maniera determinante a quell’inserimento sociale che il parametro costituzionale invocato vuole tutelare;

 

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo si limita ad affermare la pregiudizialità della soluzione della sollevata questione ai fini della decisione della fattispecie in esame;

 

che, nel corso di un giudizio avverso il provvedimento prefettizio di diniego della regolarizzazione del rapporto di lavoro di una cittadina extracomunitaria, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha sollevato, con ordinanza del 17 febbraio 2004 (r.o. n. 549 del 2004), questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 13, 16, 27, secondo comma, e 29 Cost., dell’art. 33, comma 7, lettera a), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nel testo modificato dall’art. 2 del decreto-legge n. 195 del 2002, convertito nella legge n. 222 del 2002;

 

che il giudice remittente afferma che la rilevanza della questione deriva dalla circostanza che il provvedimento impugnato ha fatto automatica applicazione della disposizione censurata, disponendo la reiezione dell’istanza di regolarizzazione in base al mero accertamento dell’esistenza di due espulsioni con accompagnamento alla frontiera nei confronti della lavoratrice extracomunitaria di cui si tratta;

 

che, quanto al merito della questione, il giudice a quo svolge considerazioni analoghe a quelle degli altri remittenti per quel che riguarda la censura riferita all’art. 3 Cost., mentre, per quel che riguarda gli altri parametri costituzionali invocati, osserva che il controllo di costituzionalità della norma in oggetto comporta la verifica della ragionevolezza e proporzionalità del sacrificio dei diritti fondamentali da essa imposto (quali, in particolare, il diritto al lavoro, il diritto alla libera circolazione e all’unità familiare e quello alla libertà personale) rispetto alla effettiva realizzazione di altri valori costituzionali;

 

che nei giudizi davanti alla Corte introdotti dalle ordinanze del TAR per la Puglia, sezione staccata di Lecce, del TAR per la Puglia, sede di Bari, del TAR per la Valle d’Aosta, del TAR per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, e del TRGA per il Trentino-Alto Adige, sede di Trento, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate;

 

che alla prima conclusione si perverrebbe sul principale rilievo che le ordinanze di rimessione non contengono un’adeguata descrizione delle fattispecie concrete oggetto dei giudizi a quibus;

 

che, quanto all’infondatezza, l’Avvocatura sottolinea, in particolare, che le norme impugnate sono il frutto di ragionevoli scelte discrezionali del legislatore e che, comunque, le situazioni poste a raffronto dai giudici remittenti «sono tutte assimilate nel provvedimento di espulsione emesso a carico del cittadino extracomunitario», sicché l’equiparazione ai fini del diniego di regolarizzazione ha la sua ragion d’essere nell’intervenuto provvedimento di espulsione e non nelle ragioni poste a fondamento di tale provvedimento, mentre il richiamo all’art. 35, primo comma, Cost. effettuato dal TRGA per il Trentino-Alto Adige appare inconferente, essendo il parametro invocato destinato a tutelare il lavoro lecito e regolare.

 

Considerato che la Corte è chiamata da numerosi tribunali amministrativi regionali a scrutinare la legittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 7, lettera a), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) e dell’articolo 1, comma 8, lettera a), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, disposizioni che escludono entrambe – la prima per i c.d. badanti e lavoratori domestici, la seconda per i dipendenti di imprese – la regolarizzazione, a seguito di istanza di emersione, dei lavoratori che siano stati destinatari di provvedimenti di espulsione con accompagnamento alla frontiera;

 

che, pur essendo diverse le disposizioni censurate, le questioni si pongono per entrambe negli stessi termini, sicché deve essere disposta la riunione dei procedimenti;

 

che i TAR remittenti, aditi per l’annullamento dei provvedimenti di rigetto delle istanze di emersione, evocano tutti l’art. 3 Cost. e sostengono la illegittimità delle suindicate disposizioni in quanto riservano, ai fini della regolarizzazione, lo stesso trattamento a soggetti che si trovano in posizioni diverse, accomunando lavoratori colpiti da ordinanze di espulsione con accompagnamento alla frontiera per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o perché ritenuti socialmente pericolosi ad altri destinatari dei medesimi provvedimenti per essersi trattenuti nel territorio dello Stato oltre il termine di quindici giorni dall’intimazione di espulsione, oppure per essere entrati clandestinamente in Italia privi di un valido documento di identità, ma senza essersi resi colpevoli di alcun reato o essere concretamente pericolosi per la sicurezza pubblica;

 

che alcuni remittenti sollevano la questione anche in riferimento agli artt. 2, 4, 13, 16, 27, secondo comma, 29 e 35, primo comma, Cost., sostenendo, con riguardo a quest’ultimo, che il procedimento di emersione e il provvedimento di regolarizzazione favoriscono l’inserimento sociale dei lavoratori extracomunitari;

 

che nessuno dei remittenti riferisce compiutamente sulla fattispecie oggetto del giudizio davanti a lui pendente e tutti omettono – in particolare – di precisare le motivazioni dei provvedimenti di espulsione, sicché non è possibile stabilire quale sia la concreta situazione in cui versa ciascuno dei lavoratori interessati ai giudizi a quibus;

 

che, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 189 del 2002, l’espulsione mediante intimazione a lasciare il territorio dello Stato è riservata a coloro i quali si trattengono nel territorio italiano con permesso di soggiorno scaduto da più di sessanta giorni (con la possibilità però che il prefetto, laddove ravvisi pericolo di sottrazione alla esecuzione, disponga anche in questo caso l’accompagnamento), mentre è divenuta di generale applicazione l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, salva restando l’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (v. sentenza n. 222 del 2004, n. 4 del Considerato in diritto);

 

che le suindicate carenze di motivazione privano questa Corte della possibilità di ogni controllo sulla rilevanza della questione nei giudizi di merito;

 

che il riferimento ai parametri costituzionali diversi dall’art. 3, evocati in alcune delle ordinanze di rimessione, non è sorretto da congrua motivazione;

 

che le questioni sono pertanto manifestamente inammissibili.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, lettera a), del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222, e dell’art. 33, comma 7, lettera a), della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 13, 16, 27, secondo comma, 29 e 35, primo comma, della Costituzione, dai Tribunali amministrativi regionali per la Puglia, sezione staccata di Lecce, per la Liguria, per la Puglia, sede di Bari, per il Veneto, per la Valle d’Aosta, per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, e dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 2005.

 

Guido NEPPI MODONA, Presidente

 

Francesco AMIRANTE, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2005.