Ordinanza n. 54 del 2005

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ORDINANZA N. 54

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA                 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO             

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio                      ONIDA                                     Presidente

- Carlo                         MEZZANOTTE                         Giudice

- Fernanda                  CONTRI                                            "

- Guido                       NEPPI MODONA                            "

- Piero Alberto            CAPOTOSTI                                     "

- Annibale                   MARINI                                            "

- Franco                      BILE                                                  "

- Giovanni Maria        FLICK                                               "

- Francesco                 AMIRANTE                                      "

- Ugo                          DE SIERVO                                      "

- Romano                    VACCARELLA                               "

- Paolo                        MADDALENA                                 "

- Alfio                         FINOCCHIARO                               "

- Alfonso                    QUARANTA                                    "

- Franco                      GALLO                                             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti) e successive modificazioni, promossi con ordinanze del 14 e del 21 (n. 2 ordinanze) gennaio e del 23 maggio 2003 dal Tribunale di Messina, rispettivamente iscritte ai nn. 322, 368, 369 e 767 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica nn. 23, 25 e 39, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Tribunale di Messina, con quattro ordinanze di identico contenuto  emesse in data 14 gennaio, 21 gennaio e 23 maggio 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui non prevedono la possibilità di impugnare davanti al tribunale o alla corte di appello il provvedimento di revoca di ammissione al patrocinio a seguito dell’accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, del requisito del limite di reddito del beneficiario;

che il rimettente è investito dell’esame di quattro ricorsi ex art. 6, comma 4, della legge n. 217 del 1990, a seguito di altrettante sentenze della Corte di cassazione con le quali sono stati così qualificati i ricorsi presentati da quattro imputati nei cui confronti la Corte di assise di Messina aveva revocato il beneficio della ammissione al patrocinio a spese dello Stato per sopravvenuta mancanza dei requisiti di legge;

che secondo il giudice a quo nel sistema della legge n. 217 del 1990, così come modificato dalla legge 29 marzo 2001, n. 134 (Modifiche alla legge 30 luglio 1990, n. 217, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), il potere di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è previsto nel caso di omessa comunicazione delle variazioni di reddito o di mancata presentazione della documentazione prescritta per i redditi prodotti all’estero, o ancora quando vi è una variazione del reddito comunicata tempestivamente dall’interessato;

che, secondo il rimettente, in questi casi è prevista l’adozione del provvedimento di revoca nella forma del decreto motivato, che può essere impugnato con ricorso al tribunale o alla corte di appello cui appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento di revoca o modifica e con la possibilità di successivo ricorso per cassazione per violazione di legge;

che sempre il rimettente osserva che l’art. 10, comma 2, della citata legge n. 217 del 1990 prevede anche un potere di revoca o modifica del provvedimento di ammissione, esercitabile in ogni momento su richiesta del competente ufficio dell’amministrazione finanziaria entro cinque anni dalla definizione del procedimento per il quale era stato ottenuto il beneficio, attribuito alla competenza del tribunale o della corte di appello cui appartiene il giudice che aveva provveduto all’ammissione, con la possibilità di ricorrere successivamente per cassazione;

che, come sostiene il giudice a quo, esistono divergenze circa l’ammissibilità di una revoca ex officio del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato  disposta dallo stesso giudice che ha accordato il beneficio in relazione al difetto di uno dei presupposti di ammissibilità, o alla mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito del soggetto, pur avendo la giurisprudenza riconosciuto tale potere in caso di erronea ammissione del beneficio per procedimenti riguardanti reati contravvenzionali, con conseguente esperibilità del reclamo di cui all’art. 6, comma 4, della legge citata ed esclusione della ricorribilità diretta per cassazione;

che, sempre secondo il rimettente, appare problematica l’ammissibilità di una revoca per difetto delle condizioni di reddito, non sempre ritenuta possibile in assenza di richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria, per la quale un orientamento giurisprudenziale ritiene possibile la revoca, anche in mancanza della richiesta dell’intendente di finanza, quale espressione di un generale potere di autotutela dell’amministrazione, mentre altra tesi afferma che essa sarebbe l’espressione di un potere giurisdizionale che non può essere attivato d’ufficio senza la domanda dell’amministrazione finanziaria;

che, quanto al rimedio esperibile, mentre alcune sentenze affermano che in caso di revoca disposta per la modifica delle condizioni di reddito sarebbe esperibile il solo ricorso in cassazione, altre pronunce ammettono in questo caso l’impugnazione di cui all’art. 6, comma, 4, della legge n. 217 del 1990;

che ad avviso del giudice a quo, se appare ragionevole ritenere sempre consentito al giudice che procede, anche senza l’iniziativa di altra amministrazione, il controllo sul diritto alla conservazione del beneficio in relazione al possesso delle condizioni di reddito previste dalla legge, problematica appare l’individuazione di un completo sistema di tutela verso tali  provvedimenti, posto che il ricorso per cassazione è previsto dall’art. 10 della legge citata nel caso in cui vi sia stata richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria rivolta al giudice, ma non appare esperibile nel caso in cui sia lo stesso giudice procedente a revocare il beneficio, e ciò in ragione del principio di tassatività dell’impugnazione prevista dall’art. 6 della legge n. 217 del 1990 citata, non essendo assimilabile l’ipotesi di difetto originario del requisito a quella del diniego;

che, sempre secondo il Tribunale di Messina, in questa ipotesi non sarebbe possibile dare alla disposizione un’interpretazione secondo Costituzione, con la conseguenza che gli interessati resterebbero privi di una adeguata garanzia dell’effettività della loro tutela giurisdizionale, con conseguente violazione sia dell’art. 3 Cost., in quanto, in presenza di provvedimenti che muovono da presupposti comuni, non è assicurata la medesima garanzia, sia dell’art. 24 Cost., per la compressione dell’effettività del diritto di difesa;

che, secondo il rimettente, la situazione non è destinata a mutare a seguito delle modifiche del quadro normativo introdotte dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), il cui art. 299 ha espressamente abrogato l’intera legge n. 217 del 1990 e la successiva legge n. 134 del 2001, posto che l’art. 99 del d.P.R. citato prevede e disciplina – con una disposizione che ricalca l’art. 6, commi 4 e 5, della legge n. 217 del 1990 – l’impugnazione dei provvedimenti di rigetto dell’istanza di ammissione, mentre l’art. 113 ha riprodotto la norma che consentiva il ricorso per cassazione in caso di richiesta di revoca da parte dell’amministrazione finanziaria, ma non contempla la possibilità di impugnare il provvedimento negli altri casi;

che nei quattro giudizi di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile e comunque infondata;

che preliminarmente la difesa erariale osserva che prima della emanazione delle ordinanze di rimessione l’intera legge n. 217 del 1990, come modificata dalla legge n. 134 del 2001, è stata integralmente abrogata dall’art. 299 del d.P.R. n. 111 (recte: n. 115) del 2002, entrato in vigore il 1° luglio dello stesso anno;

che la materia è ora disciplinata dal Capo IV (Decisione sull’istanza di ammissione al patrocinio) e dal Capo VII (Revoca del decreto di ammissione al patrocinio) del Titolo II del d.P.R. citato, nei quali sono state trasfuse le disposizioni precedentemente in vigore, pur se con modifiche non prive di rilievo;

che di ciò ha mostrato di essere a conoscenza il rimettente, il quale ha però espresso l’avviso che «la situazione non è destinata a mutare» ed ha diretto le censure nei confronti di disposizioni ormai abrogate, senza svolgere alcuna considerazione circa la loro perdurante applicabilità nei giudizi a quibus;

che, come osserva l’Avvocatura, nella prospettazione delle ordinanze di rimessione lo scopo della dichiarazione di illegittimità costituzionale sarebbe quello di rendere applicabile il rimedio di cui all’art. 6, comma 4, della legge n. 217 del 1990 al di là dell’ambito espressamente considerato dalla norma e anche in caso di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

che ai sensi dell’art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, la competenza a decidere del ricorso dell’interessato è attribuita non già al tribunale o alla corte di appello, ma, a seconda dei casi, al presidente del tribunale o al presidente della corte di appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto impugnato, il che conferma che le modifiche introdotte sono rilevanti e che le censure non possono, di conseguenza, essere trasferite sulle nuove disposizioni;

che, ad avviso della difesa erariale, vi è difetto di rilevanza della questione o comunque manca la motivazione sulla stessa, in quanto il suo accoglimento renderebbe configurabile un’impugnazione che non sarebbe comunque di competenza dello stesso rimettente;

che quanto ai profili di infondatezza, secondo l’Avvocatura, malgrado il silenzio delle disposizioni, dovuto ad un difetto di coordinamento normativo, è agevolmente ricavabile dal sistema la possibilità di una interpretazione adeguatrice secondo la quale è sempre esperibile nei confronti dei provvedimenti emessi in materia dal giudice competente il ricorso al presidente del tribunale o al presidente della corte di appello, i cui provvedimenti sono  ricorribili per cassazione, salvo il caso di revoca disposta a seguito di istanza dell’ufficio finanziario, per la quale è previsto il ricorso diretto per cassazione, e tale interpretazione adeguatrice sarebbe del resto confermata dalla qualificazione giuridica che, secondo l’ordinanza, la Cassazione avrebbe dato ai ricorsi de quibus.

Considerato che il Tribunale di Messina dubita della legittimità costituzionale degli artt. 6 e 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui non prevedono, nel caso in cui sia stata disposta la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, revoca disposta d’ufficio dal giudice a seguito dell’accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti di reddito, la possibilità di impugnare il provvedimento davanti al tribunale o alla corte di appello ai quali appartiene il giudice che ha disposto la revoca del beneficio;

che le disposizioni violerebbero sia l’art. 3 della Costituzione - in quanto, in presenza di provvedimenti di revoca di ammissione al beneficio che muovono da presupposti comuni, non sarebbe assicurata a tutti gli interessati la medesima tutela giurisdizionale – sia l’art. 24 Cost., perché la limitazione al diritto di impugnazione comprometterebbe l’effettività del diritto di difesa;

che le quattro ordinanze hanno identico contenuto e i giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unico provvedimento;

che prima della pronuncia delle ordinanze di rimessione l’intera legge n. 217 del 1990, come modificata dalla legge n. 134 del 2001, è stata integralmente abrogata dall’art. 299 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), entrato in vigore il 1° luglio dello stesso anno;

che la materia è ora disciplinata dagli artt. 99 e 112 del d.P.R. n. 115 del 2002 citato, nei quali sono state trasfuse le disposizioni precedentemente in vigore, pur se con alcune modifiche, e su tali articoli le questioni sollevate dal Tribunale di Messina vanno quindi trasferite, avendo il rimettente mostrato di essere a conoscenza dell’intervenuto mutamento del quadro normativo;

che, come rileva esattamente l’Avvocatura, nonostante un difetto di coordinamento normativo delle disposizioni trasfuse nel testo unico ed in parte novellate, si può ricavare dal sistema la possibilità di una interpretazione adeguatrice secondo la quale è sempre esperibile, nei confronti dei provvedimenti di revoca della ammissione al patrocinio a spese dello Stato emessi dal giudice competente, il ricorso al presidente del tribunale o della corte di appello, i cui provvedimenti sono ricorribili per cassazione ovvero, in caso di revoca richiesta dall’ufficio finanziario, direttamente il ricorso per cassazione;

che per “diritto vivente”, come espresso in numerose pronunce della Corte di cassazione, confermato dalla recente sentenza delle sezioni unite penali del 14 luglio 2004, n. 36168, tutti i provvedimenti che dispongono in ordine alla ammissione al patrocinio a spese dell’erario, compresi quelli di revoca di un precedente provvedimento, sono impugnabili negli stessi termini e con i medesimi rimedi stabiliti dall’art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, non avendo il testo unico abrogato i diritti e le garanzie difensive previsti dalla previgente disciplina;

che il rimettente è partito quindi da un presupposto interpretativo erroneo e da una  incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale, con conseguente manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), ora sostituiti dagli artt. 99 e 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Messina con le ordinanze in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2005.