Sentenza n. 38 del 2005

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SENTENZA N. 38

 

ANNO 2005

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai Signori:

 

-  Valerio                                ONIDA                                        Presidente

 

-  Carlo                                   MEZZANOTTE                            Giudice

 

-  Guido                                  NEPPI MODONA                              "

 

-  Piero Alberto                       CAPOTOSTI                                       "

 

-  Annibale                              MARINI                                              "

 

-  Franco                                 BILE                                                    "

 

-  Giovanni Maria                   FLICK                                                 "

 

-   Francesco                           AMIRANTE                                       "

 

-   Ugo                                    DE SIERVO                                       "

 

-   Romano                              VACCARELLA                                 "

 

-   Paolo                                  MADDALENA                                  "

 

-   Alfio                                   FINOCCHIARO                                "

 

-  Alfonso                               Quaranta                                      "

 

-  Franco                                 GALLO                                               "

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle deliberazioni della Camera dei deputati del 24 novembre 1999, del 9 e 14 marzo 2000 e del Senato della Repubblica del 31 maggio 2000, relative alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dai deputati Marco Follini, Gianfranco Fini, Giuseppe Pisanu e Tiziana Maiolo, e dal senatore Marcello Pera nei confronti del dott. Giancarlo Caselli ed altri, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, ufficio 20, notificato l’8 febbraio 2002, depositato in cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 6 del registro conflitti 2002.

 

Visti gli atti di costituzione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

 

udito nell’udienza pubblica del 30 novembre 2004 il Giudice relatore Franco Bile;

 

uditi gli avvocati Roberto Nania per la Camera dei deputati e Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

 

Ritenuto in fatto

 

1. – In data 5 marzo 1999, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo – al quale il Procuratore della Repubblica di Palermo, dottor Giancarlo Caselli, ed i Sostituti dottori Guido Lo Forte, Domenico Gozzo, Antonio Ingroia, Mauro Terranova, Lia Sava e Umberto De Giglio avevano, il 22 gennaio 1999, chiesto di disporre la custodia cautelare del deputato Marcello Dell’Utri – rivolgeva alla Camera dei deputati, ai sensi dell’art. 68, secondo comma, della Costituzione, la richiesta di autorizzare siffatta misura cautelare.

 

Pervenuta tale richiesta alla Camera il 9 marzo 1999, i deputati Tiziana Maiolo, Gianfranco Fini, Beppe Pisanu e Marco Follini, ed il senatore Marcello Pera rendevano, nei giorni 9 e 10 marzo, una serie di dichiarazioni, in relazione alle quali i magistrati prima ricordati proponevano, successivamente, il 9 giugno 1999, distinte querele per il delitto di diffamazione commesso col mezzo della stampa, di cui agli artt. 595 del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa).

 

Il pubblico ministero, riuniti i procedimenti, esercitava l’azione penale chiedendo il rinvio a giudizio degli imputati.

 

Con distinte delibere (in data 24 novembre 1999 per i deputati Fini e Follini, 9 marzo 2000 per il deputato Pisanu, e 14 marzo 2000 per la deputata Maiolo) la Camera dei deputati – premesso che le dichiarazioni contestate ai parlamentari querelati erano state pronunciate nel corso del procedimento iniziato con l’arrivo della richiesta di autorizzazione all’esecuzione della misura cautelare; e che pertanto i fatti cui si riferivano i procedimenti penali concernevano opinioni espresse da membri del Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni – dichiarava (in accoglimento delle proposte della Giunta per le autorizzazioni a procedere) che le medesime dichiarazioni dovevano ritenersi insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione. Con motivazione sostanzialmente analoga, il Senato della Repubblica, nella seduta del 31 maggio 2000, in accoglimento della proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, dichiarava anch’esso che i fatti per i quali era in corso il procedimento nei confronti del senatore Pera concernevano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e rientravano, perciò, nella previsione della citata norma costituzionale.

 

1.1 – Con ricorso del 5 marzo 2001, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma – nel corso dei citati procedimenti penali riuniti – ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti di ciascuna deliberazione.

 

Il giudice ricorrente anzitutto ricorda:

 

– che alla deputata Maiolo è contestato di avere offeso ripetutamente la reputazione dei querelanti con le seguenti affermazioni, contenute in un’intervista riportata dall’agenzia ANSA il 9 marzo 1999: «...organizzare da Strasburgo la battaglia contro le organizzazioni mafiose di stampo istituzionale che ammorbano l’Italia», «abbiamo di fronte una strategia ben congegnata che punta alla distruzione per via giudiziaria dell’opposizione politica...Una strategia che ricorre alla campagna acquisti di “pentiti” e di “pentituri” ai quali si offrono privilegi di ogni tipo in cambio di dichiarazioni mirate»;

 

– che al deputato Fini è contestata la dichiarazione «è in atto una campagna politica», resa in un’intervista pubblicata dal quotidiano "Il Messaggero" il 10 marzo 1999;

 

– che al deputato Pisanu è contestata la dichiarazione «siamo di fronte a una iniziativa giudiziaria a orologeria politica caduta puntualmente in vista di grandi scadenze elettorali», risultante da una nota dell’ANSA in data 10 marzo 1999;

 

– che al deputato Follini è contestata la dichiarazione «La richiesta di arresto di Dell’Utri è un’operazione politica camuffata da provvedimento giudiziario .. in questa storia c’è un amaro riassunto delle forzature di una giustizia di parte», risultante da una nota dell’ANSA in data 9 marzo 1999; e la dichiarazione «Un’operazione politica camuffata da provvedimento giudiziario», resa nella citata intervista pubblicata dal quotidiano “Il Messaggero” il 10 marzo 1999;

 

– che al senatore Pera è contestata la dichiarazione «Il vero e ultimo bersaglio di Caselli è Berlusconi e Forza Italia ...[per cui occorre decidere] se questo Paese deve essere governato dal Parlamento o da qualche Stranamore in toga», resa nell’intervista da ultimo ricordata.

 

Il ricorrente richiama poi la giurisprudenza costituzionale secondo cui le dichiarazioni rese da un membro del Parlamento fuori della sede parlamentare sono coperte dalla garanzia dell’art. 68, primo comma, della Costituzione solo se legate da “nesso funzionale” con attività svolte dal dichiarante nell’esercizio di funzioni parlamentari, onde si ha insindacabilità solo se il parlamentare abbia divulgato o riprodotto all’esterno opinioni già espresse in sede parlamentare.

 

Nella specie, ad avviso del ricorrente, le dichiarazioni in esame erano state rese, fuori della sede parlamentare, in epoca di molto anteriore alla delibera con cui la Camera aveva discusso e respinto la richiesta del giudice; e non erano legate da alcun nesso funzionale con l’attività parlamentare né dei deputati Fini, Maiolo, Pisanu e Follini (che non avevano espresso, in precedenza o contestualmente, opinioni analoghe in sede parlamentare), né del senatore Pera (che non solo non aveva espresso un’opinione analoga in sede parlamentare, «ma mai avrebbe potuto esprimerla in tale sede, essendo membro di una Camera diversa da quella competente a decidere»). Pertanto le deliberazioni della Camera e del Senato, basate su un’errata valutazione dei presupposti dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, avrebbero illegittimamente interferito nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria.

 

Su tali premesse il giudice – separate le posizioni dei parlamentari e sospeso il procedimento – ha chiesto alla Corte di dichiarare che non spetta alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse da ciascuno dei predetti parlamentari in relazione ai fatti per cui l’azione penale era stata nei suoi confronti esercitata e, conseguentemente, annullare le ricordate delibere.

 

2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 6 del 2002. Il ricorso introduttivo e l’ordinanza di ammissibilità sono stati notificati alla Camera ed al Senato l’8 febbraio 2002, e – con la prova delle notifiche - depositati presso la cancelleria della Corte il 15 febbraio 2002.

 

3. – La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica si sono costituiti nel presente giudizio, con memorie di contenuto sostanzialmente analogo.

 

In via pregiudiziale, hanno entrambe eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’adozione di distinte deliberazioni di insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari interessati, ciascuna integrante un distinto atto di esercizio del potere camerale di applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, avrebbe comportato la necessità di distinti ricorsi per conflitto di attribuzioni, anche per assicurare l’assolvimento del necessario onere di motivazione da parte dell’autorità ricorrente.

 

Nel merito hanno concluso per il rigetto del ricorso, ponendo in rilievo che la richiesta, rivolta dal giudice alla Camera, di autorizzare la custodia cautelare del deputato Dell’Utri, una volta pervenuta alla stessa Camera il 9 marzo 1999, aveva determinato l’avvio di un procedimento parlamentare; che tale procedimento, cui tutti i deputati avevano diritto di partecipare, si è concluso il 13 aprile 1999 con la delibera di rigetto della richiesta; che le dichiarazioni contestate ai parlamentari erano state, dunque, pronunciate nel corso del procedimento e, nel contenuto, coincidevano largamente sia con la delibera citata, sia con gli interventi svolti al riguardo da molti altri deputati; che perciò esse erano strettamente correlate alle funzioni parlamentari dei dichiaranti.

 

Con specifico riferimento al senatore Pera, la difesa del Senato ha, altresì, evocato una serie di atti tipici, che provano il suo costante impegno di critica, talvolta anche dura, nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo, del suo procuratore, e in generale sulla gestione dei pentiti di mafia, ed in particolare gli interventi da lui svolti in Senato l’11 marzo, a proposito della richiesta di autorizzazione alla custodia cautelare del deputato Dell’Utri appena pervenuta alla Camera.

 

3.1. – La Camera ed il Senato hanno anche depositato – nell’imminenza dell’udienza del 17 dicembre 2002 (originariamente fissata) e della presente udienza – memorie illustrative nelle quali hanno confermato le difese precedentemente svolte.

 

Considerato in diritto

 

1. – Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sottoposto all’esame della Corte è stato sollevato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma nei confronti delle delibere della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica secondo le quali le dichiarazioni dei deputati Tiziana Maiolo, Gianfranco Fini, Beppe Pisanu e Marco Follini, e del senatore Marcello Pera – che concernevano la richiesta di autorizzazione all’esecuzione di una misura cautelare a carico del deputato Marcello Dell’Utri, rivolta alla Camera dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo ai sensi dell’art. 68, secondo comma, della Costituzione, e formavano oggetto di querele per diffamazione proposte contro i medesimi parlamentari da alcuni magistrati della Procura della Repubblica di Palermo – concernevano opinioni espresse da membri del Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni, come tali insindacabili ai sensi del primo comma della stessa norma, in quanto pronunciate nel corso del procedimento iniziato dinanzi alla Camera il 9 marzo 1999, con l’arrivo della citata richiesta di autorizzazione.

 

2. – Le difese delle Camere hanno – con motivazioni coincidenti – eccepito l’inammissibilità del ricorso per conflitto, sostenendo che per impugnare una pluralità di deliberazioni di insindacabilità, aventi contenuto diverso e pronunciate da distinti organi istituzionali, sarebbe stato necessario proporre un ricorso per ciascuna deliberazione «anche per assicurare l’assolvimento del necessario onere di motivazione da parte dell’autorità ricorrente».

 

Tale ultima precisazione consente di ritenere che in realtà le Camere abbiano eccepito l’inammissibilità non tanto – sul piano formale – perché le cinque delibere di insindacabilità erano state impugnate con un solo ricorso, quanto piuttosto – sul piano sostanziale – perché questo unico ricorso non era sorretto da motivazione sufficiente.

 

2.1. – Considerata sotto questo profilo, l’eccezione di inammissibilità è fondata.

 

Invero le argomentazioni addotte dal giudice ricorrente, a sostegno della tesi secondo cui le Camere avrebbero erroneamente ritenuto l’insindacabilità delle dichiarazioni, rivelano un difetto di coerenza, e per di più sono generiche al punto da comportare l’insufficienza della motivazione.

 

2.2. - Il giudice pone anzitutto in rilievo la circostanza che le dichiarazioni rese extra moenia dai cinque parlamentari erano di molto anteriori alla delibera con cui la Camera ha discusso e respinto la richiesta del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo. E così mostra di considerare rilevante la circostanza – valorizzata dalle difese delle Camere – che quelle dichiarazioni riguardavano la richiesta di autorizzazione all’esecuzione di misure restrittive della libertà personale a carico di un altro parlamentare, per la quale era in corso il procedimento di cui al secondo comma dell’art. 68 della Costituzione; ed inoltre sembra intendere che – in una situazione del genere – la garanzia di insindacabilità apprestata dal primo comma del medesimo art. 68 sia limitata alle sole dichiarazioni successive alla chiusura del predetto procedimento.

 

Nel contempo, però, il ricorrente nota come le dichiarazioni pronunciate dai querelati non siano legate da alcun nesso funzionale con l’esercizio delle funzioni parlamentari dei deputati Fini, Maiolo, Pisanu e Follini (che non avevano espresso, in precedenza o contestualmente, opinioni analoghe in sede parlamentare) e del senatore Pera (che non solo non aveva espresso un’opinione analoga in sede parlamentare, «ma mai avrebbe potuto esprimerla in tale sede, essendo membro di una Camera diversa da quella competente a decidere»). Con siffatte argomentazioni, il giudice sposta il problema su un piano ben diverso rispetto a quello evocato in precedenza, riecheggiando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui – in termini generali - le dichiarazioni rese da un membro del Parlamento fuori della sede parlamentare fruiscono della garanzia di cui al primo comma dell’art. 68 Cost. solo se divulghino o riproducano atti già compiuti dal dichiarante nell’esercizio delle sue funzioni.

 

Pertanto, sotto questo profilo, il ricorso risulta affetto da contraddittorietà di impostazione.

 

2.3. – Inoltre le argomentazioni del ricorrente sono del tutto generiche: sia quando enuncia la ricordata differenza fra dichiarazioni esterne anteriori e posteriori alla chiusura del procedimento di cui all’art. 68, secondo comma, della Costituzione, senza tuttavia addurre al riguardo alcuna motivazione; sia, soprattutto, quando accomuna in una valutazione indifferenziata e priva di specificità le posizioni dei cinque parlamentari querelati, senza considerare che le loro dichiarazioni erano state rese in momenti distinti, avevano contenuti disomogenei e la loro insindacabilità era stata dichiarata da cinque diverse deliberazioni, quattro della Camera e una del Senato.

 

Manca pertanto nel ricorso quella valutazione specifica della posizione di ciascun parlamentare, e delle singole dichiarazioni a lui contestate, che è indispensabile per verificare se esse possano o meno dirsi collegate ad atti di esercizio delle  funzioni parlamentari.

 

3. – In conclusione la tesi del ricorrente – secondo cui le delibere parlamentari impugnate hanno erroneamente dichiarato incensurabili le dichiarazioni in questione – per un verso è impostata in modo contraddittorio e per altro verso difetta di specificità, e quindi deve ritenersi insufficientemente motivata.

 

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica con l’atto indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2005.

 

Valerio ONIDA, Presidente

 

Franco BILE, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2005.