Ordinanza n. 24 del 2005

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ORDINANZA N.24

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Valerio                       ONIDA                                             Presidente

-  Carlo                          MEZZANOTTE                                  Giudice

-  Guido                        NEPPI MODONA                                    “

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                             “

-  Annibale                    MARINI                                                    “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria       FLICK                                                        “

-  Francesco                AMIRANTE                                                “

-  Romano                 VACCARELLA                                                      “

-  Paolo                      MADDALENA                                          “

-  Alfio                     FINOCCHIARO                                                     “

-  Alfonso                QUARANTA                                                “

-  Franco                   GALLO                                                        “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nel testo previgente alla legge 21 luglio 2000, n. 205, promossi con ordinanze del 14 maggio 2003 dal Tribunale di Vallo della Lucania, del 26 marzo, dell’11 e del 18 giugno e del 2 luglio 2003 dal Tribunale di Messina, del 18 agosto 2003 dal Giudice istruttore del Tribunale di Aosta, del 12 giugno 2003 dal Tribunale di Messina, del 2 aprile 2003 dal Tribunale di Bolzano, del 1° ottobre 2003 dal Tribunale di Vallo della Lucania e del 7 gennaio 2002 dal Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, rispettivamente iscritte ai nn. 611, 621, 740, 741, 754, 818, 878, 1064 e 1142 del registro ordinanze 2003 ed al n. 435 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 35, 38, 42, 44 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2003, n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2004 e nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

  Ritenuto che il Tribunale di Vallo della Lucania, con due ordinanze di contenuto pressoché identico, l’una del 14 maggio 2003 (r.o. n. 611 del 2003) e l’altra del 1° ottobre 2003 (r.o. n. 1142 del 2003), ha sollevato, in relazione all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59, nella parte in cui, in materia di edilizia e di urbanistica, non si limita ad estendere alle controversie inerenti a diritti patrimoniali consequenziali la giurisdizione di legittimità o esclusiva già spettante al giudice amministrativo, ma istituisce una nuova figura di giurisdizione esclusiva e piena con riferimento all’intero ambito delle controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti e comportamenti delle amministrazioni pubbliche;

  che la prima ordinanza (r.o. n. 611 del 2003) è stata pronunciata nel corso di un giudizio promosso, con atto di citazione notificato il 12 febbraio 1999, da Antonio Cavaliere nei confronti dell’ANAS (Azienda nazionale autonoma delle strade) per ottenerne la condanna all’immediato rilascio, previa restituzione in pristino, di un fondo che, inizialmente autorizzata ad occupare in via d’urgenza dal Prefetto di Salerno, la convenuta aveva continuato a detenere pur dopo la scadenza del decreto di occupazione, senza che la procedura ablativa venisse mai completata;

  che la seconda ordinanza (r.o. n. 1142 del 2003) è stata pronunciata in una causa intentata, con atto di citazione notificato il 5 dicembre 2000, da Antonio Fasolino nei confronti del Comune di Celle di Bulgheria per la condanna di quest’ultimo al pagamento dell’indennità per occupazione illegittima ed al risarcimento dei danni ulteriori, derivanti dall’avvenuta scadenza del termine di cinque anni, originariamente fissato per il completamento dei lavori e delle espropriazioni relativi ad un fondo di proprietà del ricorrente temporaneamente occupato dal convenuto, senza che la procedura ablativa venisse portata a termine e senza che alcuna somma gli venisse corrisposta;

  che, ad avviso del rimettente, la questione sarebbe rilevante in virtù del fatto che le domande sono state proposte quando era in vigore l’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 – norma che devolve «alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti di amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia», ricordando in particolare, nell’ordinanza n. 1142 del 2003, che la disposizione, nella lettura datane dalla Corte di cassazione, abbraccia la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso (Cass. 11 febbraio 2003, n. 2061) – e che, quindi, a norma dell’art. 25 (rectius: 5) del codice di procedura civile «la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i mutamenti della legge e dello stato medesimo»;

  che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo dichiara di condividere quanto già considerato dalla Corte di cassazione con sentenza (rectius: ordinanza) del 25 maggio 2000 n. 43, nella quale ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in relazione all’art. 76 Cost., per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997, «nella parte in cui sottrae al giudice ordinario e devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le cause su diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali della pubblica amministrazione in procedure espropriative finalizzate alla gestione del territorio», con ciò non limitandosi «ad estendere alle controversie inerenti ai diritti patrimoniali consequenziali la giurisdizione di legittimità o esclusiva già spettante al giudice amministrativo», ma, in eccesso rispetto ai limiti della legge delega, istituendo «una nuova figura di giurisdizione, esclusiva e piena, con riferimento all’intero ambito delle controversie aventi per oggetto atti, provvedimenti o comportamenti delle amministrazioni pubbliche»;

  che in entrambi i giudizi è intervenuto, con la rappresentanza dall’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha dedotto l’inammissibilità della questione proposta, considerando come il rimettente non abbia affatto preso in considerazione la diversa opzione interpretativa secondo cui l’art. 7 della successiva legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), sostituendo il testo dell’art. 34 (nonché degli artt. 33 e 35) all’interno del d.lgs. n. 80 del 1998, non solo avrebbe trasformato la natura di tali norme – da leggi in senso materiale a leggi in senso formale, così affrancandole dal vizio di eccesso di delega – ma avrebbe altresì disciplinato direttamente la giurisdizione (in deroga all’art. 5 cod. proc. civ.), per i giudizi già pendenti al momento della sua entrata in vigore;

  che la stessa questione di costituzionalità è stata proposta dal Tribunale di Bolzano con ordinanza del 2 aprile 2003 (r.o. n. 1064 del 2003) e, quindi, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, con ordinanza del 7 gennaio 2002 (r.o. n. 435 del 2004), nonché dal Tribunale di Messina, con cinque ordinanze di analogo contenuto, rispettivamente del 26 marzo 2003 (r.o. n. 621 del 2003), dell’11 giugno 2003 (r.o. n. 740 del 2003), del 18 giugno 2003 (r.o. n. 741 del 2003), del 2 luglio 2003 (r.o. n. 754 del 2003) e del 12 giugno 2003 (r.o. n. 878 del 2003) e dal Tribunale di Aosta con ordinanza del 18 agosto 2003 (r.o. n. 818 del 2003), in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, sia con riguardo all’art. 34, commi 1 e 2, che all’art. 35, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998;

  che le argomentazioni, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, sostanzialmente coincidono con quelle del Tribunale di Vallo della Lucania innanzi esposte, salve le precisazioni che seguono;

  che l’ordinanza del Tribunale di Bolzano del 2 aprile 2003 (r.o. n. 1064 del 2003) è stata pronunciata nel corso di una causa promossa, con atto di citazione notificato il 1° febbraio 1999, da Windisch Christian David nei confronti del Comune di Bressanone e della Provincia autonoma di Bolzano perché fosse disposta, previa dichiarazione di decadenza della pronuncia di pubblica utilità, la restituzione di beni immobili di proprietà dell’attore espropriati in vista della costruzione di una strada, mai realizzata;

  che, quanto alla rilevanza della prospettata questione, il rimettente espone che la retrocessione totale di beni oggetto di espropriazione attiene tradizionalmente all’alveo dei diritti soggettivi, di modo che, se l’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 non l’avesse devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, essa sarebbe riservata alla cognizione del giudice ordinario;

  che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo svolge argomentazioni analoghe a quelle innanzi esposte, considerando altresì come, malgrado l’autorevole avallo della Corte costituzionale, non sia possibile sostenere che il legislatore, attraverso l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, che ha  modificato il testo dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, lasciando immutato l’art. 45, comma 18, della stessa fonte, non solo avrebbe trasformato la natura di tali norme – da leggi in senso materiale a leggi in senso formale – così affrancandole dal vizio di eccesso di delega, ma avrebbe altresì disciplinato direttamente la giurisdizione (in deroga all’art. 5 cod. proc. civ.), per i giudizi già pendenti al momento della sua entrata in vigore, posto che tale tesi postula la natura di norma di interpretazione autentica del citato art. 7, in contrasto col suo tenore letterale;

  che, peraltro, a giudizio del Tribunale, la persistente vigenza dell’art. 45, comma 18, del d.lgs. n. 80 del 1998, a tenore del quale «le controversie di cui agli articoli 33 e 34 del presente decreto sono devolute al giudice amministrativo», si spiega agevolmente con la consapevolezza del legislatore dell’operatività nel nostro ordinamento del principio della perpetuatio iurisdictionis di cui all’art. 5 cod. proc. civ., in forza del quale le controversie introdotte anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 continuano ad essere disciplinate dall’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 e ad essere pertanto comunque devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo;

  che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha dedotto l’inammissibilità della questione per irrilevanza o infondatezza, atteso che il giudice a quo, pur mostrando di non condividere l’esegesi proposta dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 123 del 2002, in nome di una interpretazione asseritamente basata sul tenore letterale della norma impugnata, avrebbe in realtà finito per fondare il proprio ragionamento su criteri logici, sistematici e storici, laddove è proprio quella letterale la prima regola ermeneutica applicabile – ad esclusione delle altre, ove conduca a risultati appaganti – sulla cui base è stata formulata l’opzione suggerita dal Giudice delle leggi nella richiamata pronuncia;

  che l’ordinanza del Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Atri, del 7 gennaio 2002 (r.o. n. 435 del 2004) è stata resa nel corso di un giudizio civile promosso da Fausto Consorti nei confronti della Provincia di Teramo per ottenerne la condanna alla eliminazione ovvero al risarcimento dei danni cagionati ad un proprio fondo rustico con annesso fabbricato colonico, prodotti dalla errata ed inefficiente canalizzazione delle acque piovane defluenti dalla strada provinciale n. 28;

  che, in punto di rilevanza, il rimettente osserva come, essendo stato instaurato il giudizio a quo con atto di citazione notificato il 4 maggio 2000 e, dunque, prima dell’entrata in vigore della legge n. 205 del 2000 che ha modificato l’art. 34 impugnato, al caso di specie – avente ad oggetto, in materia di urbanistica ed edilizia, pretese risarcitorie da danno ingiusto non conseguenti ad annullamenti di atti o provvedimenti – si applica la norma nella sua versione originaria, in assenza di una disciplina transitoria che autorizzi un eventuale effetto retroattivo della disposizione successiva;

  che le ordinanze del Tribunale di Messina del 26 marzo 2003 (r.o. n. 621 del 2003), dell’11 giugno 2003 (r.o. n. 740 del 2003), del 18 giugno 2003 (r.o. n. 741 del 2003), del 2 luglio 2003 (r.o. n. 754 del 2003) e del 12 giugno 2003 (r.o. n. 878 del 2003) sono state tutte pronunciate nel corso di giudizi promossi da privati proprietari per il risarcimento del danno patito per l’occupazione d’urgenza di propri terreni, disposta a suo tempo con ordinanze sindacali e successivamente divenuta illegittima (c.d. occupazione acquisitiva) a seguito della mancata ultimazione delle procedure espropriative nei termini fissati per l’occupazione stessa, a fronte dello stato di avanzata od integrale esecuzione delle opere pubbliche progettate;

  che, secondo il rimettente, alle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, tutte instaurate dopo il 30 giugno 1998, andrebbero applicate le disposizioni dell’art. 34, commi 1 e 2, e dell’art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo anteriore alla modifica operata con l’art. 7 della legge n. 205 del 2000, laddove dispongono che «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia» (art. 34, comma 1), tenuto conto che ai fini di questa disposizione «la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio» (art. 34, comma 2);

  che in tutti i giudizi è intervenuto, con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l’inammissibilità per irrilevanza ovvero l’infondatezza delle questioni proposte sulla base delle medesime argomentazioni svolte nel giudizio di cui all’ordinanza n. 1064 del 2003;

  che l’ordinanza del Tribunale di Aosta del 18 agosto 2003 (r.o. n. 818 del 2003) è stata resa nel corso di un giudizio civile promosso da Angela Bionaz nei confronti del Comune di Brissogne per ottenerne la condanna alla riduzione in pristino stato dei luoghi, ovvero al risarcimento dei danni, in conseguenza dell’esecuzione di lavori di allargamento di una strada comunale effettuati, su un fondo di proprietà dell’attrice, in base ad una delibera di approvazione del progetto esecutivo priva dell’indicazione dei termini di cui all’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilità pubblica) e, pertanto, adottata in totale carenza di potere;

  che il rimettente osserva come nel giudizio a quo, avente ad oggetto una fattispecie qualificabile in termini di “occupazione usurpativa”, per effetto delle previsioni dell’art. 34 e dell’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, entrati in vigore prima della proposizione della domanda, la giurisdizione, in precedenza pacificamente attribuita al giudice ordinario, sia ora devoluta al giudice amministrativo;

  che è intervenuto, con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri il quale ha spiegato difese identiche a quelle articolate nei giudizi iscritti al r.o. nn. 621, 740, 741, 754, 878 e 1064 del 2003.

  Considerato che tutti i giudizi, ponendo questioni sostanzialmente identiche relativamente alle stesse norme, devono essere riuniti;

  che la questione posta dall’ordinanza n. 1142 del 2003 è inammissibile in quanto il giudizio a quo è stato instaurato (5 dicembre 2000) nella vigenza dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lettera b), della legge 21 luglio 2000, n. 205;

  che, quanto alle altre questioni, questa Corte, con sentenza n. 281 del 2004, successiva a tutte le ordinanze in esame, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 34, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), «nella parte in cui istituisce una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno»;

  che, inoltre, con la medesima pronuncia questa Corte ha osservato che «la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 34, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 80 del 1998 comporta la necessità di interpretare l’art. 35 – censurato in alcune ordinanze in connessione con l’art. 34 – nel senso che il potere di riconoscere i diritti patrimoniali consequenziali, ivi incluso il risarcimento del danno, è limitato alle sole ipotesi in cui il giudice amministrativo era già munito di giurisdizione, tanto di legittimità quanto esclusiva»;

  che, pertanto, tale sentenza ha sostanzialmente modificato la disciplina riguardo alla quale i giudici rimettenti hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale oggetto del presente giudizio, rendendo necessario, conseguentemente, un nuovo esame dei termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza nei giudizi a quibus (si vedano, analogamente, le ordinanze n. 363 del 2004, n. 197 del 2004 e n. 184 del 2003);

  che, alla luce delle predette considerazioni, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), sollevata, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, dal Tribunale di Vallo della Lucania con l’ordinanza n. 1142 del 2003;

  ordina, relativamente a tutti gli altri giudizi, la restituzione degli atti ai giudici rimettenti.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11  gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2005.