Ordinanza n. 433 del 2004

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ORDINANZA N. 433

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                      Presidente

- Carlo               MEZZANOTTE        Giudice

- Fernanda         CONTRI                           “

- Piero Alberto  CAPOTOSTI                    “

- Annibale         MARINI                           “

- Franco             BILE                                 “

- Giovanni Maria FLICK                            “

- Francesco        AMIRANTE                     “

- Ugo                 DE SIERVO                     “

- Romano          VACCARELLA               “

- Paolo               MADDALENA                “

- Alfio               FINOCCHIARO              “

- Alfonso           QUARANTA                   “

- Franco             GALLO                            “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 12 della legge 27 dicembre 2002,

n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), modificato dall’articolo 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), convertito in legge 21 febbraio 2003, n. 27 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, recante disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), promossi con n. 2 ordinanze del 29 luglio 2003 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova, sulle istanze proposte da Roberto Pietro Adragna e Nicola Pallaro, iscritte ai numeri 822 e 823 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2003.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 27 ottobre 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto che con due ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, emesse in data 28 luglio 2003, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 79 della Costituzione, dell’art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), introdotto con la legge di conversione 21 febbraio 2003, n. 27, “nella parte in cui non prevede che esso non si applichi ai ruoli relativi alle somme dovute a titolo di pena pecuniaria”;

che, in punto di fatto, il rimettente premette che un soggetto, condannato con decreto penale di condanna divenuto esecutivo al pagamento di una pena pecuniaria, aveva ricevuto dal concessionario del servizio di riscossione un avviso indicante la somma dovuta e, contestualmente, la possibilità di estinguere il debito versando un importo ridotto al 25%, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 289 del 2002;

che il condannato aveva aderito a tale opzione pagando la somma ridotta indicata dal concessionario, e pertanto aveva avanzato al giudice richiesta di dichiarare estinta la pena pecuniaria residua;

che, ad avviso del rimettente, l’art. 12 della legge n. 289 del 2002, prevedendo che per i «carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione fino al 31 dicembre 2000, i debitori possono estinguere il debito (…) con il pagamento: a) di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo; b) delle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso per le spese sostenute», consentirebbe anche l’estinzione delle pene pecuniarie mediante il pagamento ridotto della somma dovuta;

che, infatti, secondo il giudice a quo, l’art. 12 censurato, inserito nel titolo II della legge n. 289 del 2002 dopo le disposizioni in materia di condono fiscale e di definizione agevolata delle altre imposte, avrebbe carattere residuale e si applicherebbe a qualsiasi somma iscritta nei ruoli statali, e dunque anche alle spese processuali e alle pene pecuniarie, dal momento che, ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), le spese processuali penali e le pene pecuniarie, nel caso di mancato adempimento nel termine assegnato, sono iscritte a ruolo in base a richiesta rivolta all’ufficio finanziario e alla loro riscossione procede il concessionario del servizio;

che, sostiene ancora il rimettente, interpretando la disposizione censurata secondo il canone ermeneutico posto dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, non vi sarebbe modo “di ritenere in via meramente interpretativa”, che l’art. 12 della legge n. 289 del 2002 “non si applichi anche alle pene pecuniarie, oltre che alle spese processuali”, dal momento che la stessa legge non prevede alcuna eccezione e che la sua ratio è quella di assicurare maggiori entrate per lo Stato;

che però, in tal modo, la disposizione censurata produrrebbe gli stessi effetti dell’indulto previsto dall’art. 174 cod. pen., senza tuttavia essere stato concesso con una legge emanata secondo il procedimento previsto dall’art. 79 della Costituzione;

che, in ordine alla rilevanza della questione prospettata, il Giudice per le indagini preliminari ritiene che, ove la Corte dichiarasse l’incostituzionalità della norma censurata nella parte in cui non prevede che l’estinzione del debito iscritto nei ruoli statali con il pagamento ridotto non è applicabile alle pene pecuniarie, la richiesta di estinzione della pena dovrebbe essere rigettata e si potrebbe procedere alla riscossione della residua somma dovuta;

  che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione venga dichiarata non fondata dal momento che il recupero delle somme dovute a titolo di pena pecuniaria inflitta con sentenza penale non rientrerebbero tra quelle cui si riferisce la norma impugnata, per le quali varrebbero norme speciali, stante la natura diversa di tali crediti rispetto agli ordinari crediti erariali;

che tale conclusione troverebbe conferma da un lato nel fatto che l’art. 5-bis del decreto-legge n. 282 del 2002 avrebbe limitato soggettivamente la norma all’amministrazione finanziaria, dall’altro nella circostanza che l’art. 1, comma 2-decies, del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143 (Disposizioni urgenti in tema di versamento e riscossione di tributi, di Fondazioni bancarie e di gare indette dalla Consip s.p.a. nonché di alienazione di aree appartenenti al patrimonio e al demanio dello Stato), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 212, ha successivamente precisato, con norma di interpretazione autentica, che, ai fini dell’art. 12 censurato, per ruoli emessi da uffici statali si intendono «quelli relativi ad entrate sia di natura tributaria che non tributaria», facendo evidente riferimento «ad ogni situazione fiscale (e non solo strettamente tributaria) dell’amministrazione finanziaria diversa dai rapporti relativi alle imposte menzionate negli artt. 6 e ss. della legge n. 289 del 2002»;

che, più in generale, secondo la difesa erariale, si dovrebbe escludere che qualunque credito, per il solo fatto di essere iscritto a ruolo, sia condonabile;

che, inoltre, il contesto in cui la norma è inserita – nel capo II del titolo II della legge n. 289 del 2002 dedicato solo al concordato fiscale – nonché una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 12 indurrebbero ad escludere che si sia «voluto falcidiare per tre quarti qualsiasi credito dello Stato perciò solo che sia iscritto a ruolo», non senza considerare che una tale operazione sarebbe oltretutto priva di copertura finanziaria;

che, seguendo l’interpretazione accolta dal giudice rimettente, la scelta dei crediti da abbattere sarebbe meramente casuale e dunque costituzionalmente irrazionale, in quanto creerebbe una disparità di trattamento tra debitori dello Stato affidata al dato, del tutto esteriore e causale, della già avvenuta iscrizione a ruolo del debito.

Considerato che l’art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nel prevedere la definizione dei carichi di ruolo pregressi mediante il pagamento di una somma pari al 25% dell’importo iscritto a ruolo, nonché delle somme dovute al concessionario a titolo di rimborso per le spese sostenute per le procedure esecutive da lui eventualmente effettuate, si riferisce ai «carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione»;

che, ai sensi dell’art. 214 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, anche la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese processuali avviene, nel caso di mancato adempimento all’invito di pagamento dell’importo dovuto, mediante iscrizione a ruolo delle relative somme;

che, benché l’art. 12 della legge n. 289 del 2002 – quale risulta anche dall’interpretazione autentica fornitane dall’art. 1, comma 2-decies, del decreto-legge n. 143 del 2003, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 212 – debba ritenersi riferito ai ruoli relativi alle entrate tanto di natura tributaria quanto di natura non tributaria, dal suo ambito di applicazione devono ritenersi sicuramente escluse le pene pecuniarie;

che diversa è, infatti, la natura delle sanzioni penali e dunque delle pene pecuniarie, le quali non possono essere equiparate alle altre entrate dello Stato;

che proprio tale natura comporta che, ai sensi dell’art. 79 della Costituzione, l’estinzione delle pene possa essere disposta solo con “legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale”;

che, dunque, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 12 della legge n. 289 del 2002 – interpretazione che, come più volte ribadito da questa Corte, “costituisce generale canone esegetico” (sentenza n. 44 del 2004; si vedano, inoltre, le sentenze n. 198 e n. 107 del 2003) – porta ad escludere che tale disposizione possa avere ad oggetto anche le pene pecuniarie, così come invece ritenuto dal giudice a quo;

che per tali ragioni, la questione prospettata dal rimettente deve ritenersi manifestamente infondata.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), modificato dall’art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282 (Disposizioni urgenti in materia di adempimenti comunitari e fiscali, di riscossione e di procedure di contabilità), introdotto con la legge di conversione 21 febbraio 2003, n. 27, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Padova, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2004.