sentenza n. 376 del 2004

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.376

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Valerio           ONIDA                                             Presidente

-  Carlo              MEZZANOTTE                                  Giudice

-  Fernanda        CONTRI                                                    “

-  Guido            NEPPI MODONA                                    “

-  Annibale        MARINI                                                    “

-  Franco            BILE                                                          “

-  Giovanni Maria FLICK                                                   “

-  Francesco       AMIRANTE                                             “

-  Ugo                DE SIERVO                                             “

-  Romano         VACCARELLA                                       “

-  Paolo              MADDALENA                                        “

-  Alfio              FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso          QUARANTA                                            “

-  Franco            GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del disegno di legge n. 702, dal titolo «Norma di interpretazione autentica dell’articolo 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19» – approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 13 novembre 2003 –, promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 21 novembre 2003, depositato in cancelleria il 1° dicembre 2003 ed iscritto al n. 86 del registro ricorsi 2003.

  Visto l’atto di costituzione della Regione siciliana;

  udito nell’udienza pubblica del 12 ottobre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giovanni Carapezza Figlia per la Regione siciliana.

Ritenuto in fatto

  1.– Con ricorso notificato il 21 novembre 2003, depositato il 1° dicembre 2003 e iscritto al n. 86 del registro ricorsi del 2003, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha impugnato il disegno di legge n. 702, dal titolo «Norma di interpretazione autentica dell’articolo 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19», approvato dall’Assemblea regionale siciliana con delibera del 13 novembre 2003, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.

  1.1.– Il ricorrente rileva che l’atto normativo impugnato – nello stabilire, all’art. 1, che «il comma 1 dell’articolo 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19, va interpretato, fin dal giorno della sua entrata in vigore, nel senso che le condizioni di ineleggibilità dei deputati dell’Assemblea regionale siciliana sono regolate, sia per ciò che concerne l’individuazione delle singole cause di ineleggibilità e di incompatibilità, sia per quanto riguarda la disciplina degli aspetti procedurali, dagli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154» – intende adeguare il regime delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati regionali alla normativa statale di cui alla richiamata legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale), con efficacia retroattiva. Così disponendo, però, il legislatore regionale innoverebbe la disciplina, determinando retroattivamente la eliminazione delle situazioni peculiari previste dalla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29 (Elezione dei deputati all’Assemblea regionale siciliana), sicché il suo intervento non sarebbe qualificabile come legge di interpretazione autentica e, dunque, del tutto impropria sarebbe la definizione contenuta nel titolo del provvedimento legislativo in questione.

  1.2.– Osserva, infatti, il ricorrente che sull’art. 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19 (Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’articolo 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica – articolo 43 dello Statuto siciliano –. Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29), si è formato un costante orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione (sentenza n. 9831 del 2002), confermato dalla Corte costituzionale.

  Quest’ultima, nella sentenza n. 306 del 2003, ha chiarito che con la citata norma – la quale, al primo comma, detta che «le condizioni di ineleggibilità previste dall’articolo 8, con esclusione del n. 4, dall’articolo 9 e dall’articolo 10 della legge regionale 20 marzo 1951, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni, rimangono regolate dagli articoli 2, 3 e 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154» – il legislatore siciliano ha inteso disporre che le condizioni di ineleggibilità previste dall’ordinamento regionale restano ferme, ma sono regolate secondo la legge statale. «Ciò in particolare significa, ove vi sia coincidenza fra le fattispecie della legge regionale e quella della legge statale relativa a situazioni di incompatibilità, la trasformazione di cause di ineleggibilità previste dalla legge regionale n. 29 del 1951 (e successive modificazioni) in cause di incompatibilità, ma anche la permanente vigenza delle residue cause di ineleggibilità previste dalla legge regionale, come, tra le altre, quella prevista dall’art. 8, secondo comma, n. 7, della stessa legge» (sentenza citata).

  Ricorda il ricorrente che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la circostanza che le norme oggetto di interpretazione autentica fossero in precedenza pianamente intese non comporta l’illegittimità costituzionale della legge interpretativa per violazione del principio di uguaglianza, alla condizione che tale legge non sia stata emanata per intenti discriminatori (sentenza n. 77 del 1964).

  Ma, a suo avviso, nel caso di specie, la tempestiva approvazione del disegno di legge censurato, all’esito di un iter deliberativo particolarmente e inusitatamente celere (meno di un mese), e subito dopo il deposito della menzionata sentenza n. 306 del 2003, che ha deciso una questione di costituzionalità sollevata nel corso di un giudizio elettorale, appare intenzionalmente finalizzata a incidere sul contenzioso pendente, venendo indirettamente a limitare, a danno di una delle parti, il diritto di accesso alla carica elettiva, garantito dall’art. 51 Cost.

  1.3.– Osserva ancora il ricorrente che la Corte costituzionale ha affermato che in uno Stato di diritto qualsiasi bene giuridico deve trovare tutela secondo le regole obiettive poste dalla normativa costituzionale, e in particolare nel rispetto della disciplina delle fonti legislative, la quale deve essere rigorosamente osservata a garanzia dell’intera comunità nazionale e per la credibilità stessa dell’ordinamento democratico statuale. Pertanto, non è consentito al legislatore distorcere la tipica funzione dell’interpretazione autentica, con il connaturato effetto retroattivo, attribuendo carattere interpretativo a disposizioni che hanno, invece, portata innovativa (sentenza n. 155 del 1990).

  Orbene, l’atto normativo impugnato, anziché chiarire il significato dell’art. 13 della legge regionale n. 19 del 1997, palesemente ne modifica il contenuto precettivo (come risulta, fra l’altro, dalla menzione delle cause di incompatibilità e dalla conseguente applicazione dell’art. 4 della legge n. 154 del 1981), venendo, così, a superare l’intrinseco limite della ragionevolezza.

  2.– La Regione siciliana, in persona del suo Presidente pro tempore, si è costituita in giudizio per resistere al ricorso del Commissario dello Stato, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.

  2.1.– La resistente premette che, con l’art. 13 della legge regionale n. 19 del 1997, modificativa della legge regionale n. 29 del 1951, si era inteso introdurre nell’ordinamento regionale le disposizioni degli articoli 2, 3 e 4 della legge n. 154 del 1981, facendo salva la sola causa di ineleggibilità prevista dall’art. 8, numero 4, della stessa legge regionale n. 29 del 1951.

  La Corte di cassazione ha, però, interpretato il citato art. 13 nel senso che il rinvio alla legge statale è limitato alla sola regolazione delle cause di ineleggibilità, rimanendo queste individuate dagli artt. 8, 9 e 10 della legge regionale n. 29 del 1951 (sentenza n. 9831 del 2002).

  Sulla scia di tale interpretazione, la medesima Corte ha, poi, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, secondo comma, numero 7, della predetta legge n. 29 del 1951, nella parte in cui prevede l’ineleggibilità alla carica di deputato dell’Assemblea regionale siciliana dei «capi servizio degli uffici centrali e periferici dipendenti o vigilati dalla Regione, nonché degli uffici statali che svolgono attività nella Regione».

  La Corte costituzionale, con la sentenza n. 306 del 2003, ha dichiarato non fondata la questione, escludendo, in particolare, l’ipotizzato contrasto con l’art. 51 Cost.

  Il legislatore siciliano, preso atto che la poco felice formulazione dell’art. 13 della legge regionale n. 19 del 1997 ha condotto ad una interpretazione giurisprudenziale difforme dall’intendimento che con detta norma si proponeva di perseguire, ha voluto, con la delibera legislativa impugnata, chiarire autenticamente il significato della stessa norma, rendendo esplicita l’abrogazione degli artt. 8 (eccettuato il numero 4 del primo comma), 9 e 10 della legge regionale n. 29 del 1951.

  2.2.– Ciò premesso, la resistente osserva che il ricorso del Commissario dello Stato si basa su due erronei presupposti: a) che la legge regionale impugnata tenda a eludere un “costante orientamento giurisprudenziale”; b) che la stessa miri a “incidere sul contenzioso pendente”.

  Il primo presupposto è infondato, in quanto un’unica sentenza della Corte di cassazione (n. 9831 del 2002), ancorché ripresa dalla successiva ordinanza di rimessione della questione di costituzionalità (ordinanza del 6 marzo 2003), non è sufficiente a costituire un orientamento consolidato.

  Peraltro, la Corte costituzionale – correttamente esercitando la sua funzione di controllo di conformità alla Costituzione della norma di legge come interpretata dal giudice rimettente – non ha avallato, nella sentenza n. 306 del 2003, l’interpretazione accolta dalla Corte di cassazione, ma l’ha ritenuta “non implausibile”, senza con ciò escludere che sia plausibile anche un’interpretazione diversa.

  Il secondo presupposto è anch’esso infondato, in quanto è arbitrario ritenere che il legislatore siciliano sia intervenuto allo scopo di favorire una delle parti del giudizio elettorale, nel corso del quale è insorto l’incidente di costituzionalità.

  In realtà, il legislatore regionale ha inteso porre rimedio a una difficoltà interpretativa della norma, confermando la propria volontà di allineare il regime delle cause di ineleggibilità e di incompatibilità dei deputati siciliani alla disciplina prevista dalla legislazione nazionale.

  2.3.– Al riguardo, la resistente obietta come non possa disconoscersi all’Assemblea regionale siciliana – come, in generale, ad ogni organo legislativo – il diritto e il dovere di farsi carico dell’interpretazione delle proprie leggi, laddove queste vengano interpretate in senso difforme dalla volontà dello stesso legislatore.

  La pendenza di controversie, in cui venga in discussione l’interpretazione di una norma, non può impedire l’esercizio del potere del legislatore di vincolare l’interprete ad assumere una delle possibili letture ermeneutiche, atteso che l’adozione di norme di interpretazione autentica non rappresenta, di per sé sola, una illegittima interferenza nella sfera del potere giudiziario (Corte cost., sentenza n. 167 del 1986).

  2.4.– Obietta ancora la resistente che il carattere interpretativo e non già innovativo dell’atto legislativo impugnato risulta suffragato dal riconoscimento della imprecisa formulazione dell’art. 13 della legge regionale n. 19 del 1997, contenuto nella stessa ordinanza della Corte di cassazione del 6 marzo 2003, in cui testualmente si dà “atto della imperfetta tecnica normativa seguita dal legislatore regionale”.

  2.5.– Infine, la resistente, per confutare i rilievi del ricorrente circa la retroattività della legge censurata, richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 123 del 1988, secondo la quale «il legislatore può conferire efficacia retroattiva alle sue disposizioni, salvo che non superi i limiti derivanti dal divieto posto dall’art. 25 Cost. per la materia penale o da altri specifici disposti costituzionali, quali, per esempio, quello dell’art. 3 Cost. Di conseguenza, ove (…) tali limiti siano rispettati, è indifferente che il legislatore disponga l’operatività di una legge anche per il passato, anziché mediante un’apposita norma, mediante un diverso strumento, qual è, come nella specie, l’autodefinizione di interpretazione autentica» (sentenza n. 36 del 1985). La legge di interpretazione autentica infatti non si distingue dalla legge innovativa con efficacia retroattiva, essendo anch’essa innovativa (v. sentenza n. 118 del 1957) e naturalmente retroattiva, e non interferisce, di per sé, con la sfera riservata al potere giudiziario.

  Peraltro, la medesima sentenza afferma che «l’esistenza di interpretazioni giudiziali discordanti, costituendo un dato estrinseco alla legge interpretativa e al suo contenuto, non può considerarsi un presupposto indispensabile di legittimità dell’intervento del legislatore che, in base a scelte politico-discrezionali, decida di imporre erga omnes un certo significato normativo di precedenti disposizioni».

  2.6.– Alla luce di tale indirizzo giurisprudenziale, la resistente deduce l’inconsistenza delle censure per asserita violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

  2.7.– Quanto alla censura mossa con riferimento all’art. 97 Cost., la resistente rileva come essa sia del tutto immotivata e apodittica e, comunque, priva di contenuto, poiché l’atto legislativo impugnato tende a garantire la certezza dei rapporti giuridici in relazione alla disciplina delle condizioni per l’esercizio del diritto di elettorato passivo e, quindi, risulta conforme ai principî di buon andamento e imparzialità.

Considerato in diritto

  1.– Il ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana è infondato.

  1.1.– Va premesso che il ricorso non investe la questione del se alle Regioni sia consentito emanare leggi aventi efficacia retroattiva, anche se non qualificabili come di interpretazione autentica: questione che, espressamente affrontata dalla ordinanza n. 713 del 1988 e dalla sentenza n. 19 del 1989, è stata da questa Corte risolta nel senso che «l’art. 11 disp. prel. cod. civ. non può assumere per il legislatore regionale altro e diverso significato da quello che esso assume per quello statale, con la possibilità per l’uno e per l’altro di emanare fuori della materia penale norme legislative alle quali possa essere attribuita efficacia retroattiva».

  In ragione di ciò non sono condivisibili le considerazioni del ricorrente volte a sottolineare, a fronte della (pretesa) univocità della norma oggetto di interpretazione autentica, che «non è consentito al legislatore distorcere la tipica funzione dell’interpretazione autentica, con il connaturato effetto retroattivo, attribuendo carattere interpretativo a disposizioni che hanno, invece, portata innovativa», chiaro essendo che ben può il legislatore (anche regionale) conferire – con i limiti più volte precisati da questa Corte, e di seguito ribaditi – efficacia retroattiva ad una legge anche se essa non si autoqualifichi, né sia, di interpretazione autentica.

  Coerentemente con questa premessa, la giurisprudenza di questa Corte è da tempo univoca nel ritenere che quello della ragionevolezza e del non contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti costituisce il limite della potestà del legislatore di conferire efficacia retroattiva alla legge, quale che sia lo strumento (“una apposita norma … o l’autodefinizione di interpretazione autentica”: sentenze n. 36 del 1985 e n. 123 del 1988) a tal fine utilizzato; con la conseguenza che «non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore deve in linea di principio attenersi – non è stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 Cost. Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva – interpretative o innovative che esse siano – purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti» (sentenza n. 374 del 2002; in senso conforme: sentenze n. 229 del 1999 e n. 419 del 2000; ordinanza n. 263 del 2002).

  1.2.– Discende da ciò che l’asserita “distorsione della funzione della legge di interpretazione autentica … per mascherare norme effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva” (cfr. sentenze n. 155 del 1990 e n. 397 del 1994) non determina, di per sé, l’illegittimità costituzionale della legge (sentenza n. 23 del 1967), ma può, al più, costituirne un indice, dal momento che occorre pur sempre verificare se siano stati valicati i limiti sopra indicati al potere del legislatore di conferire efficacia retroattiva alla legge; così come, per converso, anche ove la legge sia qualificabile come di interpretazione autentica, occorre verificare se, esercitando il potere di chiarire la portata della precedente norma, il legislatore abbia rispettato «i principî generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenze n. 525 del 2000 e n. 26 del 2003).

  2.– E’ evidente che, nel caso in esame, la “distorsione” della funzione della legge di interpretazione autentica – con il conseguente indizio di illegittimità costituzionale – non può desumersi dagli elementi posti a fondamento del ricorso, ed in particolare dalla asserita esistenza di un “diritto vivente” che avrebbe recepito l’inequivoco significato dell’art. 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19 (Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’articolo 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica – articolo 43 dello Statuto siciliano –. Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29).

  Non può non condividersi, in proposito, quanto osserva la Regione resistente, e cioè non solo che una isolata decisione della Corte di cassazione non costituisce certamente “diritto vivente”, ma anche che la stessa Corte di cassazione non ha mancato di sottolineare “l’imperfetta tecnica normativa seguita dal legislatore regionale” e che questa Corte, nella sentenza n. 306 del 2003, si è limitata a definire “non implausibile” l’interpretazione che di quella “imperfetta” norma offriva la Corte di cassazione nel sollevare la questione di costituzionalità olim decisa.

  Peraltro, non può certamente dirsi che la formulazione del citato art. 13 – oggetto di critica, per la sua equivocità, già in sede di approvazione: cfr. seduta dell’Assemblea regionale dell’11 giugno 1997 – fosse tale da non giustificare dubbio di sorta sul suo contenuto precettivo, così come non può dirsi che il significato alla norma attribuito con la legge di interpretazione autentica sia incompatibile con la lettera della norma originaria e non sia “ascrivibile ad una tra le possibili varianti di senso del testo originario” (sentenza n. 26 del 2003).

  2.1.– Condotto lo scrutinio di legittimità costituzionale – come si deve per le considerazioni che precedono – in base ai criteri che riguardano le leggi di interpretazione autentica, deve osservarsi che il ricorso non fornisce elementi di sorta a sostegno della invocata illegittimità costituzionale: non quanto al profilo della irragionevolezza, né quanto all’intento di incidere illegittimamente su un contenzioso pendente.

  Rilevato, a tale ultimo proposito, che l’incidenza sui rapporti pendenti è un effetto insito nel fenomeno dell’interpretazione autentica (sentenza n. 26 del 2003), va osservato che non viene dedotta dal ricorrente la violazione degli artt. 101 e seguenti Cost., ma esclusivamente la indiretta limitazione – che dalla norma “nuova” discenderebbe – del diritto di accesso alla carica elettiva, in danno di una delle parti del giudizio in corso, e pertanto la violazione dell’art. 51 Cost.

  Ma, così prospettata, la censura è evidentemente infondata: da un lato, non è dato vedere come la eliminazione di talune cause di ineleggibilità possa limitare il diritto di accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza; dall’altro lato, il carattere retroattivo di tale eliminazione non contrasta con il principio di ragionevolezza – da scrutinarsi con particolare rigore nella materia elettorale –, giacché, nel caso in esame, la legge di interpretazione autentica mira a realizzare un allineamento pressoché totale della legislazione siciliana a quella nazionale, e pertanto una riduzione delle ipotesi di restrizione all’accesso alle cariche elettive in linea con il precetto di cui all’art. 51 Cost., a norma del quale “l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità l’eccezione” (sentenza n. 46 del 1965; conformi, ex plurimis: sentenze n. 166 del 1972; n. 5 del 1978; n. 344 del 1993; n. 141 del 1996; n. 306 del 2003), ed in linea, va rilevato ancora, con la esigenza di una tendenziale uniformità, sul piano nazionale, della disciplina dell’elettorato passivo (sentenze n. 438 del 1994; n. 162 del 1995; n. 276 del 1997; n. 306 del 2003). E ciò è sufficiente per escludere la violazione dell’art. 3 Cost.

  2.2.– La censura fondata sulla violazione dell’art. 97 Cost. è meramente enunciata, ma è, nel ricorso, sfornita di qualsiasi supporto argomentativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del disegno di legge n. 702, dal titolo «Norma di interpretazione autentica dell’articolo 13 della legge regionale 20 giugno 1997, n. 19», approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 13 novembre 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, dal Commissario dello Stato presso la Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 novembre 2004.

F.to:

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2004.