Ordinanza n. 366 del 2004

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ORDINANZA N. 366

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-  Valerio                                ONIDA                                        Presidente

-  Carlo                                   MEZZANOTTE                            Giudice

-  Fernanda                             CONTRI                                              "

-  Guido                                  NEPPI MODONA                              "

-   Piero Alberto                      CAPOTOSTI                                       "

- Annibale                               MARINI                                              "

-  Franco                                 BILE                                                    "

-  Giovanni  Maria                  FLICK                                                 "

-   Francesco                           AMIRANTE                                       "

-   Ugo                                    DE SIERVO                                       "

-   Romano                              VACCARELLA                                 "

-   Paolo                                  MADDALENA                                  "

-   Alfio                                   FINOCCHIARO                                "

-   Alfonso                              QUARANTA                                      "

-   Franco                                GALLO                                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, in connessione con gli artt. 5 e 7, della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), promosso con ordinanza del 21 luglio 2003 dal Tribunale di Udine nel procedimento civile vertente tra Gianpaolo Sut ed altra, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale, e l’Azienda per i servizi sanitari n. 5 “Bassa Friulana”, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 luglio 2003, il Tribunale di Udine ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, 6 e 7 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), in riferimento agli articoli 2, 27, ultimo comma, e 32 della Costituzione;

 che, secondo quanto riferisce il rimettente, la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio promosso nel 1994 da due coniugi – in proprio e quali esercenti la potestà parentale sul figlio minore nato nel 1988, presso la struttura ospedaliera della convenuta, con una ipoplasia del femore sinistro – contro un’unità sanitaria locale (USL), poi divenuta azienda per i servizi sanitari (ASL), per ottenerne la condanna <<al risarcimento dei danni patrimoniali, non patrimoniali, morali, alla salute, biologici, esistenziali, psichici, alla serenità familiare, edonistici e quant’altro, sofferti conseguentemente all’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione in tempo utile>> da parte del personale sanitario della convenuta <<in ordine alle possibili anomalie o malformazioni del nascituro al fine di poter prendere le opportune decisioni anche circa l’interruzione della gravidanza, nonché sulla possibilità della cura delle stesse se tempestivamente diagnosticate>>;

 che il rimettente – dopo aver dato conto dei successivi svolgimenti processuali – individua l’oggetto del contendere nel risarcimento del danno asseritamente subìto dalla madre per non aver potuto, a causa dell’errata diagnosi della struttura sanitaria, esercitare (ai sensi dell’art. 6 della legge n. 194 del 1978) il diritto all’interruzione della gravidanza per le <<rilevanti malformazioni del nascituro che avrebbero determinato come da conclusioni del consulente tecnico d’ufficio grave pericolo per la salute psichica della donna>>;

che in particolare, secondo il rimettente, il consulente – accertato come il minore fosse <<affetto da grave malformazione congenita del femore sinistro, che poteva essere riconosciuta fin dal primo trimestre di gravidanza con esame ecografico accurato>> – aveva concluso che <<il mancato riconoscimento della malformazione entro il primo trimestre di gestazione non aveva permesso alla madre di richiedere l’interruzione volontaria della sua gravidanza>> e <<che la nascita del figlio ha causato un danno psicofisico ed economico alla coppia oltre alla sofferenza psicologica e fisica che accompagna il bambino fin dalla nascita>>;

che il rimettente – premesso che <<la madre unitamente al coniuge agisce anche per il piccolo … danneggiato dal fatto di essere vivo – ancorché con un arto più corto – e non defunto>> – ritiene non manifestamente infondata la questione di costituzionalità <<dell’art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, ed in connessione con lo stesso quella degli artt. 5 e 7 della medesima legge>>;

che, a suo avviso, tali norme contrasterebbero anzitutto con l’art. 2 della Costituzione <<che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, usando appositamente questa espressione generica che fa riferimento all’essere umano, e non quella di cittadino>>, in quanto – essendo <<il  primo diritto di ogni uomo>> quello alla vita – sarebbe incongrua e contraria al detto articolo <<la possibilità che una persona ancorché si tratti di un bambino non ancora nato venga soppressa per la possibilità che la sua nascita fisicamente imperfetta arrechi una sofferenza psicologica alla madre, costituendo altro e diverso soggetto avente la medesima dignità del bambino>>;

che le norme in esame contrasterebbero, altresì, con l’art. 27, ultimo comma, della Costituzione, il quale, <<vietando la pena di morte, implicitamente esclude che la morte possa essere applicata in via amministrativa>>; e con l’art. 32 della Costituzione, che <<tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo>>, in quanto nel termine individuo si dovrebbe ritenere compreso anche il bambino non nato;

che la questione di costituzionalità dell’art. 6 della legge n. 194 del 1978 sarebbe rilevante <<in quanto è precisamente dalla violazione del preteso diritto riconosciuto dall’articolo stesso che conseguirebbe nella fattispecie il danno risarcibile>>;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, con una memoria nella quale sostiene l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.

Considerato che dalla pur non chiara esposizione della vicenda oggetto del giudizio a quo, contenuta nell’ordinanza di rimessione, si ricava – da un lato – che le domande risarcitorie, proposte dai genitori in proprio e per conto del figlio minore, si basano sugli accertamenti ecografici eseguiti sulla gestante presso la struttura ospedaliera della convenuta, da cui sarebbe stato possibile rilevare la malformazione del feto, e – dall’altro – che tali accertamenti furono svolti quando la gravidanza durava da oltre novanta giorni;

che, pertanto, la questione di costituzionalità è ritenuta dal giudice rilevante in quanto concerne le norme da cui deriverebbe l’asserito diritto della gestante a chiedere l’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni dal suo inizio, la cui lesione avrebbe determinato l’ingiustizia del danno risarcibile;

che le precisazioni del rimettente, in particolare sull’idoneità della taciuta malformazione ad arrecare grave pericolo alla salute psichica della madre, rivelano come, nella specie, la possibilità di interrompere la gravidanza, in ipotesi preclusa dal comportamento della convenuta, sia riconducibile alla lettera b) dell’impugnato art. 6 della legge n. 194 del 1978;

che questa norma ammette bensì l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi novanta giorni, quando siano accertati processi patologici (tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro) che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, ma all’ulteriore condizione – prevista dall’art. 7, terzo comma, della stessa legge, anch’esso impugnato – che non sussista possibilità di vita autonoma del feto;

che pertanto il giudice rimettente – per ritenere rilevante la questione di legittimità costituzionale proposta nei termini indicati – avrebbe dovuto motivatamente affermare che, trascorsi i primi novanta giorni di gravidanza, la gestante, se informata delle malformazioni del feto, avrebbe potuto, in base alla normativa impugnata, decidere l’eventuale interruzione della gravidanza, in quanto non sussisteva la possibilità di vita autonoma del nascituro malformato;

che infatti – se tale possibilità fosse sussistita – la gravidanza non avrebbe potuto essere interrotta, e il giudice sarebbe stato in grado di decidere (nel senso del rigetto) sul capo di domanda relativo ai danni conseguenti alla mancata interruzione, per la concreta inconfigurabilità della posizione giuridica soggettiva in ipotesi ingiustamente lesa ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, e su tale decisione l’eventuale accoglimento della questione proposta non avrebbe spiegato alcun effetto;

che il silenzio dell’ordinanza sul punto comporta perciò il totale difetto di motivazione sulla rilevanza della questione;

che, quindi, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative  per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, 6 e 7 della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 27, ultimo comma, e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Udine, con l’ordinanza in epigrafe. 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2004.