Ordinanza n. 359 del 2004

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ORDINANZA N.359

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

-  Valerio                       ONIDA                                             Presidente

-  Carlo                          MEZZANOTTE                                   Giudice

-  Fernanda                   CONTRI                                                    “

-  Guido                        NEPPI MODONA                                    “

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                             “

-  Annibale                    MARINI                                                    “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria         FLICK                                                      “

-  Francesco                  AMIRANTE                                             “

-  Ugo                           DE SIERVO                                             “

-  Romano                     VACCARELLA                                       “

-  Paolo                         MADDALENA                                        “

-  Alfio                          FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                     QUARANTA                                            “

-  Franco                       GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, primo comma, numero 3), e secondo comma, e 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni), promosso con ordinanza del 24 novembre 2003 dal Tribunale di Como nel procedimento di esecuzione promosso dalla Rileno s.p.a. contro Sanfilippo Salvatore ed altro, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

  Ritenuto che, nel corso di un processo di espropriazione forzata presso terzi avente ad oggetto lo stipendio di un dipendente del Ministero dell’economia e delle finanze, sulla richiesta del creditore procedente – concessionario del servizio di riscossione dei tributi della Provincia di Como che aveva agito per il recupero del credito tributario concernente la tassa sui rifiuti relativa agli anni 2000 e 2001 – di assegnazione del credito staggito “nei limiti di legge” e sulla dichiarazione del terzo, Direzione provinciale dei servizi vari, circa l’importo dello stipendio dell’esecutato al netto di una precedente cessione volontaria del quinto e di altre due ritenute, operate a seguito di precedenti ordinanze di assegnazione pronunciate in favore di un diverso creditore non tributario, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como, con ordinanza emessa il 24 novembre 2003, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3 della Costituzione:

  – dell’art. 2, primo comma, numero 3), del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), nella parte in cui non prevede che il pignoramento dello stipendio possa avvenire nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito di cui ai numeri 2) e 3), e del medesimo art. 2, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nella parte in cui – a differenza di quanto previsto dall’art. 545, quinto comma, cod. proc. civ. per i lavoratori dipendenti del settore privato – non prevede il simultaneo concorso nel limite della metà dello stipendio dei pubblici dipendenti, anche di un pignoramento eseguito per il soddisfacimento di crediti tributari;

  – e, conseguentemente, nel caso di eventuale accoglimento delle precedenti eccezioni, dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, «nella parte in cui non prevede che il pignoramento dello stipendio dei pubblici dipendenti possa avvenire nei limiti di cui all’art. 2 sullo stipendio residuo, al netto della trattenuta operata per la precedente cessione»;

  che, con riguardo alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che, alla stregua dell’art. 2, primo comma, numero 3), del d.P.R. n. 180 del 1950 (come inciso dalle pronunce di illegittimità costituzionale n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988), il pignoramento del quinto dello stipendio dei pubblici dipendenti è consentito sia «per tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni», che «per ogni altro credito vantato nei confronti del personale», mentre, secondo il disposto del secondo comma del medesimo articolo 2, nel caso di simultaneo concorso delle cause indicate ai numeri 2) (debiti verso lo Stato e verso altri enti, aziende ed imprese da cui il debitore dipende, derivanti dal rapporto d’impiego o di lavoro) e 3), il pignoramento non può colpire una quota maggiore del quinto, per cui, nel giudizio a quo, il pignoramento eseguito dalla creditrice consentirebbe solo un’assegnazione del quinto dello stipendio, subordinata all’integrale estinzione dei crediti per il cui soddisfacimento è già stato assegnato l’unico quinto pignorabile per tutti i crediti diversi da quelli di natura alimentare;

  che, a giudizio del rimettente, il trattamento più favorevole così previsto per i pubblici dipendenti rispetto a quelli del settore privato – per i quali l’art. 545 cod. proc. civ. dispone che il pignoramento degli stipendi e dei salari può avvenire «nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» (quarto comma) e inoltre, che, nel caso di simultaneo concorso di crediti per titoli di natura alimentare, tributaria ed ordinaria, il pignoramento non possa superare il limite della metà dello stipendio – unitamente al fatto che nella norma censurata non è previsto «uno specifico pignoramento del quinto per i crediti di natura tributaria, separato e distinto dal pignoramento eseguito per i crediti di altra natura», sarebbe del tutto ingiustificato e costituirebbe, pertanto, una violazione dell’art. 3 della Costituzione;

  che, tuttavia, dall’eventuale accoglimento della prospettata questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo ritiene discenda, per dipendenza logica, l’ulteriore sospetto di illegittimità costituzionale dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950, il quale, nel caso di volontaria cessione dello stipendio perfezionata prima del pignoramento, dispone che l’oggetto del pignoramento non può eccedere «la differenza fra la metà dello stipendio o salario valutati al netto di ritenute e la quota ceduta»;

  che il contrasto con l’art. 3 della Costituzione scaturirebbe dalla più favorevole disciplina dettata, nell’analoga fattispecie, per i dipendenti privati, per i quali la cessione di parte dello stipendio perfezionata prima del pignoramento determina – a norma dell’art. 2914, primo comma, numero 2, cod. civ. – la riduzione della base di calcolo del quinto pignorabile, in conseguenza della diminuzione dell’importo dello stipendio opponibile al creditore pignorante;

  che, in definitiva, nel caso di precedente cessione volontaria di un quinto, la base di calcolo dello stipendio pignorabile del dipendente privato sarebbe ridotta a 4/5 dell’intero, dei quali sarebbe concretamente pignorabile solo 1/5, e cioè 4/25 dell’intero;

  che, osserva infine il giudice rimettente, le questioni così prospettate sono rilevanti ai fini della quantificazione della somma da assegnare alla creditrice procedente;

  che è intervenuto, con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha eccepito, in primo luogo, la manifesta irrilevanza della questione, in quanto il creditore procedente aveva domandato l’assegnazione «nei limiti di legge», con la conseguenza che il riferimento alle norme vigenti al momento della domanda avrebbe reso il giudizio a quo insensibile all'eventuale declaratoria di illegittimità delle disposizioni in esame;

  che del pari inammissibile sarebbe il primo motivo di censura, tenuto conto che dall’art. 2, primo comma, numero 3), del d.P.R. n. 180 del 1950, proprio a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988 che ne hanno dichiarato la illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedeva la pignorabilità del quinto dello stipendio dei pubblici dipendenti anche per ogni altro credito vantato nei confronti del personale, sostanzialmente già consegue l’effetto di parificazione invocato dal rimettente, con un riallineamento sul punto del settore pubblico a quello privato;

  che all’accoglimento della censura, sotto un ulteriore profilo, osterebbe la circostanza per cui il più favorevole trattamento previsto per i pubblici dipendenti dal secondo comma dell’art. 2 del d.P.R. n. 180 del 1950 in tema di concorso tra le diverse cause di credito costituisce aspetto secondario di una disciplina che, emendata dalle più vistose antinomie per effetto degli interventi additivi della Corte costituzionale, non può dirsi sia stata da questi interventi globalmente e necessariamente orientata verso la totale parificazione con quella del settore privato, come implicitamente riconosce la stessa ordinanza di rimessione laddove, «in via principale, si deduce una situazione ingiustificatamente più vantaggiosa per il dipendente pubblico; e in via consequenziale si prospetta, in caso di accoglimento dell’eccezione, una situazione più vantaggiosa per il dipendente privato nell’ipotesi di cessione di una quota dello stipendio prima del pignoramento» (questione relativa all’art. 68, del d.P.R. n. 180 del 1950).

  Considerato che il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 2, primo comma, numero 3), del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), nella parte in cui non prevede che il pignoramento dello stipendio possa avvenire nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle Province e ai Comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito di cui ai numeri 2) e 3), e dell’art. 2, secondo comma, del medesimo d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nella parte in cui – a differenza di quanto previsto dall’art. 545, quinto comma, cod. proc. civ. per i lavoratori dipendenti del settore privato – non prevede il simultaneo concorso nel limite della metà dello stipendio dei pubblici dipendenti, anche di un pignoramento eseguito per il soddisfacimento di crediti tributari; nel caso di eventuale accoglimento delle precedenti eccezioni il rimettente dubita poi della legittimità costituzionale dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nella parte in cui non prevede che il pignoramento dello stipendio dei pubblici dipendenti possa avvenire nei limiti di cui all'art. 2 sullo stipendio residuo, al netto della trattenuta operata per la precedente cessione;

  che la censura relativa all’art. 2, primo comma, numero 3), del d.P.R. n. 180 del 1950 – formulata quale premessa a quella relativa al comma secondo – è del tutto inconsistente atteso che la norma, a seguito delle sentenze n. 89 del 1987 e n. 878 del 1988 di questa Corte, deve ritenersi aver assunto il medesimo significato (se non anche formulazione) del comma quarto dell’art. 545 cod. proc. civ.;

  che la questione sollevata in relazione all’art. 2, secondo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950 non può essere scrutinata da questa Corte in quanto, come la stessa ordinanza di rimessione non può non rilevare, dal suo accoglimento – volto a parificare (con modifica in peius) il trattamento dei dipendenti pubblici a quelli privati quanto al concorso di più creditori – scaturirebbe inevitabilmente l’esigenza di procedere ad una ulteriore parificazione (stavolta con modifica in melius) quanto al concorso di pignoramenti e di trattenute per precedenti cessioni del quinto della retribuzione;

  che è manifesta l’inammissibilità di questioni che si risolvono nel chiedere a questa Corte una pronuncia volta a creare, manipolando più norme, un nuovo equilibrio (con una parificazione assoluta) rispetto a quello realizzato – in modo di certo non manifestamente irragionevole – dal legislatore con il prevedere un sistema che, a fronte di un trattamento più favorevole per il pubblico dipendente quanto al cumulo di pignoramenti, contempla un trattamento meno favorevole quanto al concorso di pignoramenti con precedenti cessioni del credito.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, numero 3), e secondo comma, e dell’articolo 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Como con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il il 15 novembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2004.