Ordinanza n. 346 del 2004

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ORDINANZA N. 346

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                  Presidente

- Carlo              MEZZANOTTE        Giudice

- Fernanda         CONTRI                      "

- Guido             NEPPI MODONA         "

- Piero Alberto   CAPOTOSTI                "

- Annibale         MARINI                      "

- Franco            BILE                            "

- Giovanni Maria FLICK                        "

- Francesco        AMIRANTE                 "

- Ugo                DE SIERVO                 "

- Romano          VACCARELLA            "

- Paolo              MADDALENA             "

- Alfio               FINOCCHIARO           "

- Alfonso           QUARANTA                "

- Franco            GALLO                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 7, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993) e 6, comma 8-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, promosso con ordinanza del 28 ottobre 2003 dalla Corte dei conti, III sezione giurisdizionale centrale d’appello per la Regione Lazio, sull’appello proposto da Lorenzetti Rita contro l’INPDAP, iscritta al n. 1117 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 ottobre 2004 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che la Corte dei conti, nel corso di un giudizio di appello in materia pensionistica, con ordinanza del 28 ottobre 2003 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993) e dell’art. 6, comma 8-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui tali norme non estendono ai dipendenti delle Comunità europee con sede di servizio in Italia, alla data del 1° febbraio 1991, lo stesso beneficio dell’esonero dal divieto di cumulo di pensione e retribuzione, riconosciuto ai loro colleghi in servizio all’estero;

che la normativa impugnata sarebbe – ad avviso del rimettente – innanzitutto lesiva del principio di eguaglianza, non apparendo sorretta da un valido fondamento giustificativo la discriminazione introdotta all’interno della categoria dei dipendenti delle Comunità europee aventi diritto a trattamento pensionistico anticipato;

che la stessa normativa, inoltre, sacrificando, sia pur temporaneamente, «un legittimo diritto patrimoniale» del lavoratore, si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali in materia di diritto al lavoro e di tutela del lavoro;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o di manifesta infondatezza della questione;

che, ad avviso della parte pubblica, sarebbe possibile una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme impugnate, tesa ad escludere la prospettata disparità di trattamento dei dipendenti delle Comunità europee in ragione della sede di servizio;

che non sussisterebbe, peraltro, violazione del principio di eguaglianza in quanto il più favorevole trattamento riservato, con norma eccezionale, ai lavoratori in servizio all’estero sarebbe giustificato dai maggiori disagi che costoro sono chiamati ad affrontare;

che infine – quanto alla denunciata violazione degli artt. 4 e 35 della Costituzione – dovrebbe al contrario considerarsi che il divieto di cumulo tra pensione di anzianità e retribuzione è finalizzato proprio alla tutela dei giovani in cerca di occupazione.

Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993), e dell’art. 6, comma 8-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui tali norme prevedono l’esonero dal divieto di cumulo della pensione di anzianità con la retribuzione per i soli dipendenti delle Comunità europee in servizio all’estero e non anche per quelli in servizio in Italia;

che il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente è sicuramente corretto, atteso che la norma di cui all’art. 7, comma 2, della legge n. 407 del 1990, che – ai sensi del successivo art. 6, comma 8-bis, del decreto-legge n. 148 del 1993, convertito nella legge n. 236 del 1993 – non trova applicazione nei confronti dei dipendenti delle Comunità europee, abrogava l’art. 23-quinquies del decreto-legge n. 267 del 1972, aggiunto dalla legge di conversione 11 agosto 1972, n. 485, limitatamente alla previsione di esonero dal divieto di cumulo dei lavoratori dipendenti che svolgono attività lavorativa fuori del territorio nazionale, cosicché il suo effetto non può che essere quello di lasciare in vita  il suddetto esonero a vantaggio dei (soli) dipendenti delle Comunità europee in servizio all’estero;

che non sussiste, tuttavia, la denunciata lesione del principio di eguaglianza, ove si consideri che la categoria dei lavoratori dipendenti in servizio fuori del territorio nazionale non è, in via generale, omogenea a quella dei lavoratori in servizio in Italia, per l’evidente maggior disagio, anche economico, che il trasferimento all’estero comporta, cosicché non può dirsi manifestamente irragionevole la scelta legislativa di derogare solo per gli uni, e non per gli altri, al generale principio del divieto di cumulo tra pensione di anzianità e retribuzione;

che per quanto riguarda le censure riferite agli artt. 4 e 35 della Costituzione, questa Corte ha già osservato che «il riconoscimento del diritto al lavoro e la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni non sono pregiudicati dal fatto che il titolare di pensione di anzianità non possa godere di due diversi trattamenti, quello di lavoro e quello pensionistico» (sentenza n. 416 del 1999);

che la questione va perciò dichiarata, sotto entrambi i profili, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993), e dell’art. 6, comma 8-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, dalla Corte dei conti, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 15 novembre 2004.