Ordinanza n. 317 del 2004

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ORDINANZA N.317

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio                        ONIDA                                  Presidente

- Carlo                           MEZZANOTTE                       Giudice

- Fernanda                     CONTRI                                       "

- Guido                         NEPPI MODONA                       "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                "

- Annibale                     MARINI                                       "

- Franco                         BILE                                             "

- Giovanni Maria           FLICK                                          "

- Francesco                    AMIRANTE                                 "

- Ugo                             DE SIERVO                                 "

- Romano                      VACCARELLA                           "

- Paolo                           MADDALENA                            "

- Alfonso                       QUARANTA                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 420, 161, secondo comma, e 429, primo comma, del codice di procedura civile promossi dal Tribunale di Milano con una ordinanza del 30 ottobre e tre del 29 ottobre 2003 rispettivamente iscritte ai nn. 14, 16, 35 e 49 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 9, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che il Tribunale di Milano, sezione lavoro, con quattro identiche ordinanze, emesse tra il 29 e il 30 ottobre 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, degli artt. 420, 161, secondo comma, e 429, primo comma, del codice di procedura civile nella parte in cui, nell’ipotesi di mutamento della persona fisica del giudice rispetto a quello originariamente designato, non prevedono, rispettivamente, la rinnovazione dell’assunzione delle prove, l’emissione della sentenza da parte dello stesso giudice che ha provveduto all’istruzione e la sanzione della nullità per la sentenza pronunciata da un giudice diverso da quest’ultimo;

che secondo il giudice a quo – designato dal Presidente della sezione quale titolare di quattro procedimenti di lavoro, già istruiti e rinviati per la discussione, in sostituzione di altro magistrato cessato dalle funzioni – dette norme determinerebbero una irragionevole disparità di disciplina rispetto al processo penale, risultando altresì lesive dei principi del giusto processo e del diritto di difesa;

che, a parere del Tribunale, nel rito del lavoro sarebbe essenziale l’identità tra il giudice-persona fisica che presiede l’udienza di cui all’art. 420 del codice di procedura civile (non a caso definita «udienza di discussione») e che assume le prove, e quello che decide la controversia, alla stregua di quanto avviene nel giudizio penale – definito processo orale per eccellenza – nel quale le conseguenze del mutamento della persona fisica del giudice trovano un’espressa sanzione nella nullità di cui all’art. 525 del codice di procedura penale e nella conseguente necessità di rinnovare l’istruttoria dibattimentale;

che si realizzerebbero così le violazioni del principio della parità di trattamento, per essere entrambi i giudizi retti dal principio dell’oralità, nonché del diritto di difesa, pienamente ed efficacemente esercitabile solo davanti al giudice che ha assunto le prove dalla cui valutazione – come nei giudizi a quibus dipende la decisione;

che, infine, secondo il remittente, il quale critica il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, risulterebbero vulnerati anche i principi del giusto processo in quanto, una volta scelto il principio di oralità, sarebbe imprescindibile che il giudice deputato alla decisione sia anche quello che ha personalmente proceduto all’istruzione, non potendosi altrimenti parlare di «processo» che si svolge «davanti» al giudice, cioè con la piena e consapevole partecipazione del giudicante;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, preliminarmente eccependo l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto il giudice a quo avrebbe potuto motivatamente disapplicare la giurisprudenza non condivisa, e sostenendo nel merito l’infondatezza delle censure, per l’operatività, nel processo del lavoro, degli artt. 174 del codice di procedura civile e 63 delle disposizioni d’attuazione del medesimo codice;

che, secondo l’Autorità intervenuta, la scelta legislativa di consentire la prosecuzione del processo anche quando l’istruttore sia impossibilitato a concludere l’istruttoria o a decidere la causa, risulterebbe coerente con i principi del giusto processo, in quanto la durata di questo sarebbe compromessa ove fosse necessario ricominciare l’istruttoria in caso di trasferimento o impedimento del giudice, mentre non pertinenti sarebbero i richiami al processo penale, data la diversità dei beni coinvolti, e  all’art. 24 della Costituzione, cui è estraneo il tema del cambiamento della persona fisica del giudice.

Considerato che il dubbio di illegittimità costituzionale sollevato dal Tribunale di Milano coinvolge gli artt. 420, 161, secondo comma, e 429, primo comma, del codice di procedura civile nella parte in cui, nell’ipotesi di mutamento della persona fisica del giudice (rispetto a quello originariamente designato) non prevedono, rispettivamente, la rinnovazione dell’assunzione delle prove, l’emissione della sentenza da parte dello stesso giudice che ha provveduto all’istruzione e la sanzione della nullità per la sentenza pronunciata da un giudice diverso da quest’ultimo, così concretando una irragionevole disparità di disciplina rispetto al processo penale e risultando altresì lesivi dei principi del giusto processo e del diritto di difesa in violazione degli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione;

che, per l’identità delle questioni, i giudizi vanno riuniti e decisi con unica pronuncia;

che anche a voler prescindere dall’applicabiltà, nel rito del lavoro, del combinato disposto degli artt. 174 del codice di procedura civile e 63 delle disposizioni d’attuazione dello stesso codice – per effetto dei quali, in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze, è possibile la sostituzione del giudice istruttore – la questione è manifestamente infondata;

che gli impugnati artt. 420 e 429, primo comma, del codice di procedura civile disciplinano la fase decisoria del processo del lavoro in coerenza con i principi ispiratori di tale rito, senza che la garanzia di cui all’art. 24 della Costituzione risulti compromessa dalla decisione della controversia non da parte del giudice che l'ha istruita ma da quello dinanzi a cui si è svolta la discussione della causa, il quale ha conoscenza degli atti già acquisiti al processo e conserva, comunque, in ordine alle prove, i poteri istruttori previsti dall’art. 421 dello stesso codice;

che tale possibilità appaga le esigenze di concentrazione ed immediatezza, laddove il principio di oralità è comunque rispettato dalla necessaria identità tra chi assiste alla discussione e chi decide;

che i modelli del processo civile e di quello penale, per la loro intrinseca diversità, non consentono alcuna comparazione (v., ex plurimis, ordinanze n. 426 del 1998 e n. 286 del 2003) né le soluzioni per garantire un giusto processo devono seguire linee direttive necessariamente identiche per i due tipi di processo (v. da ultimo sentenza n. 78 del 2002 e ordinanza n. 80 del 2003).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 420, 161, secondo comma, e 429, primo comma, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Milano, sezione lavoro, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2004.