CONSULTA ONLINE
SENTENZA
N.316
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI
MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di costituzionalità dell’art. 3, primo comma, del decreto legislativo
luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 (Integrazioni e modifiche al d.l. lgt. 25 giugno 1944, n. 151, relativo all’Assemblea per la
nuova costituzione dello Stato, al giuramento dei membri del Governo ed alla
facoltà del Governo di emanare norme giuridiche); degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6,
7, 8 e 9 del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654 (Norme per l’esercizio
nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato);
dell’art. 4 del decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151 (Assemblea
per la nuova costituzione dello Stato, giuramento dei membri del Governo e
facoltà del Governo di emanare norme giuridiche); dell’art. 1 del decreto
legislativo del Presidente della Regione siciliana 31 marzo 1952, n. 8
(Trattamento economico dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa per
la Regione siciliana), ratificato dall’art. 1 della legge della Regione
siciliana 13 marzo 1953, n. 9 (Ratifica del decreto legislativo presidenziale
31 marzo 1952, n. 8, concernente "Trattamento economico dei membri del
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana”) e degli artt.
4, comma 1, lett. d), e comma 2, 6,
comma 2, e 15, commi 1 e 2, decreto legislativo 24 dicembre 2003, n. 373 (Norme
di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana concernenti
l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato) e
dell’art. 6 del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354 (Disposizioni urgenti
per il funzionamento dei tribunali delle acque, nonché interventi per
l’amministrazione della giustizia), convertito con modificazioni nella legge 26
febbraio 2004, n. 45, promossi con ordinanze del 13 maggio, del 9 settembre,
ancora del 13 maggio 2003 e del 10 marzo 2004 dal Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana rispettivamente iscritte ai nn. 443, 902 del registro ordinanze 2003 ed ai nn. 30 e 430 del registro ordinanze 2004, e con atti del 13
e del 26 febbraio 2004 dal Presidente dello stesso Consiglio, rispettivamente
iscritti ai nn. 272 e 273 del registro ordinanze
2004, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 28 e 45, prima serie speciale,
dell’anno 2003, nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004 e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 12, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di costituzione
dell’Ausonia Servizi Tributari S.p.A., del Comune di Belmonte
Mezzagno, della Sipa S.p.A.
ed altra e di Michele Basile ed altro nonché gli atti di intervento della
Regione siciliana e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 luglio
2004 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi gli avvocati Salvatore Raimondi per l’ Ausonia Servizi Tributari S.p.A., Andrea Scuderi per la Sipa S.p.A. ed
altra e per Michele Basile ed altro, Michele Arcadipane
e Giovanni Carapezza Figlia per la Regione siciliana
e l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. — Con due
ordinanze di tenore sostanzialmente identico, emesse rispettivamente in data 13
maggio 2003 (r.o. n. 443 del 2003) e in data 9
settembre 2003 (r.o. n. 902 del 2003), nel corso di
altrettanti giudizi su ricorsi in appello avverso sentenze del TAR per la
Sicilia, i1 Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha
sollevato una serie di questioni di legittimità costituzionale concernenti la
istituzione del Consiglio stesso e la sua composizione. Le ordinanze muovono da
una ricostruzione delle vicende che accompagnarono la emanazione delle norme di
attuazione dello statuto speciale della Regione siciliana – anteriore alla
Costituzione repubblicana, essendo stato approvato con regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455, e con la espressa riserva, contenuta nel
secondo comma dell'articolo unico, di essere sottoposto all'Assemblea
costituente per essere coordinato con la nuova Costituzione, coordinamento in
realtà mai avvenuto – e da una premessa relativa al carattere della delega
conferita al Governo per detta emanazione.
Il giudice a quo impugna in via successivamente gradata l'art. 3, primo comma, del decreto legislativo
luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98 (Integrazioni e modifiche al d.l. lgt. 25 giugno 1944, n. 151, relativo all’Assemblea per la
nuova costituzione dello Stato, al giuramento dei membri del Governo ed alla
facoltà del Governo di emanare norme giuridiche) e, derivatamente,
gli artt. 1 e seguenti del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654 (Norme per
l’esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di
Stato); l’art. 4 del decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151
(Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, giuramento dei membri del
Governo e facoltà del Governo di emanare norme giuridiche), in riferimento ai
principi costituzionali in materia di delegazione legislativa, essendo stato
lasciato il Governo – si sostiene nelle ordinanze – arbitro di legiferare in
qualsiasi materia, con le sole eccezioni di quella costituzionale, elettorale
ed internazionale.
Ulteriore vizio di costituzionalità risiederebbe nel fatto che gli artt.
1, 3, primo comma, 4, 5, 6, 7, 8, 9 del d. lgs. n.
654 del 1948 sono stati emanati in assenza dello speciale procedimento previsto
dallo statuto siciliano, che dispone all'art. 43 che le norme di attuazione
dello statuto stesso siano determinate da una commissione paritetica.
In diverso ordine di idee, il giudice rimettente ha censurato l’art. 2,
quarto comma, lettera b), e in parte qua, i successivi sesto e
ottavo comma del d. lgs. n. 654 del 1948 di
attuazione dello statuto, in riferimento all’art. 23, primo comma, dello
statuto siciliano e al primo comma della VI
disposizione transitoria della Costituzione, che esclude dalla revisione la
giurisdizione del Consiglio di Stato; in riferimento agli artt. 102, secondo
comma, e 108, primo e secondo comma, della Costituzione, non essendo consentito
istituire sezioni specializzate nell’ambito dei giudici speciali; in
riferimento allo stesso art. 23 dello statuto, all’art. 102, primo comma,
all’art. 108 primo comma e all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in quanto manca
la previsione di una composizione del Consiglio di giustizia amministrativa
diversa rispetto a quella del Consiglio di Stato, con la nomina di membri laici
di designazione regionale e in quanto, in materia di giurisdizione e di
ordinamento giudiziario, esiste una riserva di legge statale, ed eventuali
deroghe ad essa, si rileva, non possono che essere previste da una norma di
rango costituzionale. Lo stesso discorso varrebbe ove si qualifichi il
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana come sezione
specializzata del Consiglio di Stato.
Altro profilo di illegittimità costituzionale della normativa censurata
e, in particolare dell’art. 2, quarto comma, lettera b), e, derivatamente, dei successivi
quinto, settimo e ottavo comma dello stesso articolo, dell’art. 3, secondo e
terzo comma e dell’art. 7 del d. lgs n. 654 del 1948,
viene ravvisato nella violazione degli artt. 3, 24, 100, terzo comma, 101,
secondo comma, 108, secondo comma, 111, terzo comma, della Costituzione, per la
irragionevole differenziazione del regime dei giudici laici rispetto ai togati,
e per la violazione del principio della riserva di legge che deve assicurare
l’indipendenza dei giudici. Ancora, vengono censurati l’art. 2, quarto comma,
lettera b), e quinto comma, del d. lgs. n. 654 del 1948, come sostituito dal d. P.R. n. 204
del 1978, limitatamente alle parole "innanzi alle giurisdizioni
amministrative”, nonché l’art. 1 del decreto legislativo del Presidente della
Regione siciliana 31 marzo 1952, n. 8 (Trattamento economico dei membri del
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana), ratificato
dall’art. 1 della legge regionale siciliana 12 marzo 1953, n. 9 (Ratifica del
decreto legislativo presidenziale 31 marzo 1952, n. 8, concernente "Trattamento
economico dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana”), per violazione degli artt. 3, 24, 101, secondo comma, 108, secondo
comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, per l’inferiore trattamento
economico dei giudici laici rispetto ai togati, per il difetto di imparzialità
e la mancanza di indipendenza dei primi. Infine,
viene ravvisato il contrasto dell’art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 654 del 1948 con gli artt. 3, 24, 100, 101,103,
108 e 113 della Costituzione e con l'art. 23 dello statuto siciliano, per la
mancata previsione di termini tassativi per la designazione dei membri
regionali del Consiglio e la nomina dei medesimi, nonché di meccanismi
sostitutivi tali da assicurare la continuità dell’attività giurisdizionale del
Consiglio stesso.
2. — Nei giudizi innanzi alla Corte è intervenuta la Regione siciliana,
che ha concluso per la infondatezza delle questioni.
3. — Il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana, investito dalla Presidenza della
Regione di un parere in ordine ad un ricorso straordinario, ha sollevato, con
ordinanza del 13 maggio 2003 (r.o. n. 30 del 2004),
le medesime questioni di legittimità costituzionale già riferite, estendendole
alla composizione della sezione consultiva dello stesso Consiglio.
4. — Anche nel giudizio introdotto
con la citata ordinanza, è intervenuta la Regione siciliana, concludendo per la
infondatezza delle questioni.
5. — Il Presidente del Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con atto del 13 febbraio
2004 (iscritto al n. 272 del registro ordinanze 2004), ha sollevato una serie
di questioni di legittimità costituzionale concernenti il decreto legislativo
24 dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello statuto speciale della
Regione siciliana concernenti l'esercizio nella regione delle funzioni
spettanti al Consiglio di Stato), nonché l’art. 6 del decreto-legge 24 dicembre
2003, n. 354 (Disposizioni urgenti per il funzionamento dei tribunali delle
acque, nonché interventi per l’amministrazione della giustizia), convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 26 febbraio 2004, n. 45. Il
rimettente era stato chiamato, nel corso del procedimento sul ricorso per
l’annullamento di una sentenza del TAR per la Sicilia – sede di Palermo –
riguardante una gara relativa all’appalto del servizio di riscossione e
gestione dei tributi, ad emettere, ai sensi dell’art. 21, nono comma, della
legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come introdotto dall’art. 3 della legge n. 205
del 2000, una pronuncia cautelare provvisoria in ordine alla istanza di
sospensione della sentenza e del provvedimento di annullamento
dell’aggiudicazione.
Il Presidente del predetto Consiglio, ritenuta la propria
legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale, tanto più
che nella specie il dubbio investe la costituzione e la composizione del
collegio cui la causa dovrebbe essere rimessa, contestualmente ha dichiarato di
procedere con separato provvedimento all’adozione della tutela interinale, e ha
impugnato l’art. 4, comma 1, lettera d),
e comma 2, l’art. 6, comma 2 (limitatamente alle parole "e all’art. 4 comma 1
lettera d”), concernenti la
previsione della composizione mista della sezione giurisdizionale dello stesso
Consiglio, con la partecipazione di quattro componenti "laici”(in possesso dei
requisiti di cui all’art. 106, terzo comma, della Costituzione per la nomina a
consigliere di Cassazione ovvero di cui all’art. 19, primo comma, n. 2, della
legge 27 aprile 1982, n. 186), alla cui designazione provvede il Presidente
della Regione; nonché l’art. 15,
commi 1 e 2, del d. lgs. n. 373 del 2003,
limitatamente alla previsione della possibile permanenza in carica dei membri
laici componenti del Consiglio alla data di entrata in vigore del decreto; e, derivatamente, l’art. 6 del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354,
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 26 febbraio
2004, n. 45, che dispone che per assicurare il funzionamento del Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana, anche mediante potenziamento
della sua composizione, è autorizzata la spesa di euro
Le impugnate disposizioni si porrebbero in contrasto con
l’art. 23 dello statuto siciliano, che non prevederebbe
alcuna deroga alla composizione ordinaria delle sezioni del Consiglio di Stato
da localizzare in Sicilia; con gli artt. 102, primo comma, e 108, secondo
comma, della Costituzione, in quanto il d. lgs. n.
373 del 2003 disciplina una materia riservata dalla Costituzione alla legge
statale, per cui eventuali deroghe a favore dell’autonomia regionale dovrebbero
essere supportate da una espressa previsione di pari rango costituzionale; con
gli artt. 3, 24, primo comma, 113, primo comma, della Costituzione,
introducendo una ingiustificata differenziazione dell’organo giudicante e
quindi anche dell’esercizio della giurisdizione su di una parte del territorio
nazionale.
In subordine, vengono censurati i medesimi articoli per
violazione dell’art. 23, primo comma, dello statuto siciliano che non prevederebbe né una sezione specializzata del giudice
speciale né una composizione collegiale diversa da quella ordinaria, e ciò
anche in relazione, quali tertia comparationis, all’art. 24, primo comma, dello statuto
concernente la composizione dell’Alta Corte, nonché all’art. 23, terzo comma,
del medesimo statuto, al d. lgs. 6 maggio 1948, n.
655, concernente la istituzione di sezioni della Corte dei conti per la Regione
siciliana, ed agli artt. 90 e 91, secondo comma, del d. P.R. 31 agosto 1972, n.
670, concernente la istituzione di un Tribunale regionale di giustizia amministrativa
nel Trentino-Alto Adige, con una autonoma sezione per la Provincia di Bolzano.
In ulteriore subordine, i medesimi articoli sono impugnati
per contrasto con l’art. 23, primo comma, dello statuto siciliano nonché con
gli artt. 102, secondo comma, e 108, primo e secondo comma, della Costituzione,
non essendo consentito istituire sezioni specializzate nell’ambito dei giudici
speciali; ed ancora con l’art. 23, primo comma, dello statuto siciliano e con
il primo comma della VI disposizione transitoria
della Costituzione, che esclude dalla revisione la giurisdizione del Consiglio
di Stato.
Infine, in via ulteriormente gradata,
gli stessi articoli sono censurati per contrasto con gli artt. 5, 117, primo e
secondo comma, lettera l), e 120,
secondo comma, della Costituzione, e con l’art. 14, primo comma, dello statuto
siciliano.
In punto di rilevanza della questione, il rimettente afferma
che questa è da rinvenire nella circostanza della inevitabile rimessione della
controversia, dapprima in sede cautelare definitiva, e successivamente nel
merito, ad un collegio composto in base a norme della cui legittimità
costituzionale egli dubita.
Nel merito, il giudice a
quo osserva che le disposizioni di attuazione dello statuto siciliano in
materia di giurisdizione amministrativa di cui al d. lgs.
n. 373 del 2003 relativamente alla composizione mista del collegio sono di
segno contrario rispetto alle previsioni statutarie e comunque non sono in
aderenza, come devono essere le norme di attuazione degli statuti, con la
lettera e con lo spirito di quelle. Ed infatti, prosegue il rimettente, l’art.
23 dello statuto siciliano si limita a
prevedere che "gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le
rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione”, senza contenere
alcun riferimento alla composizione dei collegi: pertanto, gli artt. 4 e 6 del
d. lgs. n. 373 del 2003 introdurrebbero un principio
del tutto estraneo allo statuto.
D’altra parte, rileva il giudice a quo, in materia di ordinamento giudiziario esiste, ex art. 108 Cost., una riserva di legge
statale, con la conseguenza che le disposizioni degli statuti speciali in
materia hanno un carattere eccezionale, che confina la norma statutaria nel
ristretto ambito del suo tenore letterale. Le norme censurate avrebbero
introdotto in Sicilia un istituto eccezionale, quale la nomina di magistrati
laici, disciplinando il loro status
(oltre che, ex art. 8, quello dei
togati), in modo diverso da quello ordinario, al di fuori di qualsiasi
previsione statutaria, in una materia riservata alla disciplina statale,
necessariamente uniforme sul punto, e pertanto derogabile solo per espressa
previsione di norma equiordinata, e cioè di rango
costituzionale.
Le norme in questione, sotto l’apparenza di norme secundum legem, contrasterebbero
nella sostanza con le disposizioni statutarie, e, comunque, non sarebbero
dettate dalla necessità di dare ad esse attuazione. E pertanto il d. lgs. n. 373 del 2003, al pari dell’abrogato d. lgs. n. 654 del 1948, istituirebbe in Sicilia un organo di
giustizia amministrativa caratterizzato da una propria fisionomia e struttura,
diverso da quello ordinario, composto anche da giudici laici di nomina
regionale, ampliando enormemente la sfera di autonomia regionale, con vulnus alla lettera e allo spirito della
disposizione costituzionale statutaria. Né, rileva il rimettente, le
conclusioni sul contrasto delle norme censurate con lo statuto siciliano e con
l’art. 108 della Costituzione cambierebbero ove si qualificassero le
disposizioni del d. lgs. n. 373 del 2003 non già contra, ma praeter legem: ed infatti la legittimità
costituzionale delle norme di attuazione degli statuti regionali è subordinata
alla duplice condizione, non ravvisabile nella specie secondo il rimettente, dell’essere
concordanti con le disposizioni statutarie e con il principio dell’autonomia
regionale e giustificate dalla finalità di dare attuazione allo statuto.
Ed ancora, non potrebbe ritenersi, ad avviso del rimettente,
che la riserva di legge statale nella materia de qua sia da intendere in senso meramente formale e non anche
sostanziale, con la conseguenza che sia sufficiente l’adozione di una legge da
parte dello Stato, il quale, assolto in tal modo l’onere della riserva di
legge, potrebbe ad libitum dettare
composizioni degli organi giurisdizionali collegiali differenti da regione a
regione. Tale affermazione comporterebbe infatti che lo Stato possa anche
differenziare la struttura dei processi tra le varie Regioni, con vulnus degli artt. 3, 24, primo comma,
113, primo comma, 102, primo e secondo comma, 108, primo comma, della
Costituzione. Più in generale verrebbe vulnerato il principio dell’unità
dell’ordinamento giuridico il cui valore, già riconosciuto dall’art. 5 della
Costituzione, è attualmente ribadito dall’art. 120, secondo comma, della
Costituzione nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
Del resto, anche qualificando il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana come sezione specializzata, andrebbe rilevata
comunque la esistenza di una riserva di legge dello Stato circa la istituzione
di tali sezioni, laddove l’art. 23 dello statuto siciliano non contiene alcun
accenno a tale possibilità: il decentramento non implica affatto la creazione
di sezioni specializzate. Ed inoltre, l’art. 102, secondo comma, della
Costituzione, prevede la istituzione di sezioni specializzate solo nell’ambito
della magistratura ordinaria, e non anche, quindi, all’interno dei giudici
speciali attualmente esistenti. Ma anche se dovesse escludersi un divieto in
tal senso, la possibilità di una siffatta istituzione dovrebbe intendersi
coperta da riserva di legge statale ex
artt. 102, primo comma, e 108, primo comma, della Costituzione: in nessun caso,
poi, potrebbe essere dettato, in assenza di specifiche disposizioni di deroga
di rango costituzionale, un regime differenziato da regione a regione.
Il giudice a quo richiama
poi la VI disposizione transitoria della
Costituzione, che prevedeva di procedere, entro cinque anni, alla revisione
delle giurisdizioni speciali, ad eccezione del Consiglio di Stato, della Corte
dei conti e dei tribunali militari.
I riferiti dubbi di illegittimità costituzionale sembrano al
rimettente ulteriormente rafforzati per effetto delle nuove disposizioni di cui
al Titolo V della Parte II della Costituzione: l’art. 117 Cost. nella nuova
formulazione rafforzerebbe infatti la necessità di attenersi ad una esegesi
rigorosamente letterale dell’art. 23 dello statuto siciliano.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate vengono
riferite anche ai commi 1 e 2 dell’art. 15 del d. lgs.
n. 373 del 2003, con riguardo ai membri laici della sezione giurisdizionale del
Consiglio di giustizia amministrativa.
6. — Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la
società ricorrente nel giudizio a quo,
che ha concluso per l’accoglimento delle questioni sollevate, con
argomentazioni adesive a quelle di cui al decreto del Presidente del Consiglio
di giustizia amministrativa.
7. — Si è altresì costituito, ma
fuori termine, il Comune appellato.
8. — E’ intervenuto nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura
generale dello Stato, che ha preliminarmente concluso per la inammissibilità
della questione sotto vari profili. Anzitutto, l’Autorità intervenuta eccepisce
la non rilevanza della questione, attinente alla composizione dell’organo
collegiale, ai fini della concessione o meno della tutela cautelare. Una
ulteriore ragione di inammissibilità sarebbe poi da ravvisare nella mancata
motivazione della sussistenza della estrema gravità ed urgenza della
concessione della misura cautelare. Infine, esisterebbe un terzo profilo di
inammissibilità per motivazione perplessa, non essendo ammissibile, secondo
l’Avvocatura, la proposizione di questioni tra loro subordinate, in quanto tale
prospettazione escluderebbe implicitamente la
convinzione di non manifesta infondatezza delle questioni da parte del
rimettente.
Nel merito, l’Avvocatura conclude per la infondatezza della
questione, osservando anzitutto che, anche a voler convenire che le norme di
cui si tratta non siano secundum statutum,
esse possono senz’altro essere ritenute praeter statutum, e, come tali, legittime ove concordanti con
le disposizioni statutarie e con l’autonomia della Regione, e giustificate
dalla esigenza di dare una miglior attuazione allo statuto stesso. Requisiti,
questi, che l’Avvocatura ritiene sussistenti nella specie. Né potrebbe
ritenersi violata la riserva di legge statale in materia di ordinamento
giudiziario, ove si consideri che i decreti legislativi di attuazione degli
statuti speciali non sono leggi regionali, ma fonti statali di rango primario.
Quanto alla censura relativa alla diversa composizione del
Consiglio di giustizia amministrativa rispetto al Consiglio di Stato, si
osserva che la istituzione in Sicilia di una sezione specializzata del
Consiglio di Stato è pienamente riconducibile all’art. 23 dello statuto
siciliano, e pertanto ad una norma di rango costituzionale. Né sarebbe esatto
che l’art. 102, secondo comma, della Costituzione vieti la istituzione di
sezioni specializzate presso i giudici speciali, dovendo invece la relativa
facoltà ritenersi ricompresa nella generale riserva di cui all’art. 108, primo
comma, della Costituzione. Nemmeno, secondo l’Avvocatura, sussisterebbe il
contrasto delle norme impugnate con l’art. 108 della Costituzione, in quanto
quest’ultima disposizione prevede una riserva di legge statale anche in ordine
alla istituzione di sezioni specializzate. Infatti, a parte la considerazione
che è lo stesso statuto a prevedere la istituzione di una sezione specializzata
del Consiglio di Stato in Sicilia, il d. lgs. n. 373
del
Quanto al preteso
contrasto con la VI disposizione transitoria della
Costituzione, l’Avvocatura rileva che detta disposizione non va intesa nel
senso che debba ritenersi costituzionalmente illegittima qualsiasi modifica
della disciplina del Consiglio di Stato, come degli altri organi
giurisdizionali dalla stessa menzionati, ma solo come una presa d’atto della
conformità dell’ordinamento di tali organi a Costituzione.
Manifestamente infondata appare infine all’Avvocatura la
censura relativa alla violazione degli artt. 117 e 120 della Costituzione, nonché
dell’art. 14 dello statuto siciliano, con riferimento alla riserva alla
competenza esclusiva dello Stato in materia giurisdizionale. Al riguardo si
ribadisce che, da un lato, è lo stesso statuto siciliano a prevedere la
istituzione di una sezione specializzata del Consiglio di Stato in Sicilia, e
che, dall’altro, il d. lgs. n. 373 del 2003 non ha
valore di fonte regionale, ma di legge statale ordinaria.
9. — Nel giudizio è altresì
intervenuta la Regione Sicilia, che ha concluso per la inammissibilità e nel
merito per la infondatezza delle questioni sollevate. Sotto il primo profilo,
si osserva che non è consentito al giudice di sollevare questioni in ordine
alla composizione di altro organo giudicante.
Nel merito, rileva la Regione che le norme censurate non sono
contra statutum,
ma praeter statutum, e
legittime in quanto sostanzialmente concordanti con le disposizioni statutarie,
concorrendo con esse a perseguire la finalità di garantire l’autonomia della
Regione. Indubbia apparirebbe inoltre la configurazione del Consiglio di
giustizia amministrativa come una sezione del Consiglio di Stato, ciò che
escluderebbe un esercizio differenziato della giurisdizione su una parte del
territorio nazionale.
In ordine, poi, ai regimi transitori di cui all’art. 15 del
d. lgs. n. 373 del 2003, si osserva che questi sono
certi nella durata. Infine, la censura relativa all’art. 6 del d.l. n. 354 del
2003 sembra alla Regione inammissibile e, nel merito, infondata.
10. — Le medesime questioni, fondate
su analoghe argomentazioni, sono state sollevate dal Presidente del Consiglio
di giustizia amministrativa con successivo atto del 26 febbraio 2004 (iscritto
al n. 273 del registro ordinanze 2004).
11. — Anche in tale giudizio si è costituita la società
ricorrente nel giudizio a quo, che ha
concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme
impugnate.
12. — E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, concludendo per la inammissibilità, e, nel merito, per la
infondatezza delle questioni sollevate, sulla base di argomentazioni simili a
quelle riferite con riguardo all’atto di intervento nel primo giudizio.
Analogamente, nel senso della inammissibilità o della
infondatezza ha concluso la difesa della Regione, a sua volta intervenuta nel
giudizio.
13. — Con ordinanza n. 430 del 10 marzo 2004 (r.o. n. 430 del 2004), il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione Sicilia ha sollevato le medesime questioni di
legittimità costituzionale, ripercorrendo l’iter
argomentativo dei due citati atti del Presidente del Consiglio di giustizia
amministrativa, sul quale si è già riferito.
14. — Si è costituita la parte privata del giudizio a quo, che ha concluso per la
declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, aderendo alle
argomentazioni svolte nella ordinanza di rimessione, e, in particolare,
rilevando che il d. lgs. n. 373 del 2003 non si
limiterebbe a dettare norme attuative dell’art. 23 dello statuto siciliano, ma
modificherebbe la struttura ordinaria di detto organo giurisdizionale e ne prevederebbe una particolare composizione.
Altro profilo di illegittimità costituzionale riguarderebbe
la mancata previsione espressa della incompatibilità tra le funzioni di
componente laico del Consiglio e lo svolgimento della professione legale.
Un ulteriore dubbio di illegittimità costituzionale espone la
parte privata del giudizio principale con riferimento alla previsione contenuta
nell’art. 6 del d. lgs. n. 373, secondo la quale i
componenti laici del Consiglio di giustizia amministrativa alla scadenza del
sessennio non possono esser confermati e cessano dalla carica e dall’esercizio
delle funzioni. La norma, originata evidentemente dalla esigenza di evitare
qualunque ipotesi di prorogatio,
rimarrebbe lacunosa rispetto alla ipotesi in cui alla data di cessazione delle
funzioni dei componenti in carica non sia già stato compiuto il procedimento
relativo alla loro sostituzione. La paralisi che ne conseguirebbe vulnererebbe
i principi costituzionali della effettività della tutela giurisdizionale e del
buon andamento delle attività pubbliche.
15. — E’ intervenuto nel giudizio il
Presidente della Regione siciliana, che ha concluso per la inammissibilità e,
nel merito, per la infondatezza di tutte le questioni sollevate, richiamandosi
alle argomentazioni svolte con riferimento alle precedenti ordinanze di
rimessione.
16. — E’ intervenuto anche il
Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura
generale dello Stato, che ha del pari concluso per la inammissibilità o la
infondatezza delle questioni.
17. — Nell’imminenza dell’udienza pubblica, hanno depositato
memorie le parti private costituite nei giudizi a quibus, insistendo nelle conclusioni
già rassegnate.
Considerato in diritto
1. — Le
questioni di legittimità costituzionale sollevate, con le ordinanze in
epigrafe, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana
hanno in primo luogo ad oggetto: l’art. 3, primo comma, del d. lgs. lgt. 16 marzo 1946, n. 98
(Integrazioni e modifiche al d.l. lgt. 25 giugno
1944, n. 151, relativo all’Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, al
giuramento dei membri del Governo ed alla facoltà del Governo di emanare norme
giuridiche), gli artt. 1, 2, secondo comma, lettere b) e c), quarto comma,
lettera b), quinto, sesto, ottavo
comma, 3, primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto ed ottavo comma, 4, 5,
6, 7, 8 e 9 del d. lgs. 6 maggio 1948, n. 654 (Norme
per l’esercizio nella Regione siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio
di Stato), l’art. 4 del d.l. lgt. 25 giugno 1944, n.
151 (relativo all’Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, al
giuramento dei membri del Governo ed alla facoltà del Governo di emanare norme
giuridiche) e l’art. 1 del d. lgs. Presidente della
Regione siciliana 31 marzo 1952, n. 8 (Trattamento economico dei membri del
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana). Costituiscono
altresì oggetto delle predette questioni di legittimità costituzionale gli
artt. 4, comma 1, lettera d), e comma
2, 6, comma 2, e 15, commi 1 e 2, del d. lgs. 24
dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione
siciliana concernenti l’esercizio nella regione delle funzioni spettanti al
Consiglio di Stato) e l’art. 6 del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354 (Disposizioni
urgenti per il funzionamento dei tribunali delle acque, nonché interventi per
l’amministrazione della giustizia).
I parametri
costituzionali evocati sono gli artt. 3, 5, 24, primo comma, 100, 101, 102,
primo e secondo comma, 108, primo e secondo comma, 111, 113, primo comma, 117,
primo e secondo comma, lettera l),
120, 135 e VI disposizione transitoria, primo comma,
della Costituzione, nonché gli artt. 14, primo comma, 23, 24, primo comma, e 43
del r.d. lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello Statuto della Regione siciliana) e l’art. 1 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 2 (Conversione in legge costituzionale dello statuto della
Regione siciliana, approvato con il decreto legislativo 15 maggio 1946, n.
455).
Diversi sono
i profili di costituzionalità prospettati dai giudici rimettenti. Innanzi
tutto, l’assoluta indeterminatezza della delega prevista dal d. lgs. lgt. n. 98 del 1946, che
avrebbe lasciato sostanzialmente arbitro il Governo di legiferare in qualsiasi
materia, salvo alcune specifiche eccezioni, cosicché, sotto questo aspetto,
risulterebbe viziato, in via derivata, il d. lgs. n.
654 del
Inoltre,
secondo il giudice rimettente, un altro profilo di incostituzionalità concerne
la mancanza delle necessarie garanzie di indipendenza ed imparzialità che
debbono caratterizzare l’incarico di componente laico del Consiglio di
giustizia amministrativa, anche per quanto attiene al regime delle
incompatibilità professionali, al trattamento economico ed al loro status complessivo. Né, d’altra parte,
le nuove norme di attuazione dello statuto speciale siciliano contenute nel
citato decreto n. 373 del 2003 avrebbero, ad avviso del giudice rimettente,
eliminato questi profili di incostituzionalità, poiché anche oggi il regime dei
componenti laici e togati del Consiglio di giustizia amministrativa non è
affatto identico e, per di più, la necessaria presenza di due membri laici nel
collegio giudicante sottolinea questa differenziazione anche nell’esercizio
della funzione giurisdizionale.
2. — La
sostanziale omogeneità delle questioni di legittimità costituzionale
prospettate e l’identità dei parametri costituzionali evocati inducono a
riunire i procedimenti in esame, affinché siano decisi con un’unica pronuncia.
3. — Le
ordinanze nn. 443 e 902
(sic!) del 2003 e n.
30 del 2004 in particolare hanno ad oggetto varie disposizioni di
attuazione dello statuto siciliano contenute nel citato decreto legislativo n.
654 del 1948, il quale peraltro è stato, dopo la proposizione delle ordinanze
stesse, sostituito ed espressamente abrogato dal decreto legislativo 24
dicembre 2003, n.
4. — Il Presidente
del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede di
trattazione di misure cautelari provvisorie ai sensi dell’art. 21, nono comma,
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 3 della legge n. 205
del
5. — Tutto
ciò premesso, vanno esaminate nel merito le questioni di legittimità
costituzionale sollevate con l’ordinanza n. 430 del 2004, le quali non sono
fondate.
L’art. 23
dello statuto della Regione siciliana, approvato con r.d. lgs.
15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n.
2, stabilisce un principio di specialità, disponendo che "gli organi
giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli
affari concernenti la Regione” e prevedendo anche che le "Sezioni del Consiglio
di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresì le funzioni,
rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile”.
Tale
disposizione ha avuto una prima attuazione con il citato d. lgs.
6 maggio 1948, n. 654, che ha appunto istituito il Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana con il compito di esercitare "le
funzioni consultive e giurisdizionali spettanti alle sezioni regionali del
Consiglio di Stato previste dall’art. 23 dello statuto della Regione siciliana”.
Si stabiliva che tale organo fosse presieduto da un Presidente di sezione del
Consiglio di Stato e, in sede giurisdizionale, fosse composto da due magistrati
dello stesso Consiglio di Stato e da due "giuristi” non togati scelti dalla
giunta regionale, con un incarico quadriennale rinnovabile, tra professori
universitari di diritto o avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle
giurisdizioni superiori, ai quali, durante la carica, era interdetto
l’esercizio della professione davanti alle giurisdizioni amministrative.
Modificazioni
ed integrazioni al suddetto d. lgs. n. 654 del 1948
sono state introdotte dal d. P.R. 5 aprile 1978, n. 204, anche a seguito della
sentenza di questa Corte n. 25 del 1976, prevedendo in particolare che i
"giuristi” non togati componenti del Consiglio di giustizia amministrativa, in
sede giurisdizionale, fossero quattro ed il loro mandato avesse una durata di
sei anni non rinnovabile, anche se per essi era ammessa la prorogatio della carica, e disponendo altresì che il collegio giudicante
fosse composto dal presidente, da due consiglieri di Stato e da due membri
"laici”.
Questi due
decreti di attuazione dell’art. 23 dello statuto siciliano sono stati però
espressamente abrogati ed integralmente sostituiti dal d. lgs.
24 dicembre 2003, n. 373, il quale, innanzi tutto, in coerenza con il tenore
letterale dell’art.
6. — Il
profilo centrale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con
l’ordinanza in esame concerne essenzialmente l’interpretazione dell’art. 23
dello statuto siciliano, dal momento che in primo luogo si dubita che le denunciate
norme del decreto di attuazione n. 373 del 2003 siano compatibili con il
predetto articolo, sostenendo il giudice rimettente che il decreto stesso
sarebbe non solo praeter statutum, ma
addirittura contra statutum.
Va ricordato
che il decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali,
sancito in via di principio dal citato art. 23, corrisponde ad un’antica
tradizione siciliana, che non si limita all’esperienza della Corte di
cassazione di Palermo prima dell’unificazione del 1923, ma addirittura risale
all’ordinamento del Regno delle Due Sicilie, con
l’istituzione in Palermo di supremi organi di giustizia distinti da quelli
omologhi con sede a Napoli. L’art. 23 contiene dunque un principio di
specialità, che riafferma, anche se in termini generici ed atecnici,
per di più formulati anteriormente alla redazione del testo costituzionale,
un’aspirazione viva, e comunque saldamente radicata nella storia della Sicilia,
ad ottenere forme di decentramento territoriale degli organi giurisdizionali centrali.
I decreti menzionati hanno avuto l’intento di attuare concretamente questa
aspirazione, predisponendo moduli organizzativi e funzionali, che, tra le
realizzazioni astrattamente possibili, specificassero ed eventualmente
integrassero i principi enunciati.
Tali moduli
del resto ebbero già, nel passato, uno scrutinio favorevole da parte di questa
Corte, poiché nella citata sentenza n. 25 del 1976
si riconobbe che, nonostante che l’art. 23 preveda semplicemente l’istituzione
di una sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato e non di un organo di
giustizia amministrativa come quello disegnato dal d.P.R.
n. 654 del 1948, tale organo esercitava le stesse funzioni delle sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato. Pertanto, secondo la stessa sentenza,
"la legittimità costituzionale del provvedimento istitutivo del Consiglio di
giustizia amministrativa della Regione siciliana nel suo complesso” non poteva
non essere confermata, dopo la reiezione, nella sentenza delle Sezioni Unite
della Corte di cassazione n. 2994 del 1955, delle varie eccezioni di
costituzionalità sollevate sul medesimo decreto n. 654 del 1948.
In ogni caso,
va sottolineato che il d. lgs. n. 373 del
La peculiare
struttura e composizione del Consiglio di giustizia amministrativa delineate
dal decreto n. 373 appaiono dunque pienamente giustificate, stante la chiarezza
del principio espresso nell’art. 23 ma anche l’assenza di soluzioni
organizzative prestabilite, dall’intento di realizzare concretamente quel
principio attraverso la prefigurazione di un apposito modello la cui
specialità, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, non
appare certo praeter statutum. A
questo riguardo è significativo ricordare che lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige (ed il relativo decreto di attuazione 6 aprile 1984, n.
426) si sia ispirato agli stessi principi di autonomia, riproducendo
sostanzialmente, a distanza di anni, il modello organizzativo siciliano basato
sulla presenza, nell’organo di giustizia amministrativa, di membri "non togati”
designati in sede locale. Si tratta evidentemente di un modello del tutto
particolare fondato sulla "specialità” di alcuni statuti regionali i quali
possono anche, nel campo dell’organizzazione giudiziaria, contenere norme a
loro volta espressive di autonomia.
Alla stregua
di queste considerazioni va pertanto rigettata la censura principale, secondo
cui la composizione "mista” delle sezioni del Consiglio di giustizia
amministrativa siciliano sarebbe contra statutum. L’art. 4, comma 1, lettera d), e comma 2, e l’art. 6, comma 2, del
d. lgs. n. 373 del 2003 introducono infatti un
criterio organizzativo delle funzioni e degli uffici, il quale non solo non è
estraneo al principio di autonomia regionale, come appunto dimostrano le
ricordate disposizioni dello statuto del Trentino-Alto Adige, ma rispecchia i
contenuti profondi, poiché storicamente radicati, della concezione
autonomistica siciliana in tema di organizzazione della giustizia
amministrativa, che addirittura prevede l’attribuzione al Presidente della
Regione della c.d. giustizia ritenuta per quanto concerne i ricorsi
straordinari. Del resto, il profilo della diversità di posizione, nell’ambito
del collegio, tra membri togati e membri non togati, in ragione della
temporaneità dell’incarico di questi ultimi, era già stato sottoposto a
scrutinio di costituzionalità nella ricordata sentenza n. 25 del 1976.
In quella occasione, la Corte aveva espressamente stabilito che il carattere
temporaneo del mandato dei membri del Consiglio di giustizia amministrativa
"non contrasta, di per sé, con i principi costituzionali che garantiscono
l’indipendenza e con essa l’imparzialità dei giudici, siano essi ordinari o
estranei alle magistrature”, dal momento che a tali fini "non appare necessaria
una inamovibilità assoluta”, specialmente per i membri "laici”, che, come anche
altre esperienze dimostrano, "ben possono essere nominati per un determinato e
congruo periodo di tempo”.
L’indipendenza
di tali giudici, secondo la stessa decisione, poteva invece ritenersi messa in
pericolo da ipotesi, come quelle contenute nell’art. 3 del decreto n. 654 del
1948 –peraltro modificato dal d.P.R. n. 204 del 1978–
di loro riconferma nel mandato. Questo però non è il caso della censura rivolta
contro l’art. 15 del decreto n. 373, il quale dispone, al comma 2, che i membri
"laici”, che non rimuovano le loro eventuali situazioni di incompatibilità o
anche nell’ipotesi di scadenza del mandato, permangono comunque in carica,
anche a titolo di prorogatio, per un periodo di tempo non superiore
a sessanta giorni dall’entrata in vigore del medesimo decreto n. 373. Il
periodo di tempo assai limitato e soprattutto la mancanza di ipotesi di riconferma
non possono incidere sull’indipendenza del giudice, tanto più che la durata del
periodo stesso appare comunque non irragionevole in relazione alle complessive
esigenze di continuità e funzionalità dell’organo.
In ogni caso
va sottolineato che, come è noto, lo statuto siciliano è stato approvato prima
dell’entrata in vigore del testo costituzionale e con esso non è stato mai
coordinato, nonostante la sua "conversione” in legge costituzionale operata
dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. Possono così talvolta
rinvenirsi formulazioni ambigue, o anche omissioni –come quelle in tema di
forme d’intesa tra Stato e Regione nella nomina dei componenti "laici” del
Consiglio di giustizia amministrativa, diversamente da quanto previsto per i magistrati
della Corte dei conti siciliana– da risolvere sulla base di una complessiva
interpretazione dello statuto e della singolarità dell’autonomia siciliana.
7. — Proprio
in base a tale interpretazione si può dunque ritenere che non sussista alcuna
rottura del doveroso rapporto di congruenza della normativa di attuazione con
il principio statutario fissato dall’art. 23. D’altra parte i citati artt. 4 e
6 del d. lgs. n. 373 del 2003, nel dettare la
speciale disciplina del Consiglio di giustizia amministrativa, non hanno
neppure violato, avendo rango primario in quanto norme di attuazione di statuti
speciali (cfr. sentenze n. 353 del 2001,
n. 213 e n. 137 del
1998), la riserva di legge prevista in materia dall’art. 108 della
Costituzione. E di conseguenza i predetti articoli possono anche, come fonti a
competenza "riservata e separata” rispetto a quella esercitabile dalle
ordinarie leggi della Repubblica (cfr. sentenze n. 213 e n. 137 del
1998, n. 85 del
1990, n. 160
del 1985), introdurre una disciplina particolare ed innovativa, a condizione
però di rispettare il "limite della corrispondenza alle norme e alla finalità
di attuazione dello statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale”
(sentenze n. 353
del 2001 e n.
212 del 1984). Questa condizione, nella specie, risulta puntualmente
verificata.
Il carattere
di piena attuazione, come già rilevato, del d. lgs.
n. 373 del 2003 rispetto all’art. 23 dello statuto, che è norma di grado
costituzionale, esclude, di per sé, qualsiasi contrasto, prospettato in via
subordinata, sia con l’art. 102, secondo comma, relativo al divieto di
istituire sezioni specializzate, sia con la VI
disposizione transitoria della Costituzione, che ha sottratto la giurisdizione
del Consiglio di Stato dalla prevista procedura di revisione degli organi
speciali di giurisdizione esistenti.
Sono altresì
destituiti di fondamento i dubbi di costituzionalità sollevati, in via ulteriormente
gradata, nei confronti delle citate disposizioni del
decreto n.
In definitiva,
le questioni di legittimità costituzionale in esame vanno rigettate sotto tutti
i profili prospettati e, di conseguenza, risulta infondata anche la censura
relativa all’art. 6 del d.l. 24 dicembre 2003, n. 354, che prevede la copertura
finanziaria delle spese per il funzionamento, a decorrere dall’anno 2004, del
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i
giudizi,
a) ordina la restituzione degli atti ai
giudici rimettenti in relazione ai giudizi introdotti con le ordinanze r.o. nn. 443 e 902 del 2003 e n.
30 del 2004 indicate in epigrafe;
b) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1, lettera d), e 2, 6, comma 2, e 15, commi 1 e 2, del decreto legislativo 24
dicembre 2003, n. 373 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione
siciliana concernenti l’esercizio nella Regione delle funzioni spettanti al
Consiglio di Stato), nonché dell’art. 6 del decreto-legge 24 dicembre 2003, n.
354 (Disposizioni urgenti per il funzionamento dei tribunali delle acque,
nonché interventi per l’amministrazione della giustizia), convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1 della legge 26 febbraio 2004, n. 45, sollevate
dal Presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione
siciliana, in riferimento agli artt. 23 e 14, primo comma, dello statuto
speciale della Regione siciliana, ed agli artt. 102, primo comma, 108, 3, 24,
primo comma, 113, primo comma, 5, 117, primo e secondo comma, lettera l), 120, secondo comma e alla VI disposizione transitoria, primo comma, della
Costituzione, con gli atti iscritti ai nn. 272 e 273
del registro ordinanze del 2004, indicati in epigrafe;
c) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dei medesimi artt. 4, commi 1, lettera d), e 2, 6, comma 2, e 15, commi 1 e 2,
del decreto legislativo n. 373 del 2003, nonché dell’art. 6 del d.l. n. 354 del
2003, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 45 del
2004, sollevate, in riferimento agli artt. 23 e 14, primo comma, dello statuto
speciale della Regione siciliana, ed agli artt. 102, primo comma, 108, 3, 24,
primo comma, 113, primo comma, 5, 117, primo e secondo comma, lettera l), 120 e alla VI
disposizione transitoria, primo comma, della Costituzione, dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana con la ordinanza r.o. 430 del 2004, indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 ottobre
2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4
novembre 2004.