Ordinanza n. 250 del 2004

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ORDINANZA N.250

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-          Gustavo            ZAGREBELSKY                 Presidente

-          Valerio              ONIDA                                  Giudice

-          Carlo                 MEZZANOTTE                    "

-          Fernanda           CONTRI                                "

-          Guido                NEPPI MODONA                "

-          Piero Alberto    CAPOTOSTI                         "

-          Annibale           MARINI                                "

-          Franco               BILE                                      "

-          Giovanni Maria FLICK                                               "

-          Francesco          AMIRANTE                          "

-          Ugo                   DE SIERVO                          "

-          Romano            VACCARELLA                   "

-          Paolo                 MADDALENA                     "

-          Alfio                 FINOCCHIARO                   "

-          Alfonso             QUARANTA                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 23 giugno 1999 relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, del comportamento del senatore Donato Manfroi, promosso con ricorso della Corte di appello di Venezia – sezione II penale, notificato il 24 marzo 2003 ed iscritto al n. 15 del registro conflitti 2003.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

udito l’avvocato Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

Ritenuto che, con ricorso del 26 aprile 2002, depositato nella cancelleria della Corte il 7 maggio 2002, la Corte di appello di Venezia – nel corso del procedimento penale instaurato nei confronti del senatore Donato Manfroi, condannato in primo grado perché ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 340 cod. pen., per avere, in qualità di sindaco del Comune di Cencenighe Agordino, nei giorni 1-2 marzo 1996, interrotto i servizi comunali, chiudendo d’autorità l’accesso al pubblico del palazzo in cui hanno sede gli uffici ed ordinando di staccare l’apparato fax – ha sollevato conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione adottata dalla Assemblea il 23 giugno 1999 (doc.IV-quater, n. 42), con la quale, in difformità dalla proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è stato dichiarato che il fatto per il quale è in corso l’indicato procedimento penale concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricade, pertanto, nell’ipotesi di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione;

     che, secondo l’autorità ricorrente, non emergerebbe alcun collegamento tra il comportamento oggetto della imputazione e l’esercizio delle funzioni parlamentari – così come peraltro evidenziato nella Relazione della Giunta, la cui proposta è stata disattesa dall’Assemblea – posto che, pur manifestandosi la natura politica di un "gesto di protesta", nella condotta in questione, posta in essere dal senatore Manfroi nella sua qualità di sindaco del Comune di Cencenighe Agordino, non sarebbe possibile rintracciare alcun nesso con atti tipici della funzione parlamentare, con correlativa inapplicabilità della garanzia prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione;

     che, pertanto, la Corte di appello di Venezia, non reputando conforme all’ordinamento costituzionale la deliberazione assunta dal Senato della Repubblica, ha sollevato conflitto di attribuzione in ordine "al corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione", come esercitato dal Senato con l’anzidetta delibera, di cui viene chiesto l’annullamento;

     che il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte, in via di prima delibazione, con ordinanza n. 59 del 2003;

     che il ricorso è stato regolarmente notificato al Senato della Repubblica ed è pervenuto alla cancelleria di questa Corte, ai fini del successivo deposito, il 15 aprile 2003, essendo stato spedito, a mezzo del servizio postale, il 9 aprile 2003;

     che si è costituito il Senato della Repubblica, chiedendo, in via principale, che il conflitto sia dichiarato inammissibile, in quanto sollevato per motivi costituenti "mero richiamo di quanto contenuto nel parere della Giunta delle elezioni" e risultando, pertanto, carente di motivazione; in via subordinata, che sia dichiarato infondato, avendo l’autorità ricorrente omesso di considerare la natura "simbolica" della condotta del senatore Donato Manfroi, il quale – dopo numerosi atti ed interrogazioni parlamentari in merito alle vicende poi sfociate nel comportamento oggetto del procedimento penale – aveva adottato, quale forma di protesta estrema, il gesto della restituzione delle chiavi del Comune al Prefetto, al solo scopo "di dare idonea forma di pubblicità al contenuto critico delle interrogazioni presentate nei confronti del Governo";

     che, nella memoria presentata in vista dell’udienza, la difesa del Senato, oltre a ribadire le eccezioni e le conclusioni già formulate, ha eccepito la tardività dell’atto introduttivo del giudizio, pervenuto alla cancelleria di questa Corte oltre la scadenza del termine di venti giorni dalla notifica, previsto dall’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Considerato, in via preliminare, che il ricorso, notificato al Senato della Repubblica, unitamente all’ordinanza che lo ha dichiarato ammissibile, il 24 marzo 2003, è pervenuto alla Corte, ai fini del deposito prescritto dall’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il 15 aprile 2003, vale a dire oltre la scadenza del termine di venti giorni dalla notifica, previsto dal medesimo art. 26, terzo comma;

     che, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, le sentenze n. 106 e n. 111 del 2003), tale deposito deve considerarsi tardivo, essendo detto termine da ritenersi perentorio;

     che, in contrario, non può essere addotta la circostanza che l’atto sia stato spedito, a mezzo del servizio postale, il 9 aprile 2003, vale a dire in data antecedente a quella di scadenza del termine in questione;

     che, infatti, alla data di spedizione dell’atto in tanto potrebbe attribuirsi rilievo, ai fini dell’osservanza del termine per il deposito, in quanto fosse normativamente prevista la possibilità di avvalersi, a tali fini, del servizio postale (cfr. sentenze n. 449 del 1997, n. 253 del 2001, n. 51 del 2002): mentre, invece, né la legge 11 marzo 1953, n. 87, né l’art. 26 delle norme integrative – nel testo vigente all’epoca del deposito in questione – prevedevano tale possibilità, limitandosi detto art. 26 a stabilire, al terzo comma, che "il ricorso, con la prova delle notificazioni eseguite a norma dell’art. 37, comma quarto, di detta legge, è depositato nella cancelleria della Corte entro venti giorni dall’ultima notificazione";

     che, pertanto, il giudizio deve essere dichiarato improcedibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile il giudizio per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato proposto dalla Corte di Appello di Venezia con l’atto indicato in epigrafe.

     Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2004.