Sentenza n. 207 del 2004
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SENTENZA N.207

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo          ZAGREBELSKY      Presidente

- Valerio            ONIDA                      Giudice

- Carlo              MEZZANOTTE              "

- Fernanda         CONTRI                        "

- Guido               NEPPI MODONA         "

- Piero Alberto   CAPOTOSTI                  "

- Annibale         MARINI                        "

- Franco            BILE                              "

- Giovanni Maria FLICK                          "

- Francesco        AMIRANTE                   "

- Ugo                DE SIERVO                   "

- Romano          VACCARELLA              "

- Paolo              MADDALENA               "

- Alfio               FINOCCHIARO             "

- Alfonso           QUARANTA                  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 819, secondo comma, del codice di procedura civile, promossi con n. 2 ordinanze del 10 giugno 2003 dal Collegio arbitrale di Roma negli arbitrati in corso tra la Federconsorzi in concordato preventivo e la Ceas s.r.l. e la Caso coop. a r.l., iscritte ai nn. 631 e 632 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 28 aprile 2004 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1.– Con due ordinanze, di identico contenuto, pronunciate nel corso di altrettanti giudizi arbitrali rituali aventi ad oggetto «rapporti di dare e di avere (…) dipendenti da attività di allevamento e di vendita di capi di bestiame», il Collegio arbitrale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, commi primo e secondo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 819, secondo comma, del codice di procedura civile «in quanto non consente agli arbitri, come invece è consentito al giudice dall’art. 295 del codice di procedura civile, di disporre la sospensione del giudizio arbitrale nel caso in cui il giudice dello Stato deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della controversia arbitrale».

Il Collegio rimettente, premesso che di fronte alle autorità giudiziarie di Perugia e di Roma pendono due processi, uno penale e l’altro civile, implicanti l’accertamento della effettiva esistenza e quantità «dei predetti capi di bestiame», osserva che gli arbitri limitano il loro giudizio agli effetti civili della fattispecie loro sottoposta, non estendendone l’ambito anche ai profili penali oggetto di giudizio di fronte al Tribunale di Perugia; e che, pertanto, ciò vale ad escludere che la sopravvenuta pendenza penale integri i presupposti per la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 819, comma primo, cod. proc. civ.

Peraltro, rileva il rimettente, «pur in presenza di evidenti ragioni di opportunità» non è consentito agli arbitri di disporre la sospensione facoltativa del giudizio, prevista, nel giudizio ordinario, dall’art. 295 cod. proc. civ., posto che la norma impugnata ammette la sospensione del giudizio arbitrale solo quando «sorge una questione che per legge non (ne) può costituire oggetto», laddove l’art. 295 cod. proc. civ. consente al giudice dello Stato di sospendere il giudizio «in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».

La norma impugnata si porrebbe perciò – ad avviso del rimettente – in evidente contrasto con gli artt. 3 e 111, primo comma, della Costituzione, essendo incongruo negare agli arbitri la possibilità, riconosciuta al giudice, di sospendere il giudizio, onde evitare il rischio del formarsi di giudicati contrastanti su medesime questioni, tanto più quando il giudice statuale procedente sia quello penale, che si avvale di strumenti di accertamento della verità superiori a quelli di cui dispongono gli arbitri.

Risulterebbe, per il rimettente, violato anche il secondo comma dell’art. 111 della Costituzione, in quanto le parti del giudizio arbitrale avrebbero a disposizione una più limitata disponibilità di strumenti di difesa processuale rispetto a quelli disponibili nel processo ordinario.

2.– Con distinte memorie di identico contenuto è intervenuto nei due giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria  di manifesta infondatezza della questione.

Ad avviso della parte pubblica il rimettente non avrebbe considerato l’ontologica diversità fra il giudizio arbitrale, originato da un atto negoziale e caratterizzato da esigenze di speditezza, celerità e libertà di forme, ed il giudizio ordinario. Il conferimento agli arbitri della facoltà di sospendere il giudizio vanificherebbe infatti, in contrasto con la volontà delle parti, le citate esigenze, da ritenersi «elemento essenziale del deferimento ad arbitri».

Considerato in diritto

1.– Il Collegio arbitrale di Roma, con le due ordinanze indicate in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 111, commi primo e secondo, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 819, secondo comma, del codice di procedura civile, in quanto non consente agli arbitri, come invece sarebbe consentito al giudice dall’art. 295 del codice di procedura civile, di disporre la sospensione del giudizio arbitrale nel caso in cui il giudice statuale debba risolvere una controversia «dalla cui definizione dipende la decisione della controversia arbitrale».

Avendo le due ordinanze ad oggetto la medesima questione, i giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2.– La questione non è fondata.

Va premesso che il collegio arbitrale rimettente, nel lamentare la mancata attribuzione del potere di sospendere il giudizio per la pendenza, dinanzi al giudice statuale, di una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della controversia arbitrale, intende riferirsi – come risulta evidente dalla  motivazione dell’ordinanza – alla cosiddetta sospensione facoltativa, per motivi di opportunità.

Esso muove, infatti, dall’esplicito presupposto che l’art. 295 cod. proc. civ., assunto quale tertium comparationis, «pur sotto la rubrica “sospensione necessaria” offre al giudice una vasta gamma di facoltà, inclusa quella di disporre la sospensione del giudizio civile fino al passaggio in giudicato della sentenza penale» avente ad oggetto i medesimi fatti, cosicché sussisterebbe una ingiustificata disparità di trattamento, sotto il profilo considerato, tra il giudice statuale e l’arbitro, al quale siffatta facoltà sarebbe negata.

Tale presupposto interpretativo non trova, tuttavia, conforto nel diritto vivente, essendosi  la giurisprudenza di legittimità, dopo talune oscillazioni iniziali, ormai consolidata, in sede di regolamento di competenza avverso i provvedimenti con i quali è disposta dal giudice la sospensione del processo (art. 42 cod. proc. civ.), nel senso che non sussiste una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice fuori dei casi tassativi di sospensione necessaria.

Escluso, dunque, che il giudice statuale abbia la facoltà di sospendere il giudizio per mere ragioni di opportunità, viene meno anche la prospettata disparità di trattamento sulla quale risulta fondata la questione di legittimità costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 819, secondo comma, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111, commi primo e secondo, della Costituzione, dal Collegio arbitrale di Roma, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2004.