Sentenza n. 200 del 2004

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SENTENZA N. 200

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA          

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI     

- Guido NEPPI MODONA      

- Piero Alberto CAPOTOSTI    

- Annibale MARINI      

- Franco BILE    

- Giovanni Maria FLICK          

- Francesco AMIRANTE          

- Ugo DE SIERVO       

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfonso QUARANTA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 384, primo comma, del codice penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri con ordinanza in data 8 gennaio 2003, iscritta al n. 210 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto in fatto

1. - Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 384, primo comma, del codice penale, "nella parte in cui non include il reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. tra quelli ai quali è applicabile la speciale esimente in esso indicata".

Il rimettente, che procede nei confronti di persona imputata del reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. (False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria) "per aver falsamente attestato in un atto prodotto al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Velletri nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto del proprio figlio […] che lo stesso lavorava alle proprie dipendenze da circa un anno percependo una retribuzione mensile pari a euro 750, allo scopo di ottenere la remissione in libertà o gli arresti domiciliari", premette che in udienza preliminare il difensore dell'imputato ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 384 cod. pen., nella parte in cui non richiama la fattispecie in esame tra quelle (artt. 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378 cod. pen.) per le quali è prevista la particolare causa di non punibilità ove il soggetto abbia "commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore".

Ad avviso del giudice a quo la mancata inclusione della norma censurata nel primo comma dell’art. 384 cod. pen. determina una "disomogeneità di trattamento" del reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. rispetto ad altre fattispecie – in particolare, rispetto alla falsa testimonianza, alla falsa perizia e alla falsa interpretazione – sanzionate in modo più grave, e purtuttavia incluse nella "scriminante speciale".

Il reato di cui all’art. 374-bis è infatti inserito tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia e, segnatamente, contro l’attività giudiziaria, cioè nello stesso capo nel quale figurano gli altri reati elencati dall’art. 384 cod. pen.: sarebbe perciò identico il bene protetto dalle fattispecie poste in comparazione.

Analoghe sono inoltre le condotte sanzionate, tutte tendenti ad ostacolare l’attività della giustizia, ad impedire l’accertamento della verità o a "viziare la genuinità del convincimento del giudice". La Corte ben potrebbe quindi operare la richiesta addizione includendo la disposizione in esame tra quelle previste dall’art. 384 cod. pen., posto che "tutela un interesse che può essere sacrificato nell’ipotesi in cui si voglia salvare l’interesse privato superiore della libertà di sé medesimo o di un prossimo congiunto, in perfetta aderenza con il principio di proporzionalità necessario per l’applicazione della scriminante speciale".

2. - E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

A parere dell’Avvocatura il rimettente non avrebbe motivato sulla sussistenza di elementi sufficienti per disporre il rinvio a giudizio dell’imputato e del requisito della necessità di salvare il prossimo congiunto da un grave e non altrimenti evitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

Nel merito, l’esclusione della fattispecie in esame dal novero di quelle per le quali trova applicazione l’esimente di cui all’art. 384 cod. pen. appare del tutto ragionevole, in quanto nella maggioranza dei casi (vengono richiamati gli artt. 361, 362, 363, 364, 365, 371-bis, 371-ter, 372 e 373 cod. pen.) l’autore del fatto si trova a dover obbligatoriamente operare una scelta tra compiere (o compiere fedelmente) un atto imposto dall’ordinamento giuridico, recando così pregiudizio a sé o a un prossimo congiunto, o non compiere (o non compiere fedelmente) l’atto, commettendo il reato ed evitando così il pregiudizio.

Per quanto riguarda, invece, il reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. l’ordinamento non pone in capo al soggetto agente alcun obbligo di formare l’atto destinato all’Autorità giudiziaria, il che renderebbe del tutto ragionevole la diversità di disciplina.

Circa gli altri reati individuati dall’art. 384 cod. pen., in particolare quelli previsti dagli artt. 369, 374 e 378 dello stesso codice, secondo l’Avvocatura il legislatore, sanzionando le condotte con una pena edittale inferiore rispetto a quella prevista dall’art. 374-bis cod. pen., li ha chiaramente ritenuti meno gravi rispetto al reato di chi attesta o dichiara falsamente condizioni o qualità personali o trattamenti terapeutici o rapporti di lavoro relativi all’imputato o al condannato, in atti destinati a essere prodotti all’Autorità giudiziaria. La specificità della condotta del reato in esame impedirebbe, inoltre, una utile comparazione in quanto gli autori degli altri reati ora menzionati, pur ponendo in essere condotte del tutto libere, "non abusano di quella funzione di collaborazione con la giustizia che viene liberamente assunta e svolta da coloro che emettono certificati o attestazioni che l’Autorità giudiziaria […] prende in considerazione".

L’Avvocatura rileva infine che il documento falso prodotto all’Autorità giudiziaria può essere utilizzato anche presso organi amministrativi o presso altri giudici, così ingenerando falsi convincimenti e rendendo concreto il pericolo che la falsità possa operare in relazione a situazioni diverse da quella considerata.

Considerato in diritto

1. - Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 384, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non include il reato di cui all’art. 374-bis dello stesso codice, relativo alle false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria, tra quelli ai quali è applicabile la speciale esimente dell’avere agito per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.

Il giudice rimettente rileva che, essendo il reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. inserito nel titolo dei delitti contro l’amministrazione della giustizia, di cui condivide l’oggettività giuridica, l’omissione determina una disomogeneità di trattamento rispetto a quelle fattispecie – in particolare, falsa testimonianza, falsa perizia e falsa interpretazione – alle quali, sebbene sanzionate in misura più grave, si applica la causa di non punibilità speciale. Poiché i reati elencati nell’art. 384, primo comma, cod. pen. si riferiscono tutti a condotte che, analogamente a quella descritta dall’art. 374-bis cod. pen., mirano ad ostacolare l’attività giudiziaria e, comunque, ad influire sul convincimento del giudice, ad avviso del rimettente non vi sarebbero impedimenti ad estendere l’applicazione dell’esimente al reato in esame, che tutela anch’esso un interesse che può essere sacrificato nel bilanciamento con il "superiore" interesse della libertà o dell’onore del soggetto agente o di un suo prossimo congiunto.

2. - Le conclusioni del giudice a quo sono contrastate dall’Avvocatura dello Stato, in base al rilievo che l’esclusione del reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria dal novero dei reati ai quali è applicabile la esimente speciale appare del tutto ragionevole in considerazione della specificità della fattispecie.

3. - La questione non è fondata.

4. - Il reato in esame è stato introdotto nel codice penale dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, contestualmente al reato di cui all’art. 371-bis cod. pen. (False informazioni al pubblico ministero): quest’ultimo, diversamente dalla fattispecie in esame, è stato inserito nell’elenco dei reati ai quali è applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen., contestualmente modificato, in parte qua, ad opera del medesimo decreto-legge. L’iter legislativo induce perciò a ritenere che l’esclusione sia stata frutto di una consapevole scelta del legislatore.

Al riguardo, è opportuno tenere presente che in tema di estensione delle cause di non punibilità questa Corte ha ripetutamente rilevato che la materia comporta un giudizio di bilanciamento tra l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice e le esigenze che viceversa sorreggono la disciplina derogatoria, nel caso di specie tra l’interesse alla repressione dei delitti contro l’amministrazione della giustizia e la tutela di beni afferenti alla vita familiare: bilanciamento che appartiene primariamente al legislatore e non è suscettibile di censura di legittimità costituzionale se non nei casi di manifesta irragionevolezza (v. sentenza n. 8 del 1996, proprio con riferimento alla causa di non punibilità di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen., nonché sentenze n. 101 del 1999, n. 352 e n. 424 del 2000, anch’esse in tema di rapporti tra delitti contro l’amministrazione della giustizia e cause di non punibilità).

5. - Nella specie l’eterogeneità della condotta descritta dall’art. 374-bis cod. pen. – che sostanzialmente integra una forma di falsità ideologica - rispetto a quella degli altri reati inseriti nell’elenco di cui al primo comma dell’art. 384 cod. pen., rende non manifestamente irragionevole la scelta del legislatore di non estendere la causa di non punibilità alla fattispecie in esame.

Nell’ambito dei reati menzionati dall’art. 384, primo comma, cod. pen., tutti compresi nel capo dei delitti contro l’attività giudiziaria, in alcuni casi la ratio della non punibilità è individuabile nel dato che le fattispecie incriminatrici impongono o presuppongono l’obbligo giuridico di tenere determinati comportamenti, sì che il soggetto è posto di fronte alla scelta tra tenere la condotta imposta, provocando il nocumento a sé o al prossimo congiunto, ovvero evitare il nocumento, commettendo però il reato. La fattispecie di cui all’art. 374-bis cod. pen. descrive invece una condotta non imposta dall’ordinamento, ma alla quale il soggetto agente si determina liberamente nel formare l’atto falso, destinato all’Autorità giudiziaria.

E’ vero che anche tra i reati inseriti nell’elenco di quelli per i quali opera la causa di non punibilità ve ne sono alcuni che si sostanziano in condotte poste in essere liberamente dall’agente, ma, anche a prescindere dal dato che si tratta di illeciti sanzionati meno gravemente del reato in esame, la ratio della loro inclusione appare desumibile dal confronto con altre fattispecie incriminatrici, solo apparentemente affini, alle quali non è applicabile la causa speciale di non punibilità.

Così, nell’operare il bilanciamento con l’interesse sottostante all’esigenza di perseguire i reati contro l’attività giudiziaria, il legislatore ha ad esempio escluso dall’elenco dei reati non punibili il delitto di calunnia, ritenendo prevalente l’interesse di una persona innocente a non essere falsamente accusata rispetto all’esigenza di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore; al contrario ha inserito nell’elenco il delitto di autocalunnia, posto che qui viene leso 'solo' l’interesse dell’amministrazione della giustizia a non essere messa in moto inutilmente, e non anche l’interesse di un terzo estraneo raggiunto dalla falsa incolpazione.

Anche il favoreggiamento reale, a differenza di quello personale, non è compreso tra i reati non punibili in quanto la condotta, volta ad aiutare taluno ad "assicurare il prodotto, il profitto o il prezzo di un reato", si sostanzia in un comportamento estraneo alla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore; necessità che può invece ricorrere nel reato di favoreggiamento personale, la cui condotta è finalizzata ad aiutare "taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa".

Nello stesso modo, il confronto tra il reato di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria e la frode processuale (art. 374 cod. pen.), inclusa nell’elenco di cui all’art. 384, primo comma, cod. pen., consente di affermare che l’affinità tra le due fattispecie è solo apparente. A prescindere dalla misura della pena, notevolmente più severa (reclusione da uno a cinque anni nell’ipotesi base) per il reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. rispetto a quella prevista per il reato di cui all’art. 374 cod. pen. (reclusione da sei mesi a tre anni), che potrebbe giustificare la scelta del legislatore di escludere l’operatività della causa di non punibilità per il reato più grave, è comunque agevole rilevare, ove si pongano a confronto le condotte costitutive dei due reati, che l’artificiosa immutazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, in cui si sostanzia la condotta descritta dall’art. 374 cod. pen., si riferisce ad uno specifico atto (ispezione, esperimento giudiziale, perizia), che esaurisce la sua funzione all’interno di un determinato procedimento civile, penale o amministrativo, mentre la potenzialità decettiva delle false dichiarazioni o attestazioni sulle condizioni o qualità personali dell’imputato o del condannato, che altro non sono, come già rilevato, che una forma di falso ideologico, si presta a svolgere i suoi effetti anche in altri contesti amministrativi o giudiziari, del tutto svincolati dall’esigenza di evitare il grave nocumento nella libertà o nell’onore.

Si deve pertanto concludere che l’esclusione del reato di cui all'art. 374-bis cod. pen. dal novero di quelli per cui opera la causa di non punibilità prevista dall'art. 384 cod. pen. è frutto di una scelta discrezionale esercitata in modo non manifestamente irragionevole, e che i profili di incostituzionalità della disciplina censurata sono privi di fondamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384, primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2004.

F.to:

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2004.