Sentenza n. 175 del 2004

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SENTENZA N.175

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Gustavo                              ZAGREBELSKY      Presidente

-  Valerio                                ONIDA                        Giudice

-  Carlo                                   MEZZANOTTE                    “

-  Fernanda                             CONTRI                                “

-  Guido                                  NEPPI MODONA                “

-  Piero Alberto                      CAPOTOSTI                         “

-  Annibale                             MARINI                                “

-  Franco                                 BILE                                      “

-  Giovanni Maria                   FLICK                                  “

-  Francesco                            AMIRANTE                          “

-  Ugo                                     DE SIERVO                          “

-  Romano                              VACCARELLA                     “

-  Paolo                                   MADDALENA                      “

-  Alfonso                               QUARANTA                        “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 38 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza del 24 giugno 2002 dal Tribunale ordinario di Bolzano nel procedimento civile vertente tra la Cassa rurale di Tirolo e il fallimento della Balbo Policarpio & C. s.n.c., e altra, con l'intervento adesivo della Cassa di risparmio di Bolzano, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2003.

            Visti l'atto di costituzione della Banca Popolare dell'Alto Adige s.c.r.l., nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nell'udienza pubblica del 6 aprile 2004 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

            uditi l'avvocato Antonio Baldassarre per la Banca Popolare dell'Alto Adige s.c.r.l. e l'avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

            1.– Il Tribunale ordinario di Bolzano, nel corso di un giudizio di impugnazione promosso, ai sensi dell'art. 100 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), dalla Cassa rurale di Tirolo, ammessa al passivo del fallimento della società Balbo Policarpio e C. s.n.c. e dei soci della stessa in via chirografaria, avverso l'ammissione al passivo della Banca Popolare dell'Alto Adige per un credito con prelazione ipotecaria, ha sollevato, con ordinanza del 24 giugno 2002, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 38 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e dell'art. 67 del regio decreto n. 267 del 1942 (di seguito, “legge fallimentare”).

            1.1.– Premette il giudice a quo, in punto di fatto, che la impugnante Cassa rurale di Tirolo ha dedotto che i soci falliti, in data 9 settembre 1988, avevano acquistato una casa di abitazione, usufruendo di un mutuo agevolato della Provincia autonoma di Bolzano, con conseguente annotazione nei registri tavolari del vincolo previsto dall'art. 3 della legge provinciale 2 aprile 1962, n. 4 (Norme per favorire l'accesso del risparmio popolare ad una abitazione), e successive modificazioni, vincolo per il quale nei successivi dieci anni non poteva essere costituito sull'immobile alcun diritto reale, salvo il caso in cui fosse contratto un mutuo «destinato all'acquisto, alla costruzione o al recupero dell'alloggio»; che la convenuta Banca Popolare dell'Alto Adige aveva concesso loro un mutuo di duecento milioni di lire, garantito da ipoteca sul predetto immobile (intavolata in data 15 ottobre 1998), con l'espressa pattuizione che la somma mutuata era «destinata a finanziare la ristrutturazione dell'alloggio» e con la precisazione che il mutuo costituiva «operazione di credito fondiario»; che la somma mutuata non era stata utilizzata per lo scopo indicato, ma era servita a pagare debiti della società fallita; che, pertanto, l'ipoteca era da considerarsi nulla, perché costituita in violazione della citata legge provinciale, e il mutuo non era qualificabile come “mutuo fondiario”, sicché l'ipoteca, iscritta nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, non poteva ritenersi esentata dalla revocatoria fallimentare a norma dell'art. 67, terzo comma, della legge fall.

            Riferisce, ancora, il giudice rimettente che la Banca Popolare dell'Alto Adige, costituitasi, ha resistito all'impugnazione, deducendo che la banca che eroga il credito fondiario non ha alcun obbligo giuridico, né alcuna possibilità concreta di controllare l'utilizzo della somma mutuata; mentre la Cassa di risparmio di Bolzano è intervenuta per aderire all'impugnazione.

            1.2.– Quanto alla rilevanza della questione, il giudice rimettente osserva che, poiché la violazione del vincolo imposto dalla legge provinciale n. 4 del 1962 non determina la nullità della costituzione di diritti reali sull'immobile, ma comporta soltanto la revoca delle agevolazioni concesse dalla Provincia, la decisione della causa dipende dalla questione sollevata circa la legittimità costituzionale delle norme che disciplinano il credito fondiario.

            1.3.– Il giudice rimettente osserva che la disciplina del credito fondiario, di cui al regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 (Approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario), è stata radicalmente modificata dal decreto legislativo n. 385 del 1993, in particolare consentendosi a ogni banca, e non più soltanto ad appositi istituti di credito, l'esercizio del credito fondiario, e stabilendosi, all'art. 38, che «il credito fondiario ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili»: sicché il mutuo per cui è causa deve qualificarsi, secondo la vigente disciplina, «operazione di credito fondiario».

            Rileva ancora il rimettente che, essendo scomparsa la precedente distinzione fra credito fondiario e credito edilizio e venuta meno la necessità che la somma mutuata sia destinata a opere fondiarie o edilizie, quand'anche si volesse ritenere che la banca possa o debba richiedere che la somma sia destinata a incremento del patrimonio fondiario o edilizio, mancherebbe ogni norma che preveda il controllo su tale destinazione e le sanzioni in caso di inosservanza.

            In siffatto mutato quadro normativo, ad avviso del giudice a quo, sarebbe venuta meno la ratio che giustificava, nel precedente regime, il trattamento preferenziale fatto, in sede fallimentare, agli istituti di credito fondiario rispetto agli altri creditori, ratio consistente in ciò che, essendo il finanziamento destinato a incrementare il valore dell'immobile ipotecato, il mutuante poteva recuperare il maggior valore dell'immobile da esso stesso finanziato. Nel momento in cui, invece, qualunque mutuo ipotecario può essere qualificato come “fondiario”, anche quando ad esso non corrisponde un incremento di valore dell'immobile, si dà adito a un ingiusto vantaggio per la banca, poiché essa, in violazione della par condicio creditorum, a) può sottoporre a espropriazione forzata il bene ipotecato, nonostante il fallimento del debitore, al di fuori della gestione fallimentare «e quindi in prededuzione»; b) si sottrae alla regola (di cui all'art. 67, secondo comma, della legge fall.) della revocabilità dell'ipoteca costituita nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, grazie alla disposizione dell'art. 67, terzo comma, della legge fall.

            In tal modo, la normativa vigente – opina il rimettente – finisce per pregiudicare gli altri creditori, prestandosi «ad essere strumento di frode», come sarebbe avvenuto nel caso in esame, in cui la somma erogata, presa in prestito allo scopo dichiarato di effettuare lavori di ristrutturazione, poi è stata impiegata ad altri fini.

            1.4.– Il giudice rimettente, pertanto, conclude nel senso che il “meccanismo combinato” dell'art. 38 del d.lgs. n. 385 del 1993 e dell'art. 67 della legge fall. sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., poiché, senza alcuna giustificazione razionale, «crea una disparità di trattamento tra la banca che faccia figurare il proprio credito come avente natura fondiaria e gli altri creditori del fallimento»; e ciò sotto due profili:

a) in quanto la prima norma «non prevede che la qualifica di mutuo fondiario sia vincolata alla esecuzione di opere fondiarie e non prevede alcun meccanismo di controllo sull'effettivo modo di utilizzo dell'importo mutuato»;

b) in quanto la seconda norma «non prevede che l'opponibilità al fallimento della ipoteca fondiaria costituita entro l'anno prima della dichiarazione di fallimento sia subordinata allo effettivo utilizzo della somma mutuata a opere di natura fondiaria».

            2.– E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.

            La difesa erariale osserva che la normativa vigente, contrariamente a quanto lamentato dal giudice a quo, consente di impedire che sia esentata da revocatoria l'ipoteca iscritta a garanzia di un credito fondiario, quando la somma erogata non sia impiegata per le finalità dichiarate al momento della stipulazione del finanziamento. Infatti, qualora si alleghi e si dimostri che lo strumento contrattuale è servito alle parti per eludere una norma imperativa («quale va qualificata quella fondamentale della legge fallimentare che prevede la par condicio creditorum»), il contratto sarà nullo per illiceità della causa; sicché non c'è alcun bisogno di una norma «che garantisca la possibilità di provare che la somma mutuata sia stata effettivamente destinata a scopi fondiari».

            3.1.– Si è costituita la Banca Popolare dell'Alto Adige, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

            3.2.– In prossimità dell'udienza la Banca Popolare dell'Alto Adige ha depositato memoria, nella quale illustra gli argomenti che giustificano le conclusioni di cui sopra.

            3.2.1.– La deducente – premesso che il nuovo testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, definendo il credito fondiario come quello che «ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili», ha sussunto sotto tale nozione anche il “credito edilizio”, che nel precedente regime rispondeva al modello del “mutuo di scopo” – rileva che il giudice a quo, con la prima delle addizioni da lui chieste, vorrebbe introdurre la rilevanza dello scopo per tutto il “credito fondiario”, come ora definito dallo stesso art. 38, non già, tuttavia, per una ragione che riguarda tale credito in sé considerato, ma solo al fine di sottrarre il medesimo credito all'esenzione dalla revocatoria fallimentare, prevista dall'art. 67, terzo comma, della legge fall., che, infatti, viene coinvolto nella eccezione di incostituzionalità. La deducente osserva, in proposito, che, anche se fosse dichiarata incostituzionale tale norma, il credito fondiario resterebbe parimenti esentato dalla revocatoria fallimentare in virtù dell'art. 39, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993 (non censurato dal rimettente), il quale stabilisce: «Le ipoteche a garanzia dei finanziamenti non sono soggette a revocatoria fallimentare quando siano state iscritte dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento. L'art. 67 della legge fallimentare non si applica ai pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti fondiari».

            Per altro verso, la banca deducente osserva che, anche se l'addizione richiesta portasse a configurare il credito fondiario come “mutuo di scopo”, non per questo il credito della banca e la relativa garanzia ipotecaria potrebbero essere esclusi dal passivo del fallimento: infatti, ove il mutuatario si rendesse inadempiente al vincolo di destinazione del finanziamento, impiegando la somma mutuata per finalità diverse dalla esecuzione di opere edilizie (come sarebbe avvenuto nel caso di specie), la violazione dell'obbligo contrattuale legittimerebbe la banca mutuante a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, ma non potrebbe ritorcersi contro la stessa parte adempiente, rendendo revocabile l'ipoteca; sicché non si produrrebbe alcun effetto sullo stato passivo del fallimento del mutuatario, poiché la banca dovrebbe pur sempre essere ammessa al passivo quale creditore privilegiato in forza della prelazione ipotecaria.

            Sostiene, inoltre, la banca deducente il carattere “interpretativo” della questione, sotto un duplice profilo: sia perché la qualificazione del credito fondiario come “mutuo di scopo” implica soltanto una questione di interpretazione della relativa disciplina, e non già un vero e proprio dubbio di costituzionalità; sia perché, fondandosi l'asserita violazione dell'art. 3 Cost. su una possibile collusione fraudolenta tra il mutuatario e la banca mutuante («che faccia figurare il proprio credito come avente natura fondiaria»), le leggi vigenti già prevedono tutti i mezzi possibili per prevenire e reprimere eventuali accordi fraudolenti fra le parti, sia in campo civile (azione di simulazione, azione di nullità per frode alla legge) sia in campo penale (ricorso abusivo al credito, bancarotta preferenziale), e, pertanto, consentono al giudice, ove raggiunga la prova della frode, di escludere dal passivo fallimentare la garanzia ipotecaria costituita illegittimamente.

            Infine, l'inammissibilità della questione sarebbe evidente per il carattere “legislativo” delle addizioni richieste dal giudice rimettente, il quale, da un lato, mirando ad attribuire rilevanza giuridica allo scopo della singola operazione di finanziamento, fa valere un'opzione di valore diametralmente opposta alla scelta operata dal legislatore, e, dall'altro lato, non tiene conto che le modalità applicative della rilevanza dello scopo dell'operazione di finanziamento sono molteplici ed esigono scelte che comportano una “riscrittura” della nozione di “credito fondiario”, rispetto a quella oggi contenuta nell'art. 38 del d.lgs. n. 385 del 1993, nonché, consequenzialmente, la modifica o il riaggiustamento di diverse norme, oltre a quelle impugnate; il che esula dai poteri della Corte costituzionale.

            3.2.2.– La deducente osserva, in subordine, che, nel rinnovato sistema della legge bancaria, reso più idoneo a far fronte alle esigenze del credito verso la piccola proprietà, è del tutto ragionevole che l'esenzione dalla revocatoria fallimentare sia collegata alla sola esistenza della garanzia reale costituita dall'ipoteca di primo grado, prescindendo dallo scopo del finanziamento. Infatti, detta esenzione, eliminando o riducendo il rischio per la banca creditrice di fronte all'insolvenza del debitore, da un lato, favorisce il ricorso al credito fondiario da parte dei piccoli proprietari, e, dall'altro, salvaguarda la funzionalità del sistema del credito fondiario, a beneficio degli stessi fruitori di esso, i quali, altrimenti, non avrebbero la possibilità di ottenere finanziamenti. Di qui l'infondatezza della questione, dal momento che, ove fosse accolta la prospettazione del giudice rimettente, si verrebbe a introdurre retroattivamente una diversa concezione del credito fondiario, la quale, dando rilievo allo scopo, finirebbe per configurare diversamente taluni elementi di fattispecie penali (truffa, bancarotta preferenziale, ecc.), e, quindi, porterebbe a qualificare come reati comportamenti che all'epoca dei fatti non lo erano: con un risultato non solo irragionevole, ma precluso da principi fondamentali della Costituzione (art. 25, secondo comma).

            La rilevanza dello scopo, ancora, sarebbe irragionevole rispetto ad operazioni di credito fondiario finalizzate non già alla costruzione o alla ristrutturazione di edifici, e, quindi, a opere che hanno per risultato un incremento patrimoniale, ma a opere diverse, quali il reimpianto di alberi o il contenimento del fondo, che hanno obiettivi puramente conservativi del bene immobile (e non accrescitivi del valore di esso); senza dire che l'addizione all'art. 38 del d.lgs. n. 385 del 1993, chiesta dal giudice a quo, relativamente alle operazioni di “mutuo fondiario”, comporterebbe un'irragionevole discriminazione di questa forma di finanziamento rispetto alle altre forme di finanziamento previste dalla norma, così come rispetto ad altre cause di prelazione (in particolare il pegno).

Considerato in diritto

            Il Tribunale ordinario di Bolzano dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 38 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), assumendo che tali norme creerebbero una ingiustificata disparità di trattamento tra la banca che qualifichi come fondiario il proprio credito e gli altri creditori, in quanto la prima norma non prevede che la qualifica di mutuo fondiario sia ancorata alla esecuzione di «opere fondiarie» e ad un meccanismo di controllo sull'effettivo utilizzo delle somme erogate, ed in quanto la seconda norma non prevede che l'ipoteca che garantisce il mutuo sia opponibile al fallimento, se iscritta nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, solo in caso di effettivo utilizzo in «opere fondiarie» delle somme mutuate.

            La questione è inammissibile.

            La circostanza che il t.u. n. 385 del 1993 abbia radicalmente innovato la previgente disciplina del credito fondiario – sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo – induce il rimettente ad una apodittica negazione di qualsiasi ratio giustificatrice della tutela privilegiata (art. 39 del t.u. n. 385 del 1993) accordata a quello che, oggi, è definito (art. 38 dello stesso t.u.) credito fondiario, e cioè al credito scaturente da un finanziamento a medio-lungo termine erogato da una banca con contestuale iscrizione di ipoteca di primo grado su un bene immobile; sicché il rimettente – quasi che quella previgente sia l'unica possibile disciplina (peraltro non correttamente ricostruita) de “il credito fondiario” – omette del tutto di chiedersi se l'evidente intento di favorire la “mobilizzazione” della proprietà immobiliare – e, in tal modo, l'accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di situazioni di crisi dell'imprenditore – costituisca una scelta di politica economica del legislatore, come tale sindacabile da questa Corte solo se ed in quanto manifestamente irrazionale.

            A tale premessa dell'ordinanza di rimessione corrisponde, inevitabilmente, l'abnormità della pronuncia richiesta alla Corte: pronuncia che dovrebbe sostanziarsi nella costruzione del (solo) mutuo fondiario (e non di altre tipologie di finanziamenti) come “mutuo di scopo”, e cioè vincolato (come lo era l'oggi scomparso credito edilizio) all'esecuzione di (non meglio precisate, né precisabili) «opere fondiarie», nella previsione di meccanismi di controllo dell'effettivo impiego delle somme mutuate e, infine, nella sanzione della “inopponibilità” dell'ipoteca che, in caso di inadempimento da parte del mutuatario, dovrebbe paradossalmente andare a carico del mutuante.

            E' evidente che – anche a prescindere da altre considerazioni – a questa Corte è inibito sostituire all'istituto voluto dal legislatore quello che il giudice rimettente ritiene preferibile sulla base di una sua opzione opposta a quella del legislatore; sicché la questione sollevata è inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 38 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Bolzano con l'ordinanza in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2004.