Ordinanza n. 145 del 2004
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ORDINANZA N.145

ANNO 2004

 

repubblica italiana

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE ”

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfonso QUARANTA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Siciliana 12 novembre 1996, n. 41 (Disposizioni in materia di permessi, indennità ed incarichi negli enti locali. Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali concernenti le elezioni di organi degli enti locali, il Comitato regionale di controllo, il personale dell’Amministrazione regionale e degli enti locali. Abrogazione di norme), e dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 20 giugno 1997, n. 19 (Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’articolo 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica – articolo 43 dello Statuto Siciliano –. Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29), promosso con ordinanza del 19 febbraio 2003 dal Tribunale di Termini Imerese, iscritta al n. 386 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento della Regione Siciliana;

udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 19 febbraio 2003, pervenuta a questa Corte il 14 maggio 2003, il Tribunale di Termini Imerese ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dell’art. 3 della legge della Regione Siciliana 12 novembre 1996, n. 41, e dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 20 giugno 1997, n. 19;

che la controversia introdotta davanti al giudice a quo riguarda il diritto di un assessore comunale di un Comune di 28.000 abitanti a godere, nel periodo di tempo compreso fra il luglio 1995 e il settembre 1997, del raddoppio dell’indennità di carica in seguito al suo collocamento in aspettativa non retribuita;

che la prima delle disposizioni impugnate stabilisce testualmente che “i benefici previsti dall’articolo 3 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, recepita dalla legge regionale 24 giugno 1986, n. 31, sono estesi agli amministratori locali di Comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti”;

che il richiamato art. 3 della legge statale n. 816 del 1985 (Aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali) prevede, al primo comma, che ai sindaci di tutti i Comuni sia corrisposta un’indennità nei limiti previsti, per ciascuna classe di popolazione del Comune, dalla tabella A allegata alla legge, e, al secondo comma, che detti limiti “sono raddoppiati per i sindaci dei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti che svolgano attività lavorativa non dipendente o che, quali lavoratori dipendenti, siano collocati in aspettativa non retribuita”;

che la legge n. 816 del 1985, ai sensi dell’art. 1 della legge regionale siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l’applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), si applica anche nel territorio della Regione, con alcune modifiche ed integrazioni, che per quanto riguarda il contenuto del citato art. 3 si limitano alla inclusione nella prima fascia di Comuni di tutti quelli con popolazione fino a 5.000 abitanti, laddove la legge statale distingue due fasce, con popolazione fino a 3.000 e fino a 5.000 abitanti;

che la seconda delle disposizioni impugnate dispone che “i benefici previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, come recepiti dalla legge regionale 24 giugno 1986, n. 31, e successive modifiche ed integrazioni, si possono applicare anche ai Presidenti dei Consigli comunali ed agli assessori dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti”;

che l’art. 4 della legge n. 816 del 1985 riguarda il diritto dei lavoratori dipendenti eletti, fra l’altro, nei consigli comunali o provinciali e nelle giunte municipali o provinciali di godere di permessi retribuiti per l’espletamento del mandato;

che il remittente interpreta l’art. 3 della legge regionale n. 41 del 1996 nel senso che esso estenda anche agli assessori, e non solo ai sindaci, di tutti i Comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti il beneficio del raddoppio dell’indennità nel caso siano lavoratori autonomi o dipendenti collocati in aspettativa non retribuita;

che, secondo il giudice a quo, tale estensione del beneficio del raddoppio agli assessori dei Comuni con meno di 10.000 abitanti – mentre esso è previsto, dall’art. 5 della legge statale n. 816 del 1985, applicato anche in Sicilia, per gli assessori dei soli Comuni con più di 50.000 abitanti – privilegia ingiustificatamente gli assessori dei Comuni minori rispetto a quelli di maggiori dimensioni, cioè con più di 10.000 ma meno di 50.000 abitanti, ai quali detto beneficio non è riconosciuto;

che pertanto il legislatore regionale, equiparando gli assessori dei soli Comuni con meno di 10.000 abitanti a quelli (che già godevano del beneficio) dei Comuni con più di 50.000 abitanti, sarebbe incorso in un vizio di eccesso di potere legislativo, per la irragionevole disparità di trattamento fra gli amministratori dei Comuni più piccoli e quelli degli altri Comuni con popolazione inferiore alla soglia di 50.000 abitanti stabilita dalla legge statale, esclusi dal beneficio;

che la norma impugnata contrasterebbe perciò con l’art. 3, nonché con l’art. 51 della Costituzione, posto che la possibilità di usufruire di detto beneficio costituisce una garanzia di accesso alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, così da consentire anche ai meno abbienti di esercitare il diritto all’elettorato passivo;

che, in coerenza con la sua premessa interpretativa circa l’art. 3 della legge regionale n. 41 del 1996, il remittente ritiene che, sul punto in questione, l’art. 12 della legge regionale n. 19 del 1997 sia “assolutamente irrilevante”, in quanto avrebbe esteso il medesimo beneficio agli assessori dei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, già ricompresi nella previsione dell’art. 3 della legge n. 41 del 1996 in quanto riferita ai Comuni con meno di 10.000 abitanti, ma solleva la medesima questione di legittimità costituzionale, “conseguentemente” e per le medesime ragioni, anche nei confronti di detto art. 12 della legge regionale n. 19 del 1997;

che è intervenuto il Presidente della Regione Siciliana, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;

che, ad avviso dell’interveniente, la censura sarebbe irrilevante, sia perché gli artt. 3 e 5 della legge statale n. 816 del 1985, nei confronti della quale la legislazione regionale si sarebbe limitata ad un recepimento, conterrebbe una disciplina completa in ordine alle indennità spettanti agli amministratori locali, così che il caso proposto nel giudizio a quo sarebbe perfettamente regolato dal combinato disposto delle norme appena citate, mentre spetterebbe al giudice interpretare correttamente le leggi regionali in riferimento a quella statale per giudicare sulla domanda proposta, senza spazio per censure di livello costituzionale; sia perché, in ogni caso, posto che la domanda dell’attore nel giudizio a quo si riferisce al periodo compreso fra il luglio 1995 e il settembre 1997, mentre le leggi impugnate sono entrate in vigore rispettivamente il 27 novembre 1996 e il 21 giugno 1997, il beneficio economico che potrebbe derivare dall’accoglimento della questione non coprirebbe tutto il periodo cui si riferisce la controversia;

che, secondo l’interveniente, la questione sarebbe comunque manifestamente infondata, poiché il legislatore statale, nella sua discrezionalità, avrebbe ragionevolmente differenziato la disciplina in relazione alla dimensione dei Comuni sulla base della gravosità degli oneri derivanti dall’“attività lavorativa”, che sarebbe maggiore nel caso dei Comuni più grandi; l’ipotesi prospettata dal giudice a quo di una estensione del beneficio, dai Comuni sotto i 10.000 abitanti, cui fa riferimento la legge regionale n. 41 del 1996, a quelli fra i 10.000 e i 50.000 abitanti, sarebbe del tutto irragionevole, poiché, se pure l’ulteriore differenziazione del trattamento economico introdotta dalla legge regionale non fosse giustificata, la conformità a Costituzione non potrebbe essere ristabilita estendendo ulteriormente tale previsione; in tal modo, inoltre, si “appiattirebbe” del tutto la previsione di cui alla legge statale, che verrebbe totalmente stravolta e vanificata, incorrendo così in un eccesso di potere normativo, non rispettandosi “i limiti disegnati dalla legge statale di riferimento”;

che, sempre ad avviso dell’interveniente, le norme contestate sarebbero espressione dell’ampia discrezionalità da riconoscere in materia al legislatore.

Considerato che è erronea la premessa da cui muove il remittente quanto all’interpretazione dell’art. 3 della legge regionale n. 41 del 1996;

che tale disposizione, infatti, nonostante l’ambiguità del riferimento agli “amministratori locali” (che non risulta, dai lavori preparatori, corrispondere ad una scelta consapevole, mentre l’analoga disposizione già contenuta nel progetto originario che affrontava la materia era chiaramente rivolta solo ai sindaci: cfr. art. 1 del disegno di legge regionale n. 888, presentato il 15 dicembre 1994), deve intendersi nel senso che l’estensione del beneficio del raddoppio dell’indennità, che l’art. 3 della legge statale n. 816 del 1985 riconosceva solo ai sindaci dei Comuni con più di 10.000 abitanti, riguarda i soli sindaci, e non già gli assessori, dei Comuni minori: come è reso palese sia dal fatto che il richiamato art. 3 della legge statale n. 816 del 1985 si riferisce solo ai sindaci, mentre gli assessori sono contemplati dall’art. 5 della stessa legge, sia dal riferimento al limite di 10.000 abitanti, che nella normativa statale costituiva la soglia minima per l’attribuzione del beneficio del raddoppio ai sindaci, mentre, ai sensi dell’art. 5, terzo, quinto e sesto comma, della legge statale, analogo beneficio era riconosciuto solo agli assessori dei Comuni con più di 50.000 abitanti;

che, del resto, in tal senso la disposizione era intesa dall’assessorato regionale agli enti locali della Regione (circolare n. 4 del 6 marzo 1997, avente ad oggetto ”L.r. 12 novembre 1996, n. 41, pubblicata nella GURS n. 56 del 16 novembre 1996”);

che, pertanto, dall’art. 3 della legge regionale n. 41 del 1996 non può desumersi una disparità di trattamento, che non sussiste, fra assessori dei Comuni con meno di 10.000 abitanti e assessori con un numero di abitanti compreso fra i 10.000 e i 50.000; mentre il mancato riconoscimento (risultante dall’art. 5 della legge statale) del beneficio in questione agli assessori di tutti i Comuni con meno di 50.000 abitanti rappresenta una scelta non irragionevole, in base al criterio, seguito sia dal legislatore statale sia da quello regionale, di differenziare le indennità in rapporto alla dimensione demografica del Comune, indice a sua volta non irragionevole della diversa gravosità degli impegni propri degli amministratori locali (cfr. sentenza n. 52 del 1997);

che, quanto all’art. 12 della legge regionale n. 19 del 1997 (peraltro impugnato dal remittente solo “conseguentemente” alle censure mosse alla precedente disposizione, senza autonoma motivazione, e considerato dallo stesso “irrilevante” ai fini della questione a lui sottoposta), esso non può, a sua volta, rappresentare un utile termine di confronto, una volta chiarito che non è meramente ripetitivo, sul punto in questione, di una disciplina già risultante dall’art. 3 della legge regionale n. 41 del 1996, come invece ritiene il remittente;

che, infatti, la formulazione ancora una volta ambigua della disposizione, con il generico riferimento agli articoli 3 e 4 della legge statale, non consente di farne discendere univocamente l’estensione ex lege del beneficio del raddoppio agli assessori dei Comuni con meno di 5.000 abitanti, pur espressamente citati;

che, invero, a parte la possibile erroneità del richiamo all’art. 3 (relativo all’indennità dei Sindaci) anziché all’art. 5 (relativo alle indennità degli assessori) della legge statale n. 816 del 1985 (a quest’ultimo articolo, infatti, si riferisce l’art. 6 della successiva legge regionale n. 4 del 1999, recante “Integrazione del fondo per i comuni di cui all’articolo 11 della legge regionale 30 marzo 1998, n. 5. Realizzazione di progetti di utilità collettiva. Disposizioni finanziarie” – peraltro non rilevante nel giudizio a quo – nello stabilire che “i benefici previsti dall’articolo 5 della legge 27 dicembre 1985, n. 816, come recepita dalla legge regionale 24 giugno 1986, n. 31, sono estesi agli assessori dei Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti”), sta di fatto che, in base alla legge statale, sul punto non modificata dalla legge regionale n. 31 del 1986, nei Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti non era prevista la corresponsione di alcuna indennità in favore degli assessori;

che la nuova disposizione regionale può dunque intendersi come volta a rendere possibile, in Sicilia, la corresponsione dell’indennità anche agli assessori (oltre che ai presidenti dei consigli comunali, parificati quanto a trattamento indennitario agli assessori dei Comuni delle stesse classi demografiche, ai sensi dell’art. 8-bis della legge regionale n. 31 del 1986, aggiunto dall’art. 1 della legge regionale n. 41 del 1996) dei Comuni più piccoli, esclusi da essa in base alla legge statale; mentre, se ci si fosse voluti riferire al beneficio del raddoppio di tale indennità per detti assessori, oltre a risultare erroneo il richiamo all’art. 3, anziché all’art. 5, della legge statale, non si spiegherebbe la scelta della soglia massima di 5.000 abitanti, laddove secondo la normativa statale, già applicata anche in Sicilia, detto beneficio era riconosciuto solo nei Comuni con più di 50.000 abitanti;

che, in ogni caso, l’art. 12 in esame non riconosce senz’altro agli assessori dei Comuni con meno di 5.000 abitanti i benefici in esso richiamati, ma si limita a renderne possibile (“si possono applicare”) l’estensione: il che, oltre a rendere più plausibile una interpretazione restrittiva della norma, che la riferisca solo all’attribuzione dell’indennità e non al suo raddoppio, in ordine al quale non avrebbe razionalità una mera facoltà di attribuzione del beneficio rimessa alla discrezionalità degli organi comunali, impedisce ancora una volta di riferirsi utilmente a tale norma come valido tertium comparationis; senza dire che, intendendo la norma nel senso ipotizzato dal remittente, essa risulterebbe contenere una previsione eccezionale ed anzi extravagante – rispetto alla disciplina concernente gli assessori di tutti gli altri Comuni con meno di 50.000 abitanti – della quale non si potrebbe plausibilmente chiedere l’estensione (tanto meno alla sola fascia di Comuni compresi fra i 10.000 e i 50.000 abitanti, ai quali espressamente si riferisce il giudice a quo), e che, semmai, apparirebbe essa stessa affetta da seri dubbi di legittimità costituzionale;

che, per quanto riguarda in particolare la censura di violazione dell’art. 51 della Costituzione, quest’ultimo – come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, anche proprio con riguardo all’art. 3, secondo comma, della legge n. 816 del 1985, “come recepito” in Sicilia dalla legge regionale n. 31 del 1986 – si limita, al terzo comma, a garantire il diritto di chi è chiamato a funzioni pubbliche di “disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro”, restando per il resto “affidato al legislatore di stabilire se il tempo impiegato debba essere o meno compensato, in quale misura e se ciò debba avvenire a carico del datore di lavoro ovvero della collettività” (sentenza n. 52 del 1997, e, già prima, sentenza n. 35 del 1981);

che, pertanto, la questione si palesa manifestamente infondata sotto tutti i profili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge della Regione Siciliana 12 novembre 1996, n. 41 (Disposizioni in materia di permessi, indennità ed incarichi negli enti locali. Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali concernenti le elezioni di organi degli enti locali, il Comitato regionale di controllo, il personale dell’Amministrazione regionale e degli enti locali. Abrogazione di norme), e dell’art. 12 della legge della Regione Siciliana 20 giugno 1997, n. 19 (Criteri per le nomine e designazioni di competenza regionale di cui all’articolo 1 della legge regionale 28 marzo 1995, n. 22. Funzionamento della Commissione paritetica – articolo 43 dello Statuto Siciliano –. Prima applicazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421. Disposizioni in materia di indennità e permessi negli enti locali. Modifiche alla legge regionale 20 marzo 1951, n. 29), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale di Termini Imerese con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2004.